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Archive for giugno 2016

In onore al merito

caos-urbano
Il caos regna.
Ed il caos non è malvagio, come spesso si tende a pensare, il caos è caos, quindi non possiede nemmeno una volontà volta al detrimento altrui. Il caos è semplicemente la quintessenza di ciò che potrebbe essere una forza divina in questa realtà: la più pura noncuranza.
Come forza sottile ed impalpabile, ma presente nondimeno, essa governa comodamente gli eventi del mondo materiale attraverso il più puro ed inespressivo non-governo concepibile.
Il nostro sforzo di fede è quello di partorire difficoltosamente l’illusione che vi sia invece una regia occulta, un tribunale invisibile ascritto ad entità altrettanto invisibili ed irrilevabili che comporranno con una sorta di colla di significato i cocci dovuti alla distruzione da parte della casualità imperante.
Ciò è consolatorio, concepibile e compassionevole da parte dell’uomo nei confronti di se stesso.
Cionondiméno …. è errato.
Poniamo che qualunque essere vivente su questa terra abbia per natura il medesimo obiettivo: trovare i frutti migliori, caduti dai rami migliori all’ombra migliore dell’albero migliore che si possa supporre esistere.
Supporre che ciò non corrisponda a verità per alcuni soggetti “particolari” è nuovamente menzogna.
Ho visto frotte di organismi “particolari” schifare a parole ciò di cui si sarebbero voracemente riempiti bocca potendo. Non intendo escludermi da tale schiatta, sebbene io tenda ad inseguire la sincerità nella maggioranza dei casi. Ma posso aver mentito a me stesso più che a coloro che mi circondavano in più di un’occasione.
Comunque sia, ovviamente, sotto quel famoso albero archetipico non ci possono stare tutti.
Quindi chi sarà il fortunato a pascersi del frutto migliore sotto l’ombra paradisiaca?
Il termine “fortunato” non è stato digitato a caso ne posto a caso nella frase specifica.
Perchè si tratta proprio di ciò che in province di più latino nerbo viene conosciuto popolarmente come il famoso “Bucio de culo”.
In una dimensione fisica dominata dal puro caso è piuttosto utopistico supporre che con il duro lavoro, la ferrea tenacia ed il luminoso merito ci sarà garantito il nostro albero delle meraviglie….
Ne ho visti a frotte, sono stato uno di loro più e più volte: i cavalieri senza macchia in scintillante armatura che, aprendosi al strada tra mille insidie e distanze, arrivano ad una spanna dall’obiettivo e coperti di sudore, sangue e polvere si vedono portare via il tesoro da tizi con le mani in tasca, sandali e pantaloncini corti, che passando distrattamente sul punto nevralgico della cerca si trovavano per puro caso tra le mani un tesoro inaspettato.

