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Ne vedo tanti. All’infinito.
Mi sfrecciano accanto tronfi come rospi obesi, nei loro corpi però, il più delle volte, snelli ed adatti.
Sono orribilmente adatti. Adatti alla prosopopea e all’incuranza dell’individuo alfa di ogni branco.
Perché sono prepotenti. Sono inseriti come fogli impalpabili in ogni settore di questo stratificato antropocene.
Sono inalienabili.
Sono alla guida di automobili costose e laccate, lucide come le loro pelli abbronzate e le facce di ceramica che non si piegano mai abbastanza al sorriso o alla smorfia. Sono alla guida di imprese commerciali, industriali, nazionali. Dove migliaia di vermi senza potere contrattuale si agitano tra le loro mani sgraziate da macelleria sofisticata.
Se ne fottono, sempre.
Perché le regole, e si sa, sono valide solo per chi le rispetta. Per quel branco di agonizzanti sfigati che non riescono a far fronte alla sospensione dell’incredulità.
Nel grande inganno globale loro sanno benissimo che è tutto un inganno, un teatro costruito su misura per il bestiame vagamente autocosciente che devono sfruttare.
Tagliano le curve. Ignorano le precedenze.
Comprano le Audi.
Impegnati sempre, e con grande disinvoltura, in quel gioco di ostentazione e violenza che è il farsi strada nella società.
La società.
Io sarei socio di questi?
Io sono “sorcio” al massimo.
Sono una creaturina che non fa abbastanza pena; da infilare in un labirinto, giusto per vedere cosa farà.
Quanto riuscirà a soffrire, prima di crepare, levando il giochino agli orribili figli di puttana che l’hanno progettato.
Perché loro possono. Loro fottono. Loro sballano.
Loro si abbronzano e si tatuano. Si vestono bene.
Fottono i sottoposti sui quali avrebbero una enorme responsabilità, fottono i soci ai quali dovrebbero lealtà, fottono i clienti a cui dovrebbero affidabilità, fottono i fornitori a cui dovrebbero liquidità.
E tagliano le curve.
E fanno sorpassi da far bestemmiare un ricettacolo di santi.
Perché per loro le regole non valgono.
Quelle della società, quelle decenza, quelle dell’umiltà, quelle del buon senso..
Non vale niente se non il culto della propria personalità, il delirio di onnipotenza, l’illusione di eternità dato dal brivido del potere esercitato senza alcuna conseguenza, senza alcuna responsabilità.
Il mondo è il loro cesso, il self service, il postribolo donato a loro dall’universo.
E aumentano.
Ora, nella mia assoluta condizione di impotenza e sostituibilità posso solo, ogni volta che le nostre strade si incontrano, masticare amaramente la mia maledizione.
Che è sempre la stessa, ed è la più perfida, la più spietata, la più rivoltante.
E ne sono conscio perché tra ogni alba ed ogni tramonto la provo sulla mia pelle.
Il peggior augurio che si possa fare ad un altro essere vivente:
“VI AUGURO DI FARE LA MIA VITA”
Che voi possiate capire sempre tutto, assolutamente TUTTO, anche il nascosto, l’irrilevabile ed il non manifesto, senza mai poterci fare assolutamente niente. NIENTE. Possa l’inesorabile mano della totale impotenza farvi gustare tutto il terrore di ogni pericolo variegato alla consapevolezza di non avere arma alcuna per fronteggiarlo.
Che voi possiate desiderare sempre tutto senza mai avere la possibilità di ottenerlo. Possano essere i vostri desideri violenti, brucianti, altissimi come lo sono i miei. Possano essere come quelli dei bambini.
Da tale violenza sarete a vostra volta travolti quando saranno inesorabilmente, incontrovertibilmente disattesi.
Che siate sempre richiesti da chi non vorreste affatto tra i piedi. Possa la stirpe immortale dei rompicoglioni e dei noiosi infestarvi l’esistenza come piattole in un pube mai lavato.
Che siate sempre mediocri in ogni vostra espressione creativa.
Non pessimi, mediocri.
E che siate voi stessi il giudice che vi irride, che vi sbeffeggia, che vi ridicolizza di fronte ad una evidenza che sarà palese solo a voi.
Che possiate ingrassare a caso, anche bevendo acqua minerale. Che ogni specchio vi vomiti compiaciuto l’immagine dell’ominide irsuto, sgraziato e antiestetico che la natura ha assegnato proprio a voi, anche nel caso dimagriste con metodi considerati estremi financo dai monaci Shaolin.
Che siate eterei, spirituali, trascendenti e onirici e al contempo cinici, atei, realisti e con un rasoio di Occam piantato in ogni pupilla. Così che possiate sognare il mondo come potrebbe essere e dobbiate patire il mondo per quello che è.
Che le persone con cui fareste il miglior sesso vi vedano come grandi amici.
Che facciate una vita di merda ma non abbiate mai abbastanza ragioni per potervene lamentare.
Perché, oltretutto, quelli che stanno peggio di voi verranno usati per tacciarvi di petulanza e pessimismo e, in larga sintesi, anche nella hit-parade della sfiga voi non vi piazzarete comunque sul podio.
Che tutto ciò sia immodificabile, a prescindere dalla vostra ferrea volontà, dal sovrumano impegno e dalla costanza che impiegherete nel tentare di scardinare le regole universali che vi crocifiggono al vostro fottuto, grottesco personaggio.

(rullo di tamburi. Gran finale…)

Che siate completamente e universalmente antiaderenti al denaro.

(sipario)





“La Terra… che buco di merda! Preferirei restare qui con quei mostri!”
(Johner) Alien La Clonazione

