Bene, dopotutto sono morti in pochi, a quanto pare.
Da quattro giorni la tangenziale è murata, ci si sposta alla velocità di un mulo con carretto annesso. Torni a casa e devi girare per dieci minuti per trovare un parcheggio libero.
Quindi, o è morta solo la gente che non guidava, o sono morti in pochi.
Di conseguenza non vaccinatevi, prendete l’automobile e girate a cazzo di cane intasando l’universo, questo dovrebbe garantire una discreta immunità.
Cronache pestilenziali a parte ciò che andrà ora a svolgersi è un drammatico e spietato resoconto della svolta psicologica non direttamente dipendente dall’anno di terrore sanitario passato, ma ad esso indiscutibilmente correlata.
Il lockdown (con questo termine indicherò tutte le forme dittatoriali cromatiche a cui siamo stati sottoposti, ogni sfumatura, per praticità) è stato un vero dito nel culo.
Per tutti.
Ma non per me.
E qui si abbatte il gong dell’apocalisse psicologica.
Io sono stato da DIO.
Certo, ho sofferto nel non poter vedere alcune persone. Pochissime.
Persone che comunque, da anni, non frequentavo giornalmente. Andava già di culo vedersi per tre settimane di seguito e regolarmente a gruppi. Quasi mai tutti insieme.
Per il resto: sono stato MEGLIO.
Meglio di prima, quando avrei potuto fare qualunque cosa (e non la facevo) e tutti mi costringevano a fare qualcosa (e spesso mi toccava di farla).
Ovvero, li, nel fondo della mia tavernetta appena restaurata, rinnovata e fonte di ogni gaudio e fierezza…. c’ero solo io.
Ed ho capito.
Ho capito una cosa che non potevo o non volevo capire, forse per falsa modestia o per il piacere dell’autoaccusa inquisitoria che è mia delizia e croce da sempre.
Ma quella cosa, una volta tagliato fuori da tutto (tranne che dal lavoro), non ho più potuto eluderla o nasconderla.
Io sto benissimo con me stesso.
A quasi quarantaquattro anni sono ancora in grado di farmi ridere, di cantare, di suonare, di giocare, di cucinare superbi manicaretti, di ballare come un idiota e sempre da solo.
Si.. anche di darmi piacere sessuale, coadiuvato da alcuni gloriosi ed estremamente economici oggetti in pvc (sia lode alla tecnologia, alle volte) e una semplice connessione internet.
E li, nel luminoso abisso del mio regno nanico ipogeo ho scavato fuori il vero tesoro di tutti i tesori:
io mi basto e non mi serve un cazzo di nessun altro.
Ma non mi basto nel senso che “mi faccio bastare”, che mi accontento. Mi basto nel senso che mi adoro, cazzo, in una maniera assolutamente imbarazzante.
E’ possibile, in questa epoca fluida in cui nemmeno il genere è più una fissità naturale, che un individuo scopra di essere fottutamente innamorato di se stesso?
Certo, la predisposizione c’è sempre stata, fin dall’infanzia.
Il mio momento paradisiaco all’asilo consisteva nell’ora del riposino, al quale ovviamente io mi sono sempre opposto senza mezzi termini.
Infatti quell’ora in cui tutti gli altri sparivano e potevo farmi i cazzi miei da solo era il momento migliore della giornata.
Avevo quattro anni. Qualche sospetto avrebbe dovuto venirmi…
Poi quel bambino è cresciuto.
Avevo una decina di anni, camminavo nell’afa dei pomeriggi estivi tra i boschi ed i campi affacciati sul lago di Suviana.
Stavo leggendo “la storia infinita” per la prima volta.
Ero completamente solo. La casa più vicina era a mezzo kilometro dalla mia e io, di andare tra i truzzi di montagna in paese, non ci pensavo nemmeno.
Stavo sdraiato sull’erba o fra le stoppie di un campo. Sentivo il sole sulla pelle. Fissavo le nuvole.
Le fissavo con tutta l’attenzione e l’intenzione di cui solo un bambino può essere capace.
Aspettavo che da quel mutevole gioco di forme spumose spuntasse improvviso, fulmineo e serpentino… un candido drago della fortuna.
No, non è mai spuntato.
L’universo non è mai stato interessante come la fantasia.
Ma solo ora, in questo preciso momento della mia vita, mi torna come un colpo di flagello in petto l’immagine di quel bambino che avrebbe potuto disegnare un atlante delle nuvole.