C’ero, non me lo hanno raccontato.
E il tizio che passa li per caso non sta a chiedersi il perchè di una botta di culo, o dove inizia la fila del merito.
Quello si siede e prende posizione, mangia più frutti perfetti che può e in culo all’universo.
In culo al merito.
In culo all’eroismo.
In culo alla capacità.
In culo al significato delle cose.
In culo a chi stava combattendo per il medesimo premio.
In culo: statisticamente il risultato più probabile di qualunque sogno o impresa.
Voglio sottolineare di non essere tra coloro che giudicano il fortunato come colpevole, ne gli addosserei la colpa di rifuggere ciò che ogni essere vivente agogna per puro spirito di giustizia universale.
Assolutamente no, nemmeno io sono così pazzo. Quindi credo non ce ne siano altri in grado di fare cose del genere. io stesso potendo, lo farei. Magari con un bel rimorso, ma meglio che il rimpianto.
Prima di essere tacciato di pessimismo cosmico, as usual, vorrei portare come prova a supporto della teoria caotica che espongo proprio lui: IL COSMO.
Visto che la filosofia è dopotutto considerata opinabile, mentre la scienza è nella maggior parte dei casi considerata inattaccabile, bene… affidiamoci alla scienza!
Secondo la scienza: per PURO CASO masse di polveri ed elementi chimici si sono trovate alle giuste distanze siderali,  per PURO CASO si sono mutate in pianeti e stelle e per PURO CASO su uno di essi è nata la vita che si svolge (incredibile a questo punto, non credete?) PER PURO CASO.
Ah ma non si sa, è una teoria, questo non esclude… ma forse ma forse…
Ah, ma così è comoda: è sempre vero e certo solo ciò che sia consolatorio, solo ciò che chiuda l’equazione e la bilanci, solo ciò che sia psicologicamente meno terribile da affrontare.
In ambo i campi per giunta: fede o scienza. Intercambiabili anche se in opposizione alla bisogna.
Spizzichiamo e sbocconcelliamo secondo gusto personale, non atteniamoci ai fatti.
Con  tutto ciò, comunque, lungi da me supporre che abilità o determinazione non inficino in alcun modo la realtà. sono ben certo dell’importanza di tali elementi, solo che, dopo anni di osservazione del mondo…devo ammettere che sono misure di supporto, non misure determinanti.
In un universo caotico, prima o poi, sul lasso di tempo infinito… accade ogni possibile cosa.
E’ solo questione di tempo.
Quindi in una congiunzione astrale particolarmente allineata, in remote alchimie di eventi che a livello statistico si riducono a cifre irrilevanti è certo che ogni tanto un meritorio si godrà il suo amato tesoro.
Accade, non lo posso negare.
Il problema è che non accade come dovrebbe.
Non è una conseguenza causale, è un puro e semplice momento miracoloso dovuto più al caso che al merito.
Se gli elementi fossero andati al posto giusto sarebbe accaduto anche senza merito.
E se ne vedono, se ne vedono a carrettate di imbecilli senza alcuna abilità o virtù con in mano i migliori scrigni di meraviglie.
Dicono che tutto si paghi e per taluni è incontestabile. Ma è vero anche che per altri non si paga niente.
Non si sa come cazzo facciano, ma sbatacchiando qua e la, sbracciando e berciando sconclusionatamente…riescono comunque sempre ad avere la pancia piena ed il culo al caldo.
Per eccesso di buonismo da parte delle forze superiori che dovrebbero invece ,giustamente, bastonarli come la canapa, per aiuto insperato da parte della fortuna, per la mera virtù di essere le persone giuste nel momento giusto.
Essere le persone GIUSTE nel MOMENTO GIUSTO.
Ecco tutto ciò che è richiesto, è nella vulgata dall’alba dei tempi.
E come si fa ad essere questa persona che fa da chiave di volta a tutta la struttura?
A me par che ci voglia del culo.
Essendo che io del culo ne ho sempre avuto ben poco è innegabile che codesta parte le sa mi bruci parecchio.
E non c’è modo di combattere il fatto di NON AVERE CULO.
E’ una bella idea romantica quella che il lavoro e la fede possano ribaltare le sorti del caso.
Ma il caso mica è maligno, mica ci tiene, mica fa OPPOSIZIONE. Non è un ostacolo che si frapponga volontariamente tra noi e l’albero delle delizie.
Al caso frega sega di noi (come a Dio, quindi Dio ed il caso… fate voi..) non ha mente ne coscienza ne intenzione.
Come combatti una forza che permea ogni aspetto dell’universo in cui sei imprigionato ma che non esiste a tutti gli effetti?
Non combatti. O se sei scemo come me combatti tutti la vita, per il gusto di morire con i denti limati a forza di stringerli e digrignarli.
Perché non riesco a fare come i più saggi che accettano tutto questo con filosofia molto orientale o come gli imbecilli che coprono questo orrore planetario con una densa cortina di significati fittizi e profezie autoavveranti.
Eppure non riesco ad arrendermi.
Non riesco a darmi la pace del bovino, la tranquillità dell’animale.
Vivo in continua contrapposizione con il senso più profondo del flusso della realtà, mi inalbero e sono costretto alla sconfitta senza onore delle armi.
Perché sono sconfitto in partenza se ogni mio sforzo non può incidere in maniera sostanziale sull’equazione. Se sono irrilevante.
Godo molto di più a mandare tutto a puttane quando le cose sembrino essere andate miracolosamente al proprio posto.
Provo una soddisfazione infantile nel mordere il succoso frutto dell’albero delle delizie e sputarlo dicendo che mi fa schifo.
Perché non con il merito il più delle volte l’ho conquistato e non senza merito il più delle volte non sono stato in grado di raggiungerlo.
Mi accusano di non essere mai contento. E’ vero.
Né mai lo sarò se non alle mie condizioni.
Io sono un angelo caduto.
Me ne fotto di come Dio abbia concepito il mondo, a me pare fatto a cazzo.
E come lui non cesserò la mia opposizione, seppure inutile, seppur silente, seppur folle.
Ma inesorabile.