L’incubo incombe su tutti noi. Mentre l’incubo è già realtà per taluni.
Alcuni sono degni dell’incubo in cui vivono e questo garantisce loro una sorta di salvacondotto per la visibilità. Pare che alcuni muoiano più sonoramente di altri.
La sofferenza di un mondo disabituato a soffrire è un nervo scoperto della nostra infiacchita civiltà occidentale. Noi che creiamo le crisi per poterle risolvere a modo nostro, sconcertati e sbigottiti dalle azioni di un personaggio del passato che inizia una guerra come un secolo fa.
Non si fa così.
Dittatori passatisti che ancora censurano, eliminano e sconfiggono i dissidenti con la violenza.
Arcaici statisti.
L’occidente non vi ha insegnato niente? La libertà di parola, pensiero ed espressione è inviolabile in un mondo civilizzato. Dalla parte di chi sta al potere, qui da noi, la soluzione è stata molto più raffinata ed economica: Fottersene.
Possiamo dire quello che vogliamo, noi. Tanto nessuno ci caga.
Inoltre, lasciando una indiscriminata libertà di espressione ai popoli si è abbastanza sicuri che il casino indistricabile che ne verrà fuori non potrà mai in alcun modo creare fronti compatti potenzialmente pericolosi per il potere.
Il caos ed il menefreghismo sono la soluzione del nuovo millennio.
Le bombe?
Le bombe sono roba del millennio scorso, ragazzi. I morti non producono e non pagano. I morti sono schiavi pessimi.
Ma il problema non è nemmeno questo.
Il problema è che il disgusto che già covava nella mia anima da decenni verso la mia razza ha ormai sfondato il picco della scala, è fuori dagli strumenti di misurazione, è universale.
Dopo una pseudo dittatura sanitaria, sulla quale non riusciremo mai a fare veramente luce, durata ben due anni… questo.
“Così de botto! senza senso!”
Si, viene veramente da supporre che non ci sia alcuna divinità nel cielo, ma quei tre cialtroni degli sceneggiatori di Boris.
Molti pensavano che una guerra in Europa fosse impossibile anche solo da supporre in questa epoca.
Ho visto conduttori di Tg sbigottiti il primo giorno, sembrava fossero sbarcati gli alieni.
Eppure io c’ero e ricordo benissimo gli aerei che partivano dalle NOSTRE basi NATO, in ITALIA, per bombardare la Bosnia.
Non era Europa quella?
Tra noi e la guerra c’era solo quella pozza di merda che chiamiamo Mar Adriatico e BASTA.
L’Ucraina a confronto è già in Cina.
Eppure allora non si fece tutto questo chiasso, non c’era questa ombra oscura della terza guerra mondiale a gravare sulle nostre teste.
Perché?
Ma è ovvio. Perché li le bombe le tiravamo NOI! I buoni cazzo!
Noi siamo i buoni!
Se noi andiamo a radere al suolo un altro stato sovrano (a prescindere dal dittatore di turno, ma lo stato è sovrano) è solo perché ci sono ragioni ottime, indiscutibili e imprescindibili. Avranno nascosto armi di distruzione di massa in cantina.
Poi si scopre che non c’erano, non c’era un cazzo di niente, solo quattro sfigati con un asciugamano in testa ed armi ad alta tecnologia vendute da noi?!
Eh va beh ormai è fatta, poi c’era quel signore cattivo cattivo (brutto brutto brutto) e poi scusate c’è la crisi economica, distraetevi con quella per favore.
Se non c’è la crisi economica c’è la guerra. Se non c’è la guerra c’è un virus, se non c’è un virus c’è il mutamento climatico. Se non c’è il mutamento climatico c’è comunque da pagare le rate, i mutui, le bollette, fare le code per un cazzo di timbro, stare in coda in tangenziale e cercare di uscire con una che poi non te la da.
Insomma, questo fantomatico spettro dell’olocausto nucleare comincia ad assumere l’aspetto di un traumatico (e terrorizzante) angelo liberatore.
Questo non è vivere, sapiens sapiens dei mie coglioni. Non è neanche sopravvivere.
E’ fare un dispetto alla Morte che ti vorrebbe fare un favore.
No, non ho alcuna voglia di venire vaporizzato mentre mi masturbo, ma anche vivere con una lama puntata alla gola, sempre, di continuo, incessantemente ha un po’ sfondato la sacca scrotale!
E fossero sfighe dovute al destino, alla natura, al cosmo, al Grande Assente che sta nei cieli!
Sono tutte, sempre, cause di sofferenza create da noi stessi, alimentate da noi stessi, volute da noi stessi.
Certo, non da tutti. Qualcuno ci guadagnerà e qualcuno perderà tutto.
Come sempre chi perderà tutto farà parte di una innumerevole moltitudine e chi ci guadagnerà potrà essere contato sulle dita di una mano. Ma hey, che gran bella cosa la vita.
Dai, cazzo, c’è l’amore, la famiglia, i gattini, i fiorellini, gli uccellini che fanno cip cip!
Eh si che ne vale la pena di cacare su questo letamaio un altro sfigato che avrà solo due fottute possibilità: Diventare uno schiavo o diventare un soldato (che è poi uno schiavo specializzato).
Morirà di stenti tra atroci sofferenze in entrambi i casi, ma nella prima ipotesi potrebbe metterci molto più tempo.
No, signori.
Oggi più che mai, in questo momento più che mai, la mia decisione di porre fine alla mia discendenza mi sembra l’unico voto di opposizione valido alla mia razza. E’ non violento, è lungimirante e soprattutto involve solo me, non chiama in causa un altro essere vivente che non mi può dare il benestare PRIMA che io lo costringa ad essere vivo, in mezzo otto miliardi di perfetti STRONZI.
Penso solo a quegli sfigati dell’est che da un giorno all’altro, così, perché alle due fazioni senza più ideologia andava bene, si sono trovati dal essere come noi a non avere più un cazzo. Manco un cazzo di posto al quale ritornare perché non esisterà più.
E che è tutto così. Pensiamo di vivere in una specie di videogioco nel quale una volta raggiunto il checkpoint non è più possibile essere retrocessi. Viviamo come se dovessimo vivere in eterno: sempre a progettare per il futuro, sempre a pianificare, costruire, cercare cose che possono essere spazzate via in un soffio da una qualsiasi forza più grande di noi.
Si che è possibile perdere tutto. E siamo da capo: se non è una bomba è la crisi economica, se non è la crisi è il cambiamento climatico, se non è il clima è il virus…
OOOH ma che cazzo!

Fumo mille paglie al giorno, mi masturbo appena ho le mani libere, spendo i soldi appena li prendo, mangio lardo fritto nel burro, ascolto musica classica e me ne fotto.
Perché meno costruisco meno mi può essere tolto. Meno sto nella realtà degli esseri umani e più mi sento in pace.
Io non voglio salvarmi mentre gli altri muoiono, ma non voglio neanche salvare quelli che muoiono a dirla tutta, perché quello poteva farlo benissimo chi ne ha causato la morte e io ne ho le palle piene di dovermi assumere le responsabilità dei casini creati da altri.
Non me ne fotte un cazzo se il clima va a puttane, abbiamo deciso così tutti insieme, perché ci piaceva, ci faceva comodo il nostro boom economico e tecnologico. Adesso col cazzo che risparmio una goccia d’acqua nello stesso mondo in cui qualcuno va a sciare nel deserto o solca i mari con un panfilo da trenta metri. Me ne sbatto le palle dei vostri figli perché io non ne faccio, e questo, guarda caso, è il mio disinteressato regalo all’equilibrio terrestre: io non metto al mondo alcun consumatore.
Il mio egoismo sfrenato è più utile alla storia dei pianti attoriali dei ben benparlanti e benpensanti, che intanto si ingozzano, sprecano e inquinano il mondo con la propria discendenza altrettanto maleducata e cafona.
Ci indigniamo. Siamo sempre indignati.
Per l’Ucraina gridiamo all’orrore impensabile quando la mappa del globo dal dopoguerra ad oggi non è altro che un patchwork di laghi di sangue.
Il sangue è l’unica cosa che interessi a questa razza di merda, dopotutto.
Uccidere o trovare un modo per farlo ha sprecato, negli ultimi diecimila anni (solo perché prima non è documentato), più energia cerebrale di quella impiegata in ogni nostra scoperta, creazione o meraviglia.
Allora se l’unico modo che avete per interagire è ammazzarsi sparatevi pure. Sparate pure a me (sono apprezzati quelli con una mira paragonabile alla mia, nel caso).
Altrimenti io, senza broncio ne sorriso, caco tranquillamente su voi, la vostra razza e questo sasso di merda sospeso nel vuoto che lasciate alla vostra innocente discendenza.