Era perfetto.
Solo e salvo.
Come ci racconta De Andrè nel suo album di addio: le “anime salve” sono spiriti solitari.
Perché respinti, nella maggior parte dei casi. Perché respingenti, nel mio caso specifico.
Io sono respingente.
Mi sta sul cazzo adattarmi ai cazzi altrui. Dalla scelta del brano musicale da ascoltare all’idea di mettere su famiglia.
E’ difficilissimo per me organizzare qualsiasi cosa che involva più di due persone. Delle quali una devo essere io.
Come diceva il mio idolo Churchill: “Il potere funziona quando si è in due a decidere…e l’altro è malato”.
La pubertà, la maturazione, la sperimentazione, la sessualità, mi hanno costretto naturalmente a confrontarmi con il resto del mondo.
Sulle prime mi trovavo spaesato, perché ero convinto di non capire un cazzo io.
Adesso, dopo tutto ciò che ho vissuto, fatto e sofferto… sono abbastanza certo che siano tutti gli altri a non capire un cazzo.
Innanzitutto non riconosco più alcuna forma di potere superiore su di me. Che sia del governo umano, del giudizio divino o della volontà dei congiunti.
Perché i congiunti (adesso che abbiamo sdoganato questo termine per indicare chiunque si sia autorizzato a farsi i cazzi tuoi, lo uso!) alla fine, sono l’entità più elusiva e pericolosa di tutte.
Dio è il primo che si fa fuori, visto che grazie a Lui stesso non stiamo più nel Medioevo puoi tranquillamente sbattertene il cazzo di quanto ti abbiano insegnato in merito. Specialmente dopo aver assodato incontrovertibilmente che sono tutte stronzate inventate da repressi e psicotici per mantenere l’ordine su organismi senza controllo alcuno.
Lo Stato facciamo come non ci fosse. Rispettiamo le leggi nella misura in cui ci conviene, aggiriamo quelle che possiamo e cerchiamo di far finta che non esista, tanto non è più utile di Dio, anche se è più presente e rompe i coglioni nel concreto.
Ma i congiunti?
Bel casino.
E’ un bel casino dire ad una persona a cui vuoi bene “senti, è tutto bello bello e con te sto bene, ma non mi rompere i coglioni perchè io:
1) Del tuo giudizio me sbatto il cazzo.
Il tuo giudizio è fallace e soggettivo come quello di qualunque altro essere vivente. Non puoi impormelo sul ricatto dell’affetto. Inoltre se lo fai, l’affetto calerà di conseguenza, perché ormai mi sono svegliato e questi giochetti mi fanno vomitare. Quindi farò tutto ciò che IO riterrò giusto per me.
2)Non ho bisogno di te.
Magari amo stare con te (con disco orario, puntualizzo) ma non ho bisogno di te.
Quello che fa tutte le cose che adoro, guarda caso: SONO IO!
Quindi manco è il caso di tirar fuori il ricatto della vagina (sei nato dalla mia, non te la do più, non te la do e basta) che tanto c’è il PVC, Porn Hub e appena riaprono le frontiere i bordelli di lusso transalpini.
Quando chi mi ha cagato al mondo non mi ha più fatto le lavatrici ho imparato a farle io. Se dovessi imparare anche a volare sbattendo le chiappe per liberarmi dalla dipendenza da qualcuno, stai certo che lo farò.
Inoltre alle prime avvisaglie di un ricatto, di un ultimatum o similari stai certo che la mia risposta sarà il badile.
Di piatto.
Sulle gengive.
3) Dei tuoi cazzi me ne sbatto il cazzo.
Certo, ascolterò sempre un amico, un parente, una partner nel momento del bisogno. Ma NEL MOMENTO DEL BISOGNO. Il che non significa ogni volta che non sai cosa fare della tua vita o, più meramente, ti annoi ed hai bisogno di attenzioni.
Inoltre non mi impegno in alcuna progettualità che non sia anche mia.
Se vuoi costruire un panfilo di mollica di pane ed attraversarci l’Egeo hai la mia benedizione, ma non sta scritto da NESSUNA PARTE che il mio affetto mi costringa ad aiutarti se non ne ho voglia. Ora, nel caso del panfilo ovviamente aiuterei… se vuoi che faccia un mutuo a mezzo con te per una casa o che ti metta incinta…NO.
4)Ne ho i coglioni pieni.
Mi hanno fracassato, flagellato, incendiato, calpestato, sbudellato, triturato e sfilettato i coglioni da quando ho memoria.