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Forse, alla fine di ogni cosa, è più difficile buttar giù una manciata di caratteri per descrivere esperienze meravigliose anziché le solite lamentele o invettive.La mia penna mordace è forgiata per le storture, come la mia attenzione, e forse anche il mio vocabolario e la mia rete sinaptica si sono adattate per il male, tanto che il bene, il più delle volte, mi risulta indescrivibile.
Eppure è passato quasi un mese da quel palcoscenico, un mese in cui mi sono ripromesso di focalizzare e descrivere le emozioni di quell’evento senza purtroppo riuscire ad imbracciare la tastiera ed iniziare a mitragliare parole.
La malinconia, a volte, ha più potere dell’orgasmo.
Perchè di orgasmo si è trattato.
Il più lungo, intenso e celestiale orgasmo della mia vita.
Non che non ci siano state difficoltà: gestione del terrore da palcoscenico, gola infiammata e voce altalenante e la solita impressione di dimenticarsi ogni cosa da un momento all’altro, un tempo atmosferico di merda e il peggior momento lavorativo da un lustro a questa parte..
Ho ingoiato più propoli e zenzero crudo nei due giorni precendenti allo spettacolo che in tutto il resto della mia vita, per la voce.
Per il lavoro ho ingoiato ben altro…..
Quindi non ho calcato il tavolato del teatro proprio con rilassatezza e cuore leggero. Ero stanco e teso.
Ma tutto sommato, per un debutto da vergine del palcoscenico, tutto è andato inquietantemente bene.
Sono stato Javert di fronte a più di duecento persone, per due lunghe ore di musical.
Certi livelli di secchezza delle fauci si possono conoscere solo in strani momenti della vita…
Ma nonostante avessimo provato il musical due volte di fila in due giorni, alla prima nota delle base… tutta la saliva si è asciugata dal cavo orale istantaneamente ed ho intonato il primo coro con la sensazione di avere un pezzo di lana grezza infeltrito al posto della lingua…
Contato che non ero certo nemmeno di quanto la voce mi avrebbe sostenuto non è stata una gioia.
Ma un fatto devo ammetterlo come reale: in determinate situazioni il corpo e la mente prendono le redini della faccenda e fanno fare cose delle quali non ci crederemmo mai capaci.
L’idea di fare una figura di merda di fronte a duecento persone che ti fissano sedute nel buio mi terrorizza molto di più dell’idea di farmi del male fisico.
E già quando si tratta di male fisico riesco a sfoderare guizzi di agilità e resistenza di stampo quasi supereroistico. Cose delle quali ne io nel mondo potremmo credermi in grado di fare.
Va detto che ero meno terrorizzato di quanto credessi, in fin dei conti. Quella famosa domenica in cui feci “‘l’audizione” per la parte non riuscivo a stare sulle gambe da quanto tremavano.
Nervi a puttane, non scherzo e non esagero.
Benchè non fossi proprio rilassato e a mio agio, sul palco, mi sono trovato meno in preda ad una crisi di nervi andati a puttane di quanto potessi credere.
Ma se sei Javert il tuo apice e la tua spada di Damocle saranno sull’aria principale del personaggio : “Stars”.
Il brano in se non è difficilissimo, ma ha la particolare sfortuna di non avere spazio interpretativo per maccheronare eventuali lacune canore.
“Stars” va cantata bene, non ci sono cazzi.
Questo riduce drasticamente le possibilità di scelta e….. di fare cappelle abbozzando.
Credo che su quell’aria anche il sangue mi si sia prosciugato.
Da solo sul palco, riflettori che trafiggono la retina, solo tu e la tua voce che copre la base per metà del tempo e quattrocento occhi che ti guardano, senza contare le orecchie che ascoltano.
Avrei potuto giurare di indossare un Costume-a-forma-di-me che agiva da solo.
Un litigio di due giorni per riuscire  fare un minimo pace con il microfono ad archetto, un litigio di quasi una settimana contro la gola che si gonfiava e bruciava (complice una primavera piuttosto autunnale), un litigio di una decina di mesi con me stesso, riprovando all’infinito quel brano.
Ma scivolavo sulle note gravi con una certa sicurezza. Due o tre momenti di terrore in cui il tempo stava per sfuggirmi.