La radura nell’abetaia era illuminata dallo sfarfallante agitarsi delle fiamme di un piccolo falò.
I toni arancio, amaranto e ocra della sua calda luce spalmavano le poche rocce infisse nel terreno di guizzanti lampi di colore, in quel luogo nero, soffocato dai toni bluastri della tenebra notturna.
Poche stelle sulla testa dell’uomo grasso e barbuto che sedeva con la schiena appoggiata alla roccia più grande.
Era vestito come un idiota.
Tutta la sua figura delineava una vita da nerd consumato, distrutto dalle proprie fantasie, sconfitto dall’altrui realtà.
Maglietta con disegno autoprodotto, pantaloncini mimetici lisi tra le cosce, scarpe da tennis così vecchie e logore da scatenare allerte generali all’ufficio di igiene.
Sedeva e fumava fissando la volta stellare, cercando, come sempre, la testa della costellazione del drago.
Il drago: quell’essere inesistente che una volta entrato nella sua esistenza non ne aveva più voluto sapere di andarsene.
Si era fatto una tana dentro quel corpo grasso e possente e ora, come tutti i draghi, covava e difendeva il proprio spazio vitale con feroce irragionevolezza.
Era con il drago, per il drago e forse per colpa del drago se quell’incontro era stato fissato.
L’uomo barbuto non era molto preoccupato della creatura zoocriptica. Era preoccupato per l’altro.
L’atro era molto più irragionevole e molto più noioso.
Oltretutto non lo sopportava, perché la somiglianza tra loro era esagerata, esteriormente.
Interiormente, beh…era quello il motivo dell’incontro.
L’altro entrò nella radura accompagnato da un frastuono tintinnante di cembali metallici.
La sua armatura di maglia sbatacchiava sonoramente nel silenzio perfetto del bosco notturno.
Si stagliò di fronte all’uomo barbuto con la tronfia risolutezza dell’eroe implacabile: busto eretto, petto gonfio, gambe semidivaricate, mazza flangiata nella mano sinistra e un piccolo scudo fissato al braccio destro.
Un drago che sinuosamente descriveva un otto orizzontale decorava lo scudo. Lucido, brillante, dorato. La luce delle fiamme di divertì immediatamente a giocare con i riflessi lucidi di quelle forme.
“Si, anche meno..” Disse l’uomo barbuto lanciando all’altro un’occhiata dal basso verso l’alto.
Jarren Holyman, chierico del sacro ordine del Drago Eterno non fece nemmeno finta di sgonfiare il torace per rilassarsi.
“Stai fumando, vedo.” disse all’uomo barbuto.
L’uomo barbuto aspirò un’altra boccata e con un ghigno soffiò il fumo verso Jarren “Si, caro, e sei ancora vivo. Quindi togliti tutto lo spirito epico che ti sei ficcato nel culo e sgonfiati!”
Il volto del chierico si contrasse in una smorfia disgustata.
“Pensi che questa decadenza continua ed inarrestabile porterà la tua anima ad elevarsi verso le dimensioni che tanto brami, sacco di lardo?!”
L’uomo barbuto sbuffò una risata fumante e si adagiò ancor più mollemente alla pietra. Sarebbe stato più comodo sui chiodi, ipotizzava, ma finse ugualmente una rilassatezza ultraumana.
“E tu pensi che piantarmi dei rivetti nello scroto ogni santa mattina mi porterà a cavalcare i draghi?”
Fu Jarren a sogghignare malignamente questa volta.
“Probabilmente non li cavalcherai mai quei draghi. Ci sono cose che non ti appartengono e tu cerchi lo stesso di andare a ficcarci quelle dita gonfie. Ci sono cose che non sono state scritte per la tua storia e tu vuoi cambiare la storia.
Ci sono cose che ti faranno male, faranno male a quelli che ti circondano. Ma tanto l’idiota in crisi di mezza età non vuole stare a sentire. L’idiota in crisi sente solo “IO, IO, IO, ME, ME, ME!”
L’uomo barbuto fissò Jarren con occhi sgranati: “Ah eccolo qua, il vero eroe della faccenda! Eccola la vera natura di cui ti sei appropriato e che hai sottratto al mio controllo! Il giudice. Come ti piace eh, bastonare gli altri perché si sono sporcati la mani di marmellata, vero?!! Perché anche se veniva detto loro di non farlo, anche se avranno dovuto farlo di nascosto, magari mentire per riuscire nell’intento loro l’hanno fatto!”
Il chierico sbuffò spazientito: ” E questo le ha rese forse persone migliori? Dopo aver mentito, tradito, rubato ed agito opacamente?!”
L’uomo barbuto scattò in piedi lanciando la sigaretta del falò: ” Non le ha rese nemmeno necessariamente persone peggiori! Non automaticamente!” la sua voce era una salva di cannonate roboanti nel cerchio di luce del falò ” Queste sono le stronzate a cui ci siamo aggrappati per metà della mia vita! Sono semplificazioni da religiosi. Sono regole autoconfezionate ed autoapprovate per tenerci al sicuro!”
Jarren sorrise, un sorriso a metà tra l’amarezza e l’ironia: “Beh allora sto facendo bene la mia parte caro. Io sono un religioso e tutte le mie abilità servono a difendere e curare i miei compagni di viaggio. Tu sei l’unico compagno che non mi lascia mai posso forse..” non fece in tempo a concludere.
“Appunto cazzo, appunto! Io non posso liberarmi di te. Nemmeno volendo. Il tuo eroismo scontato si risolve sempre nel non fare un cazzo di niente che non sia già stato ampiamente sperimentato, perché non sia mai che ci piaccia!
Tu vai in giro a prendere a mazzate quelli con le mani sporche di marmellata perché non sai che minchia di gusto abbia quella cazzo di marmellata! Tu li castighi per sfogare la rabbia derivante dalla tua invidia, non per un supposto bene superiore!”
Jarren fece uno scatto con la testa, come per sistemarsi il collo. Dalla sua mano sinistra uscì una luminosità aranciata che corse lungo tutta la mazza flangiata che impugnava, fino ad illuminarne la testa metallica.
“Avevo già voglia di prenderti a mazzate prima, ma ti assicuro che berciando queste blasfemie non fai altro che regalarmi la gioia di esserne divinamente autorizzato! Io ti ho tenuto in vita e sano di mente quando la vita ti schiacciava come un torchio per spremere l’uva!”
L’uomo barbuto allargò le braccia ” Mi stai dicendo che hai impedito alla vita di fare di me un vino eccezionale?”
Jarren scattò fulmineo superando d’un balzo il falò e calò la mazza con il medesimo movimento.
L’uomo barbuto però era veramente stato messo alla prova dalla vita in occasioni innumerevoli e (con tutta la goffaggine di cui la natura l’aveva infradiciato) schivò il colpo.
Quasi del tutto.
Le crudeli flange affilate aprirono un profondo solco cremisi sul suo braccio destro.
“Ma porc… Ma che sei scemo?!”. Sibilò.
Jarren lo fissò incredulo stringendo i denti con un’espressione sofferente nel volto a sua volta barbuto.
Dal braccio destro di Jarren, da sotto l’armatura di maglia a maniche corte, uscì beffardo un rivolo di sangue scarlatto.
“Ecco genio!” ululò l’uomo barbuto tamponandosi la ferita con la mano.
“Non ci sei ancora arrivato che ogni volta che mi impedisci di sfogarmi ci facciamo male tutti??! E adesso curati brutta scopa nel culo che non sei altro, così curi anche me! Anche se non ti va.”
Erano vicinissimi ora. Simili in quasi tutto. Jarren era solo più alto e magro ed aveva i capelli più corti. Sembravano un dipinto surrealista: uomo che si guarda allo specchio e vede quasi se stesso.
“E anche me, magari..” la voce tuonò da sopra le loro teste. Una voce che poteva sembrare un ruggito o un ruggito con una voce dentro.