Dai miei genitori per la famiglia che avevano costruito LORO e mi son trovato sulla groppa IO, ai clienti e datori di lavoro che non sanno trovarsi il culo con entrambe le mani.
Passando per fighe profumiere (quelle che te la fanno solo annusare), direttori di coro, amici (conoscenti, da parte mia) psicolabili depressi o bisognosi di affetto, moralisti in erba, fidanzate incontentabili, truzzi, amici invadenti e fantasmi.
Non intendo più darvi un chicco di riso di più di quanto IO stabilisca.
5)Ho abbracciato, perdonato e giustificato (specialmente grazie a tutti voi) il mio monumentale, divino e autocompiaciuto EGOISMO.
L’unica fondamentale differenza tra il mio egoismo ed il vostro è che io mi autogestisco e non rompo i coglioni agli altri. Perchè non ho bisogno degli altri.
E’ difficile fare digerire questi semplici, modesti e piuttosto concisi cinque punti a gente che ha deciso, o si è trovata, ad intrecciare la propria vita con la tua.
In sostanza l’EGOISMO puro e semplice non è un progetto, una meta, un punto d’arrivo.
E’ già la mia realtà. E’ già così.
La mia crisi di mezza età alla fine non si è tradotta in una lamentosa ricapitolazione di fallimenti e sogni infranti.
Si è tradotta nel decollo di uno spirito che è diventato FINALMENTE, realmente: LIBERO.
Ed è inoltre assolutamente inattaccabile perché non coinvolge altre persone.
Non è l’egoismo di chi lede il prossimo per avvantaggiare se stesso.
E’ l’egoismo che lascia il prossimo a se stesso e alla sua totale inadeguatezza: una crudeltà molto, molto, molto, più nobile e raffinata.
Roba da leccarsi le dita…
Ed in fondo è da ammettere.. mentre guardo la sinfonia di sfaceli umani che mi circonda sento quel bambino che fissava le nuvole sdraiato su di me, ora.
E so che è lui che mi ha salvato. E’ lui che IO ho salvato dagli sfaceli della vita.
Forse l’ho nascosto, forse mi sono nascosto io dietro di lui…non lo so!
So so solo che quel bambino non voleva che gli si rompessero i coglioni. La sua impresa era tracciare un atlante delle nuvole fino a trovare quel fottuto, sfuggente, onirico drago della Fortuna.
E lui è sopravvissuto mentre non avevo i soldi per pagare le bollette, mentre cercavo di educare mia sorella come avrebbe fatto un vero padre, mentre tenevo in piedi le baracche famigliari, lavorative, interpersonali, che gli altri NON SAPEVANO regolarmente gestire.
(Mica che mi sia riuscito tutto, ma oggi come oggi non mi lamento.)
Mentre la maggior parte delle persone che incontravo mi considerava un pagliaccio, una macchietta, un essere risibile, gonfio e naturalmente buffo.
Mentre non me la davano.
Lui è sopravvissuto.
E mi ha salvato.
Perché ha continuato a sussurrarmi nell’orecchio che tutte queste grandi imprese che ci vengono inculcate dalla società, dalla tradizione, dalla massa che ci circonda…. sono ancora meno utili e più dannose che tenere gli occhi al cielo e delineare un atlante delle nuvole.
Lui non ci ha mai creduto ed ha fatto si che io non mi perdessi mai, che non fossi mai infinocchiato dalle promesse altrui.
Mi ha sempre ricordato che la mia diversità era la fonte primaria della mia luminosità.
Che non era NECESSARIO, INEVITABILE fare tutte quelle cose “serie” ed “adulte” che cercavano di picconarmi a forza nel cervello.
Che la vita era mia, che io ero solo mio.
Che se avessi scelto di passare ogni secondo, dalla culla alla bara, solo ed unicamente giocando… potevo farlo.
Che solo un “contrario”, un sacro buffone pellerossa poteva entrare in contatto con l’energia del divino.
Che IO e solo IO ero in grado di incanalare quell’energia radiosa come avrebbe fatto un vero chierico.
Ed ora, probabilmente, non farò nulla di eclatante o differente da ciò che ho sempre fatto.
Ma so che comunque vadano le cose, le farò sempre con la persona più incredibile che io abbia mai incontrato: ME STESSO.
Il drago della fortuna era quello che guardava le nuvole sdraiato sull’erba, cercando se stesso.