Ma poi….

Dopo l’acuto finale (che non ho potuto purtroppo reggere in lunghezza e potenza quanto avrei voluto)…. il boato del pubblico.
Quello è stato il momento culminante, l’orgasmo.
Se è vero che il riflesso orgasmico (specialmente maschile) altro non sia che una contrazione muscolare volta al rilassamento di parte anatomiche in estrema tensione…. così è stato per me il finale del primo atto.
Ci ho sputato l’anima, ma come dice De Andrè: l’anima d’improvviso prese il volo.
E mentre le luci si spegnevano e il sipario iniziava a chiudersi mi sono preso una manciata di secondi per godermi gli applausi e le ovazioni.
I MIEI applausi, le MIE OVAZIONI.

Miei, cazzo.

Intendiamoci, non ci crederò mai del tutto.
Una platea di duecento persone composta principalmente da amici, parenti, colleghi e altri teatranti amatoriali non la considero una tribuna inflessibile per un giudizio d’eccellenza. L’applauso te lo becchi anche se scazzi un pò tutto, che già il coraggio di fare quello che stai facendo fa buona parte della sua figura.
Quindi gongolamento molto rapido ed intenso, pacca sulla spalla senza remore (perchè non l’ho cantato male no quel pezzo, magari non al massimo delle mie possibilità ma neanche male) e carichi verso il secondo atto, verso la fine del quale mi attendeva la scena del suicidio, più morbida data la possibilità di buttare qualche scazzo in recitazione (e li sono bravino) ma impegnativa ed impestata a livello musicale come poche cose al mondo….
Ora, per quanto riguarda “Stars” ho avuto modo di vedere buona parte di ciò che uscito grazie ad una registrazione fatta da una collega. Rudemente uscito da un cellulare non mi ha fatto poi così schifo. Certo io non sono d’accordo con l’utenza sul fatto di avere una bella voce, ma posso concordare sul fatto di averla cantata bene quell’aria. Per il suicidio stiamo ancora aspettando la ripresa integrale del musical, che pare essersi persa in qualche sacca spazio-temporale…
L’ovazione c’è stata anche alla fine del suicidio, bisogna ammetterlo, anche se è stato proprio durante la presentazione del cast che forse ho percepito con più certezza il senso di vittoria e di soddisfazione, quando chiamato alla ribalta al suono del mio nome il boato si è ripetuto per l’ultima risonante volta. E li avevo finito, non dovevo più preoccuparmi di niente, era andata. Del tutto. Ce l’avevo fatta a non farmi schifo come mio solito.
Certo qualche impappinata l’ho presa, qualche scivolne sul tempo è capitato, ma quisquillie e pinzillacchere rispetto alla paralisi da palcoscenico che avrebbe potuto cogliermi.
Certo, rivedermi nelle registrazioni mi spinge sempre al conato di vomito.
Rimango comunque e sempre convinto di sembrare uno strano animale gonfio, goffo, antiestetico ed imbarazzante, testimone ogni mio movimento, nonostante i molti complimenti ricevuti per una mia presunta “presenza scenica” molto possente.
Mah…
Però seppure inguardabile, posso anche supporre di essere ascoltabile.
Ma questo fa parte della mia spietata verovisione: la dignitosa performance di un uomo brutto in un ambito molto modesto, per un pubblico già parzialmente corrotto e una buona prova superata a testa alta.
Era impegnativo il musical in sé ed il ruolo non era certo marginale, il pubblico era pagante ma in fondo accorso per una specie di incitazione al solito bimbo in giostra, a cui si vuole bene perchè è un bimbo non perchè realmente lo meriti.