La testa cornuta del drago argentato spuntò tra le cime degli alberi. L’immensa creatura fece due passi avanti entrando con le spalle nel cerchio della radura. La spalla destra, sotto l’attaccatura della spalla dell’ala, era ferita.
Il chierico si gettò in ginocchio lasciando cadere mazza e scudo al suolo.
“Mio signore!”
L’uomo barbuto si voltò verso il chierico e tirò fuori la lingua. Cominciò a muoverla come un pennello su una parete da imbiancare.
“Lecca, lecca. Ma ti assicuro che nemmeno il culo dei draghi profuma di mughetto.”
Jarren non si voltò nemmeno. Fece scattare il braccio verso l’uomo barbuto e mormorò una preghiera.
L’uomo barbuto rimase pietrificato.
“Jarren!”Ringhiò il drago con tono di rimprovero.
Il chierico non osava alzare lo sguardo verso il drago.
“Mio signore, chiedo perdono, ma questo stronzo ha passato la misura! Passi che non sa neanche cosa vuole, passi che sembra una mosca chiusa in una bottiglia e non fa altro che prendere a craniate le pareti, ma anche l’alto tradimento! Questo è troppo!”.
Il drago alzò un artiglio e lo posò delicatamente sulla testa reclinata di Jarren.
“Per fortuna che c’è Jarren qui, sempre attento, sempre all’erta, sempre vigile. Per impedire che gli spiriti incarnati cadano dallo stato di grazia”.
Il chierico non alzò lo sguardo ma sorrise soddisfatto sotto i baffi.
“Ma tu non sai niente di come si senta uno spirito incarnato. Tu non hai a che fare con la materia. Questo poveraccio e tutti i poveracci come lui sono perennemente flagellati da istinti, pulsioni, costrizioni e la terribile noia. Tu non sai come sia svegliarsi ogni mattina e vedere come prima cosa l’enorme cumulo di imprese da affrontare prima che il sole scivoli oltre l’orizzonte. Tu non lo sai. Sei un archetipo fatto di sogni ed ottime intenzioni. Loro sono fatti di carne e sangue.”
Il chierico non sorrideva più.
“Sprecare un incantesimo per bloccare le persone quando la tua energia positiva dovrebbe essere impiegata per curare la ferite che tu stesso hai procurato a tutti. Non senza l’aiuto di quell’uomo. Sul fatto che ti abbia provocato direttamente, quando le tue intenzioni sono rivolte alla sua protezione… siamo d’accordo.” Tolse l’artiglio dalla testa del chierico e si sedette come un felino, con la stessa aria autocompiaciuta.
“Io lo faccio perché non ha più senno quest’uomo! Non sa nemmeno correre e vuole correre sulle lame più affilate. Non sa volare e si lancia dalle alture più impervie. Non sa nemmeno più amare… credo.”
Il drago sbuffò una nuvoletta di fumo dalle larghe narici.
“Si messer RIGIDO. Anche io fumo, vedi? Eppure ti inginocchi e mi chiami Signore. Ma se lo fa lui gli fai la morale. E questo non è che un esempio. Amare dici? Che ne sai tu dell’amore? Tu che vivi in questa dimensione senza spazio ne tempo? Che vivi in lui ma non puoi vivere CON lui e soprattutto COME lui ?
La sua essenza è fissata alla materia, la sua materia è legata al tempo. Se non lo hai visto è perché non l’hai voluto vedere l’effetto che il tempo ha su tutte le cose. Si anche sull’amore, sul sacrificio, sul servizio. E conta che normalmente la contropartita per queste grandiose imprese, nel suo mondo, è solitamente scarsa, se non nulla…”
Il drago indicò l’uomo barbuto con un artiglio e piegò la testa fissando Jarren.
Il chierico alzò di nuovo il braccio verso l’uomo barbuto, che a questo punto si scosse.
Non aveva nemmeno finito di riprendere il controllo sul proprio essere che era già incazzato come un cinghiale in amore.
“Lo vedi come fa??!” disse rivolto al drago “mi blocca! Purché io non metta le mani nella marmellata mi ruba il vasetto! Quando trovo il vasetto mi trancia le mani!”
Il drago annuì pazientemente.
“In effetti è un pelo più stronzo di quanto dovrebbe. Anche tu, però ti fai venire certe fisse a volte…”
L’uomo barbuto si sedette di nuovo pesantemente contro la roccia e inziò ad arrotolarsi una nuova sigaretta.
Il che non era facilissimo, come le mani sporche di sangue.
“Certe fisse. Scusate entrambi miei inseparabili tratti della personalità se c’è anche uno spirito curioso dentro questo bidone di monnezza che mi hanno dato per corpo!”
Jarren allargò le braccia ed esplose in una risata “AH, l’autocommiserazione! La prima e l’ultima arma di questo umano ordinario! Dovreste saperlo quante di queste cantilene piagnucolanti ho dovuto sorbire per decine di anni! Le liriche, le invettive, gli strali, che sono dovuto stare ad ascoltare perché mi permettesse di curargli anche solo un graffio!”
L’uomo barbuto si accese la sigaretta con noncuranza: ” Puoi sempre andartene se non ti va bene, sai? Solo che io non sono così idiota da non sapere che ho bisogno ANCHE di te, e che mi mancheresti. Ma non ho bisogno SOLO di te.
In certi frangenti dovresti fare il vero lavoro per cui il tuo archetipo è stato concepito. Curare chi si ferisce mentre è in cerca di avventure ed esperienze, non bloccare la gente prima ancora che esca dalla cazzo di locanda!”
“Punto suo, Jarren.” Disse il drago.
“Si ma la sua smania è senza fine. Non riconosce più un’impresa nobile da un’impresa suicida. L’ho visto io gettare alle ortiche alcuni dei dono più belli che la vita potesse fargli! Perché non vuole mai quello che possiede, vuole solo ciò che non può avere o peggio, che non conosce! E più si annoia più diventa patologico!”
“Punto tuo Jarren.”
L’uomo barbuto si grattò la folta chioma ricciuta. “Non nego niente di ciò che ha detto Jarren. A volte mi sterminerei anche io, perché non riesco a trovare pace.”
Il drago mostrò una chiostra di denti affilati e candidi: “Non è nel tuo destino trovare pace, ormai credo sia ben chiaro a tutti. Ma quello che Jarren non comprende è il perché tu stia facendo ciò che fai.”
“Perchè la vita gli ha spappolato cervello e cuore” Ringhiò il chierico.
“Forse” ammise l’uomo barbuto “Ma per essere al livello delle tue aspettative avrei fatto la fine di un pezzo di pane dimenticato in una dispensa. Secco, muffito, morto. Puro eh, mai toccato da fauci umane o animali, certo. Ma fermo e morto. Jarren, alcuni di quei doni di cui parli si sarebbero potuti rivelare calamità nel tempo. Alcune delle cose che tu consideri calamità si potrebbero rivelare doni. Oppure no. Chi lo sa?! L’unica cosa che non voglio fare, amico di una vita, è ritrovarmi sul letto di morte e rendermi conto di non aver vissuto abbastanza.”
“Questo non risolve il problema di fondo ragazzi” disse il drago indicando con la zampa una delle rocce in penombra dall’altra parte della radura. Sulla roccia era posato un oggetto dalle forme regolari, liscio, lucido.
Ora tutti e tre lo videro chiaramente.
Era un barattolo di marmellata.
“Ora che si fa??”
Jarren scattò in piedi.
L’uomo barbutò scattò in piedi. Con un forte scrocchiare di ginocchia…
“Io non voglio morire senza sapere quale sia il gusto di quella cazzo di roba!” Tuonò l’uomo barbuto.
“Io fermerò questo pazzo prima che mandi tutta la sua vita, e la nostra, a puttane!”.
“Io..” iniziò il drago.
La radura si dissolse.
Le cicale cantavano, era un pò più fresco del solito, ma non un clima veramente piacevole.
L’uomo barbuto picchiava selvaggiamente sulle lettere di una tastiera……









Bene, dopotutto sono morti in pochi, a quanto pare.
Da quattro giorni la tangenziale è murata, ci si sposta alla velocità di un mulo con carretto annesso. Torni a casa e devi girare per dieci minuti per trovare un parcheggio libero.
Quindi, o è morta solo la gente che non guidava, o sono morti in pochi.
Di conseguenza non vaccinatevi, prendete l’automobile e girate a cazzo di cane intasando l’universo, questo dovrebbe garantire una discreta immunità.
Cronache pestilenziali a parte ciò che andrà ora a svolgersi è un drammatico e spietato resoconto della svolta psicologica non direttamente dipendente dall’anno di terrore sanitario passato, ma ad esso indiscutibilmente correlata.
Il lockdown (con questo termine indicherò tutte le forme dittatoriali cromatiche a cui siamo stati sottoposti, ogni sfumatura, per praticità) è stato un vero dito nel culo.
Per tutti.
Ma non per me.
E qui si abbatte il gong dell’apocalisse psicologica.
Io sono stato da DIO.
Certo, ho sofferto nel non poter vedere alcune persone. Pochissime.
Persone che comunque, da anni, non frequentavo giornalmente. Andava già di culo vedersi per tre settimane di seguito e regolarmente a gruppi. Quasi mai tutti insieme.
Per il resto: sono stato MEGLIO.
Meglio di prima, quando avrei potuto fare qualunque cosa (e non la facevo) e tutti mi costringevano a fare qualcosa (e spesso mi toccava di farla).
Ovvero, li, nel fondo della mia tavernetta appena restaurata, rinnovata e fonte di ogni gaudio e fierezza…. c’ero solo io.
Ed ho capito.
Ho capito una cosa che non potevo o non volevo capire, forse per falsa modestia o per il piacere dell’autoaccusa inquisitoria che è mia delizia e croce da sempre.
Ma quella cosa, una volta tagliato fuori da tutto (tranne che dal lavoro), non ho più potuto eluderla o nasconderla.
Io sto benissimo con me stesso.
A quasi quarantaquattro anni sono ancora in grado di farmi ridere, di cantare, di suonare, di giocare, di cucinare superbi manicaretti, di ballare come un idiota e sempre da solo.
Si.. anche di darmi piacere sessuale, coadiuvato da alcuni gloriosi ed estremamente economici oggetti in pvc (sia lode alla tecnologia, alle volte) e una semplice connessione internet.
E li, nel luminoso abisso del mio regno nanico ipogeo ho scavato fuori il vero tesoro di tutti i tesori:
io mi basto e non mi serve un cazzo di nessun altro.
Ma non mi basto nel senso che “mi faccio bastare”, che mi accontento. Mi basto nel senso che mi adoro, cazzo, in una maniera assolutamente imbarazzante.
E’ possibile, in questa epoca fluida in cui nemmeno il genere è più una fissità naturale, che un individuo scopra di essere fottutamente innamorato di se stesso?
Certo, la predisposizione c’è sempre stata, fin dall’infanzia.
Il mio momento paradisiaco all’asilo consisteva nell’ora del riposino, al quale ovviamente io mi sono sempre opposto senza mezzi termini.
Infatti quell’ora in cui tutti gli altri sparivano e potevo farmi i cazzi miei da solo era il momento migliore della giornata.
Avevo quattro anni. Qualche sospetto avrebbe dovuto venirmi…
Poi quel bambino è cresciuto.
Avevo una decina di anni, camminavo nell’afa dei pomeriggi estivi tra i boschi ed i campi affacciati sul lago di Suviana.
Stavo leggendo “la storia infinita” per la prima volta.
Ero completamente solo. La casa più vicina era a mezzo kilometro dalla mia e io, di andare tra i truzzi di montagna in paese, non ci pensavo nemmeno.
Stavo sdraiato sull’erba o fra le stoppie di un campo. Sentivo il sole sulla pelle. Fissavo le nuvole.
Le fissavo con tutta l’attenzione e l’intenzione di cui solo un bambino può essere capace.
Aspettavo che da quel mutevole gioco di forme spumose spuntasse improvviso, fulmineo e serpentino… un candido drago della fortuna.
No, non è mai spuntato.
L’universo non è mai stato interessante come la fantasia.
Ma solo ora, in questo preciso momento della mia vita, mi torna come un colpo di flagello in petto l’immagine di quel bambino che avrebbe potuto disegnare un atlante delle nuvole.
Era perfetto.
Solo e salvo.
Come ci racconta De Andrè nel suo album di addio: le “anime salve” sono spiriti solitari.
Perché respinti, nella maggior parte dei casi. Perché respingenti, nel mio caso specifico.
Io sono respingente.
Mi sta sul cazzo adattarmi ai cazzi altrui. Dalla scelta del brano musicale da ascoltare all’idea di mettere su famiglia.
E’ difficilissimo per me organizzare qualsiasi cosa che involva più di due persone. Delle quali una devo essere io.
Come diceva il mio idolo Churchill: “Il potere funziona quando si è in due a decidere…e l’altro è malato”.
La pubertà, la maturazione, la sperimentazione, la sessualità, mi hanno costretto naturalmente a confrontarmi con il resto del mondo.
Sulle prime mi trovavo spaesato, perché ero convinto di non capire un cazzo io.
Adesso, dopo tutto ciò che ho vissuto, fatto e sofferto… sono abbastanza certo che siano tutti gli altri a non capire un cazzo.
Innanzitutto non riconosco più alcuna forma di potere superiore su di me. Che sia del governo umano, del giudizio divino o della volontà dei congiunti.
Perché i congiunti (adesso che abbiamo sdoganato questo termine per indicare chiunque si sia autorizzato a farsi i cazzi tuoi, lo uso!) alla fine, sono l’entità più elusiva e pericolosa di tutte.
Dio è il primo che si fa fuori, visto che grazie a Lui stesso non stiamo più nel Medioevo puoi tranquillamente sbattertene il cazzo di quanto ti abbiano insegnato in merito. Specialmente dopo aver assodato incontrovertibilmente che sono tutte stronzate inventate da repressi e psicotici per mantenere l’ordine su organismi senza controllo alcuno.
Lo Stato facciamo come non ci fosse. Rispettiamo le leggi nella misura in cui ci conviene, aggiriamo quelle che possiamo e cerchiamo di far finta che non esista, tanto non è più utile di Dio, anche se è più presente e rompe i coglioni nel concreto.
Ma i congiunti?
Bel casino.
E’ un bel casino dire ad una persona a cui vuoi bene “senti, è tutto bello bello e con te sto bene, ma non mi rompere i coglioni perchè io:
1) Del tuo giudizio me sbatto il cazzo.
Il tuo giudizio è fallace e soggettivo come quello di qualunque altro essere vivente. Non puoi impormelo sul ricatto dell’affetto. Inoltre se lo fai, l’affetto calerà di conseguenza, perché ormai mi sono svegliato e questi giochetti mi fanno vomitare. Quindi farò tutto ciò che IO riterrò giusto per me.
2)Non ho bisogno di te.
Magari amo stare con te (con disco orario, puntualizzo) ma non ho bisogno di te.
Quello che fa tutte le cose che adoro, guarda caso: SONO IO!
Quindi manco è il caso di tirar fuori il ricatto della vagina (sei nato dalla mia, non te la do più, non te la do e basta) che tanto c’è il PVC, Porn Hub e appena riaprono le frontiere i bordelli di lusso transalpini.
Quando chi mi ha cagato al mondo non mi ha più fatto le lavatrici ho imparato a farle io. Se dovessi imparare anche a volare sbattendo le chiappe per liberarmi dalla dipendenza da qualcuno, stai certo che lo farò.
Inoltre alle prime avvisaglie di un ricatto, di un ultimatum o similari stai certo che la mia risposta sarà il badile.
Di piatto.
Sulle gengive.
3) Dei tuoi cazzi me ne sbatto il cazzo.
Certo, ascolterò sempre un amico, un parente, una partner nel momento del bisogno. Ma NEL MOMENTO DEL BISOGNO. Il che non significa ogni volta che non sai cosa fare della tua vita o, più meramente, ti annoi ed hai bisogno di attenzioni.
Inoltre non mi impegno in alcuna progettualità che non sia anche mia.
Se vuoi costruire un panfilo di mollica di pane ed attraversarci l’Egeo hai la mia benedizione, ma non sta scritto da NESSUNA PARTE che il mio affetto mi costringa ad aiutarti se non ne ho voglia. Ora, nel caso del panfilo ovviamente aiuterei… se vuoi che faccia un mutuo a mezzo con te per una casa o che ti metta incinta…NO.
4)Ne ho i coglioni pieni.
Mi hanno fracassato, flagellato, incendiato, calpestato, sbudellato, triturato e sfilettato i coglioni da quando ho memoria.
Dai miei genitori per la famiglia che avevano costruito LORO e mi son trovato sulla groppa IO, ai clienti e datori di lavoro che non sanno trovarsi il culo con entrambe le mani.
Passando per fighe profumiere (quelle che te la fanno solo annusare), direttori di coro, amici (conoscenti, da parte mia) psicolabili depressi o bisognosi di affetto, moralisti in erba, fidanzate incontentabili, truzzi, amici invadenti e fantasmi.
Non intendo più darvi un chicco di riso di più di quanto IO stabilisca.
5)Ho abbracciato, perdonato e giustificato (specialmente grazie a tutti voi) il mio monumentale, divino e autocompiaciuto EGOISMO.
L’unica fondamentale differenza tra il mio egoismo ed il vostro è che io mi autogestisco e non rompo i coglioni agli altri. Perchè non ho bisogno degli altri.