Dal punto di visto interno, emotivo, personale…. è tutta un’altra musica.
Come ho già detto: nemmeno il sesso può stare al passo di un’esperienza del genere.
Per quanto mi riguarda l’esperienza più sognata, più coccolata, più improbabile e più ghiotta di tutta la mia carriera di pagliaccio dell’espressività umana.
Da quel giorno in cui giunse l’invito inaspettato all’ultimo applauso sul palco, non avrei potuto sperare di trovare regista migliore, musical migliore, ruolo migliore e banda di pazzi con cui farlo migliore di quella che mi è capitata.
Nove mesi di prove, di divertimento, di sudore e di emozione.
Mesi in cui imparare ad amare ogni faccia treatrale, ogni timbro vocale, ogni grido ed ogni sussurro di quella piccola banda di eroi senza alcun effetto speciale che è comunque riuscita a rendere una serata speciale.
Come dissi appena uscito dal teatro: non potendo replicare in epicità e perfezione un evento del genere.. considererò questa come la mia festa per il quarantesimo anno di età.

E lo è stata, una festa.

Una festa dell’anima, dove il timore e l’estasi sono andate a braccetto, dove il sudore ed il sorriso si sono trovati compagni di strada, dove ogni singola nota, se non perfetta è risultata comunque appassionata.
E non ho altro da dire su questo argomento. La nostra passione in qualche modo è passata al pubblico che ci ha coperto di complimenti, e sono state non poche le persone sconosciute che mi hanno inseguito per coprirmi di attenzioni e pormi un simbolico serto d’allori sul capoccione.
Ma tutto questo fa parte di una bolla onirica che ben conosco.
E dopo un’esperienza tanto attesa, tanto ricercata, tanto riuscita… mi sento un pò come Frodo tornato nella Contea.
Mi sento vagamente spaesato, un pò incredulo, pensando che tutto sia così bruscamente finito come fu iniziato.
Mi sento snervato dal ritorno al mio piccolo mondo inespressivo, alla mia routine logorroica ed antiepica, alle mie limitate certezze che non lasciano mai spazio ad un tiro di dadi per una vittoria insperata o una sconfitta devastante.
Il mio rassicurante ovulo di polvere mi fa sentire ancora più rinchiuso, ancora più soffocato.
Un pennino gigante ridisegna i bordi del mio universo e delle mie possibilità e rende sempre più lontano il rumore scrosciante di quella cascata di applausi.
Mi ricorda che i momenti di gloria non esistono. Esistono pause di riflessione tra interminabili intervalli di duro lavoro in cui, inaspettatamente, non ci si fa così schifo come al solito.
Però poi si torna al lavoro.
Mi ricorda che le cose belle durano lo spazio di una sera, un breve stagione.
Che sono stelle cadenti… “and if they fall as Lucifer fell, they fall in flames!”.
Il loro spazio di vita è limitato e ci si deve abituare a perderle queste luminose parentesi, perchè è nella loro natura essere fulminee quanto meravigliose.
Così rimane una certa fierezza variegata alla malinconia.
L’orgoglio di aver deciso l’anno scorso di avere le mani sporche di sangue o merda, ma sempre meglio che di niente.
La malinconia per quello che è il destino miltoniano di noi sognatori da palcoscenico.
La morsa continua del ricordo di un Paradiso perduto.

Un giorno qualcuno mi disse “Male che vada avremo fatto del gran teatro…”
Non aveva torto, almeno su quello.
Come altri prima di me trovo il teatro più sensato della realtà, anche quando finisco per voltarmi ed accorgermi di essere rimasto da solo su un palco senza pubblico….

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