E’ difficile fare digerire questi semplici, modesti e piuttosto concisi cinque punti a gente che ha deciso, o si è trovata, ad intrecciare la propria vita con la tua.
In sostanza l’EGOISMO puro e semplice non è un progetto, una meta, un punto d’arrivo.
E’ già la mia realtà. E’ già così.
La mia crisi di mezza età alla fine non si è tradotta in una lamentosa ricapitolazione di fallimenti e sogni infranti.
Si è tradotta nel decollo di uno spirito che è diventato FINALMENTE, realmente: LIBERO.
Ed è inoltre assolutamente inattaccabile perché non coinvolge altre persone.
Non è l’egoismo di chi lede il prossimo per avvantaggiare se stesso.
E’ l’egoismo che lascia il prossimo a se stesso e alla sua totale inadeguatezza: una crudeltà molto, molto, molto, più nobile e raffinata.
Roba da leccarsi le dita…
Ed in fondo è da ammettere.. mentre guardo la sinfonia di sfaceli umani che mi circonda sento quel bambino che fissava le nuvole sdraiato su di me, ora.
E so che è lui che mi ha salvato. E’ lui che IO ho salvato dagli sfaceli della vita.
Forse l’ho nascosto, forse mi sono nascosto io dietro di lui…non lo so!
So so solo che quel bambino non voleva che gli si rompessero i coglioni. La sua impresa era tracciare un atlante delle nuvole fino a trovare quel fottuto, sfuggente, onirico drago della Fortuna.
E lui è sopravvissuto mentre non avevo i soldi per pagare le bollette, mentre cercavo di educare mia sorella come avrebbe fatto un vero padre, mentre tenevo in piedi le baracche famigliari, lavorative, interpersonali, che gli altri NON SAPEVANO regolarmente gestire.
(Mica che mi sia riuscito tutto, ma oggi come oggi non mi lamento.)
Mentre la maggior parte delle persone che incontravo mi considerava un pagliaccio, una macchietta, un essere risibile, gonfio e naturalmente buffo.
Mentre non me la davano.
Lui è sopravvissuto.
E mi ha salvato.
Perché ha continuato a sussurrarmi nell’orecchio che tutte queste grandi imprese che ci vengono inculcate dalla società, dalla tradizione, dalla massa che ci circonda…. sono ancora meno utili e più dannose che tenere gli occhi al cielo e delineare un atlante delle nuvole.
Lui non ci ha mai creduto ed ha fatto si che io non mi perdessi mai, che non fossi mai infinocchiato dalle promesse altrui.
Mi ha sempre ricordato che la mia diversità era la fonte primaria della mia luminosità.
Che non era NECESSARIO, INEVITABILE fare tutte quelle cose “serie” ed “adulte” che cercavano di picconarmi a forza nel cervello.
Che la vita era mia, che io ero solo mio.
Che se avessi scelto di passare ogni secondo, dalla culla alla bara, solo ed unicamente giocando… potevo farlo.
Che solo un “contrario”, un sacro buffone pellerossa poteva entrare in contatto con l’energia del divino.
Che IO e solo IO ero in grado di incanalare quell’energia radiosa come avrebbe fatto un vero chierico.
Ed ora, probabilmente, non farò nulla di eclatante o differente da ciò che ho sempre fatto.
Ma so che comunque vadano le cose, le farò sempre con la persona più incredibile che io abbia mai incontrato: ME STESSO.
Il drago della fortuna era quello che guardava le nuvole sdraiato sull’erba, cercando se stesso.

COSMOS

Cosmos: Odissea nello spazio – Wikipedia

Ho viaggiato nelle galassie. Mi sono reso infinitamente piccolo, meno di un atomo. Ho risalito il fiume del tempo come un salmone, fino alle sue origini. Sono stato in mondi lontani e in luoghi vicinissimi che da sempre ignoravo.
Ho pianto. Tanto.
Ma davvero, con i lacrimoni. Perché tutto ciò che vedevo ed udivo era di una bellezza sconvolgente. Era la bellezza perfetta.
La bellezza dei miei draghi: la maestà e la grazie fuse armonicamente alla minacciosità e al terrore.
E tutto quello che mi è stato mostrato, raccontato ed insegnato era vero. O perlomeno faceva parte di ipotesi sostenibili.
Per me, l’onirinauta che schifa da sempre la realtà, è stata un’esperienza struggente.
Non erano mondi inventati quelli che mi stringevano il pomo d’Adamo costringendomi alla commozione. Erano mondi reali.
Certo, un po’ imbellettati grazie a nostra signora della CGI, volendo essere veramente pignoli, ma non erano favole.
Cosmos è una serie di divulgazione scientifica sulla carta. Ma per me è altro, è poesia.
E’ il punto di incontro esatto in cui la matematica diventa musica, è Bach.
Non credevo possibile che la prima serie fosse superabile, ma per la mia personale sensibilità questa seconda serie è ancora più letale.
La prima serie è stata una sogno ad occhi aperti. Non avrei mai creduto di poter vedere qualcosa di così ben fatto nell’ambito della divulgazione scientifica. Una narrazione completa di ogni scaltro espediente del mondo dello spettacolo (la grandeur visiva, i piccoli cliffhanger, le strizzate d’occhio allo spettatore) eppure estremamente seria e profonda nella sua esposizione.
Con seria non intendo, appunto, pesante.
Non c’è noia. Se c’è noia è perché lo spettatore non ha mai connesso due neuroni in vita sua (e ce ne sono…).
Eppure la prima serie era, da un certo punto di vista, molto tecnica.
Una grande antologia che esponeva scoperte, meraviglie e rare conoscenze attraverso la vita dei protagonisti, per lo più.
Si trattava di scienziati che celebravano altri scienziati.
In un certo senso c’era più storia della scienza e meno storia naturale.
Non necessariamente un male, ma ovviamente taluni argomenti possono risultare più interessanti di altri…
La seconda serie invece…non mi faceva prendere il respiro.
Pur essendomela fagocitata intera nell’arco di un week end mi sorprendevo a guardare l’orologio ed accorgermi di essere nel cuore della notte… e non volere andare a dormire.
Mi sono scoperto a cercare di dormire rimuginando ancora su quanto avessi visto.
Perchè per quanto mi riguarda è andata fuori scala.
C’è più poesia, c’è più celebrazione dell’armonia naturale dell’universo. C’è più natura e meno umanità.
E come sempre, togliendo l’umanità, l’equazione diventa perfetta.
Per uno che sogna come paradiso non quaranta vergini od orgie nel valhalla, ma solo la risposta finale e totale a tutte queste cazzo di domande che l’universo pone…. è struggente.
Niente mi procurerebbe un orgasmo più forte che camminare tra i dinosauri, assistere alla nascita di una stella, potere vedere un atomo, seguire una nota nella su onda sonora, esplorare gli abissi marini o planare sulle foreste di un pianeta alieno.
Nessun potere umano, nessun artificio umano, nessun inganno umano, nessuna corruzione umana.
Con mia somma gioia, infatti, gli autori non si sono affatto risparmiati dal bacchettare apertamente la nostra insulsa razza.
Seppure un atteggiamento tutto sommato ottimista (specialmente nelle ultime puntate) e con una certa grazia, il monito che lancia nei confronti del futuro è plateale.
Ciò che forse non è plateale, ma mi è stato restituito con una discreta forza, è l’immane fascino di tutto ciò che ci circonda.
Che ci inventiamo divinità per inventarci dei prodigi quando i prodigi sono tutto intorno a noi, continuamente. E non li vediamo e non li guardiamo.
Non so se non l’abbiamo mai fatto e se la situazione sia pesantemente precipitata dall’inizio della rivoluzione industriale (si, caro DeGrasse, io so quando farei iniziare l’antropocene). Non so se Colombo guardasse le stelle solo come punti di una possibile rotta o se si commuovesse anche per la bellezza della volta stellata sull’oceano. So che noi non lo facciamo quasi più.
Specialmente da quando quello scatolotto di merda che trasmette immagini ha degradato la nostra idea di “spettacolo” dalle meraviglie del cosmo a “Tizi che ti raccontano i cazzi loro così credi pure che siano veri”.
Stiamo tutta la vita ad arrabattarci sulle gare di cucina e i culi delle Veline quando i funghi hanno creato sottoterra un Internet ante literam, che è li da prima dei Dinosauri.
Ma ovuli o tartufi?
Ma in culo ai menù, cazzo!
Mangi le tagliatelle ai porcini e non ci pensi che stai mangiando una creature vivente, che non è animale né vegetale (e qui i faziosi del cibo voglio proprio vederli..)ma soprattutto che quello che stai mangiando è una minchia! Il cazzo del micelio che è spuntato da terra per sporare (assonanza suprema) in giro.
E buon appetito.
Ma a voi… non viene da star svegli la notte chiedendosi che cazzo sia veramente un fungo??
O un insetto?
Perchè siano così diversi da noi eppure facciano parte di noi, di tutto il sistema che ci include e che noi crediamo solo sia il nostro self service/cesso personale??!
Forse sono io ad essere malato, mentalmente.
Però dopo quarant’anni di meschinità umane non mi interessano più in alcun modo le storie degli esseri umani.
Sono sempre le stesse e sono sempre più noiose: chi ammazza chi, chi scopa chi, chi è migliore di chi, chicchirichi.
Ma non vi sentite delle merde disadattate scoprendo che un albero analizza chimicamente la saliva del bruco che lo sta mangiando e risponde chimicamente per debellarlo?
Non vi sembra che sia tutto un teatrino idiota quello che recitiamo ogni giorno pensando alla distanza che ci separa dalle stelle?
Io mi commuovo, mi commuovo per eccesso di bellezza.
Perchè è una bellezza così inconcepibile, se vista tutta insieme, che deve proprio essere come trovarsi al cospetto di un Dio.
Io ringrazio gli autori, DeGrasse (che ormai amo come lo zio che non ho mai avuto), i creatori, i grafici, gli sceneggiatori e chiunque abbaia contribuito alla realizzazione di una tale meraviglia.
Una meraviglia che dovrebbe dimostrare come si debba veramente insegnare e soprattutto COSA si debba veramente insegnare.
Non i nostri prodigi, le nostre opere, la nostra sanguinosa storia…. ma la nostra fragilità, la nostra piccolezza, la nostra vera posizione in un caos ordinato ed immenso.
Un caos che sopravviverà tranquillamente anche senza di noi.
Siamo NOI che dobbiamo meritarci un posto all’interno del cosmo.

Io e le Droghe

Purtroppo mi tocca di ammetterlo. Benché mi faccia particolarmente schifo, il mondo in cui viviamo attualmente è uno dei migliori che potessero capitarci. Storicamente è difficile trovare un’epoca in cui l’essere umano abbia potuto muoversi con tale rapidità, sicurezza e disinvoltura, abbia potuto essere così coccolato dai prodigi della tecnica e si sia sentito, nonostante tutto, pronto ad ingoiare il futuro.
Quello che chiamavamo “il dopoguerra”, nella nostra vecchia e cara Europa, è diventato lo standard. Voltandosi indietro (o voltando una pagina a caso di un libro di storia) il “dopoguerra” è stato praticamente sempre, perché più di settant’anni senza sfracellarsi a cannonate non si sono quasi mai verificati.
Quindi una roba che mi fa ribrezzo, devo anche considerarla una monumentale botta di culo.
Avrei potuto nascere schiavo, servo della gleba, minatore in Gran Bretagna o semplicemente usuale contadino pronto a diventare carne da cannone prima di aver conosciuto il calore di una donna.
Certo, il discorso è valido solo per il nostro mondo occidentale. In buona parte del resto del mondo la situazione non è migliore di quella di un pezzente medievale.
Ma a noi che ci frega? Stiamo dalla parte di quelli grossi…
Invece, ci frega.
Perché da che mondo e mondo l’uomo non ha mai retto il mondo.
L’essere umano ha sempre cercato, trovato ed abusato di qualche sostanza psicoattiva per stordirsi quel tanto che bastava da cancellare la percezione della realtà. E non è un fenomeno casuale, limitato o di portata irrisoria.
E’ sistemico.
Nella Bibbia stessa scorre alcol a fiumi, anche per i grandi patriarchi e (qualcuno dice) anche per qualche “divinità”.
Gesù stesso ha scelto il vino per simboleggiare il proprio sangue. Non il succo di mirtilli, non la spremuta di arancia: il vino.
Gli indiani d’america (poveracci..) che erano una delle poche culture sobrie del pianeta sono stati devastati dall’effetto dell’alcol, che noi europei abbiamo gentilmente offerto, prima che i colpi delle gatling finissero il mesto lavoro.
Ed eccomi qui, alla crisi di mezza età, con la consapevolezza di essermi drogato sempre TROPPO POCO.
E qui, il grande interrogativo: di preciso, quale sarebbe il vantaggio del muoversi in un mondo pericoloso, esigentissimo (non sono ammessi errori, pena: perdi tutto ciò che hai), spietato e prontissimo ad incularti alla prima occasione…. con la mente ottenebrata che non capisce un cazzo?
Sinceramente è una domanda che non ho mai smesso di pormi.
Ora, non essendo astemio o moralista da questo punto di vista non ne faccio una questione etica. Fosse per me si legalizzerebbe ogni tipo di droga concepibile, ci si pagherebbero le tasse sopra e se ti causa dei danni CAZZI TUOI.
Cosa che già accade per il tabacco e l’alcol senza che si aprano le nuvole e Dio ci flagelli di saette.
Sinceramente io stesso amo follemente una bella serata di baldoria con gli amici, sbronzarmi fino a non sentire più le gengive e metterci due giorni a ritrovare il duodeno..
Ma quella è una bella serata dedicata, pensata e pianificata allo scopo di “per qualche ora non voglio più capire un cazzo”.
Morta li. Da domani si ricomincia come sempre con le rotelline del cerebro che vanno per gli affari loro sbattendosene di me ma che almeno sono pronte all’uso.
Quello che non capisco e un pò temo è l’abitudine sistematica allo stordimento neurale.
Se per qualsiasi motivo, durante il lavoro, ingerisco un bicchiere di alcol (anche di scarsa gradazione) e la mia mente molla il colpo per un secondo… sono inutile per il resto della giornata.
Eppure c’è gente che lavora bevendo, stroncandosi di canne, pippandosi le nevi del Kilimangiaro, ingoiando barbiturci come caramelle alla menta.
Come fanno?
Ora, il principio fondamentale per cui “il mondo è una merda, sta merda non la reggo e ho bisogno di qualcosa per obnubilare la percezione” lo capisco.
Il problema, mi pare, è che l’effetto sia lo stesso del fine settimana dopo cinque giorni di lavoro: aiuta, MA COL CAZZO che risolve.
Ecco, io, nel mio misero modo di vivere non riesco a concepirlo.
Non bevo nemmeno una birra se sono da solo, che mi viene la malinconia, perché bere da soli non è come masturbarsi, per me.
Masturbarsi non è un sostituto disperato del sesso. E’ un’altra cosa, insostituibile, tra se stessi e se stessi.
L’alcol in solitaria no, per quanto mi riguarda.
Senza l’alchimia delle facce, dei lazzi, delle trovate, delle minchiate dei miei storici amici la sbornia è come una testata contro il muro della disperazione per quanto mi riguarda.
Si, anche io non sopporto il mondo che mi circonda, forse lo sopporto meno di quanti ricorrano da ogni tipo di artificio cerebrale per smettere di ricordarsene. Eppure trovo che sia più saggio essere mentalmente lucidi.
Forse che sia il mio indistruttibile slancio verso il martirio che mi costringere a bere tutto l’amaro calice senza il sollievo di tapparmi il naso?
Forse una smania da maniaco di controllo illuso di poter sempre porre una pezza sulle falle dell’universo se rimane abbastanza attento e scattante?
Forse è solo il mio organismo, che va per i fatti suoi, ed ultimamente non mi concede nemmeno una sbornia decente.
La mia mente fa muro. La mia mente non accetta di essere messa da parte. La mia percezione vuole sapere, vuole sempre essere all’erta, attenta.
Ero uno di quei bambini che non ha mai ficcato la testa sotto le coperte quando aveva paura nella notte (e ne avevo!).
Per me non sapere era più atroce che sapere. Avrei preferito vedere un mostro incedere verso di me, sbavante e ruggente piuttosto che attendere sotto il lenzuolo l’artiglio letale.
Quindi, in fondo, se per gli altri funziona (e direi che funziona bene per una gargantuesca fetta di umanità) forse… provo una punta di invidia.
Perché ad alcuni di noi non nemmeno concesso staccare la spina un attimo, trovare conforto in una scappatoia, per quanto temporanea dall’orrore incessante che ci circonda.
A parte qualche cannetta non ho mai provato alcuna droga seria. E non mi sento sollevato, mi sento IGNORANTE.
Perchè non ho idea di quale effetto benefico o malefico avrebbero su di me sostanze più potenti della canapa seccata.
Questa virtù che mi scende sul capoccione dall’alto, che mi fa guardare storto le droghe, mi fa trovare ridicolo il gioco d’azzardo, e mi riempie di perplessità davanti alla prostituzione, mi ha tolto tutti i pilastri storici che hanno dato all’uomo nel corso dei millenni la possibilità di non suicidarsi felicemente prima della maggiore età.
Io non capisco e un po’ trovo degradante l’abitudine di spegnere il cervello.
I vizi sono pericolosi perché sono sempre sull’orlo di una ripida discesa. Basta un niente per trovarsi a rotolare verso il basso.
Però, anche questi magalitci “MAI” mi rompono veramente il cazzo, alla mia veneranda età.
Comunque sia ho già 29 nuove bottiglie di birra autoprodotta in fermentazione.
Che non so se mi spengerà la sinapsi, ma sicuramente farà fare gli straordinari ai miei reni….

L’una e venti di notte. Non ho sonno. Cyberpunk 2077 ha ingoiato tutte le mie voglie e tutte le esigue pulsioni rimastemi. Non c’è più niente del mondo reale che mi scuota più di un alito di vento. Nemmeno questo virus.
Questo virus del cazzo.
La situazione della realtà è talmente surreale che l’ultimo videogioco di punta, appena uscito, risulta tutto sommato più credibile.
E lo è da quasi un anno. Mesi e mesi di bollettini di guerra, con conta dei cadaveri e degli appestati. Con caccia all’untore e paralisi sociale.
La follia, quella umana, è sempre stata e sarà sempre il virus più tremendo che imperversi su questo pianeta.
La nostra attrazione per la necrofilia non è assolutamente un dato sorprendente, né nuovo.
I telegiornali che sono stato costretto a vedere per vent’anni (quando il padre padrone non ammetteva eccezioni) erano pagine grandguignolesche grondanti sangue, cadaveri, efferatezze e crudeltà.
Cose sublimi come un corale di Bach vengono trasmesse una volta al giorno su un unico canale (ma mica tutti i giorni).
Cose bestiali come i telegiornali vengono trasmessi tre, quattro volte al giorno su ogni canale mediatico.
Anche questo ci fa un gran bene all’anima.
Ci piace contare i morti, è la cosa che più amiamo. Forse perché inconsciamente sappiamo che finché siamo tra quelli che contano non siamo ancora nella pila dei corpi in putrefazione.
“Quelli che contano”… ecco perché tutti vorrebbero essere tra loro.
Mi ha fatto gioire, personalmente, tutto questo casino. Davvero.
Per un malmostoso nerd antisociale che sogna solo di vedere la fine dell’umanità era un ottimo inizio.
Ma poi non è andata come doveva andare.
Non è stata (fino ad ora, almeno) la peste del ‘300. Non ci siamo ritrovati vivi in un terzo con il triplo delle risorse e una bella fetta di rompicoglioni fuori dalle palle.
Siamo sempre gli stessi, dobbiamo fare le stesse cose di prima, ma non ci riusciamo nemmeno più.
E si che le cose che facevamo prima erano già un casino, ed era un casino farle.
Perché nella nostra furia di regolamentare tutto creiamo regole su regole, regole che richiamo altre regole, regole che eludono altre regole, regole che regolano altre regole, regole che non ammettono regole.
E’ tutto un grande circo di tentativi per ordinare il caos dell’universo con un coltellino svizzero e due dadi da sei.
Così da un anno ci basiamo su dei dati per decidere come vivere peggio una vita che già faceva cagare ai cani.
Contiamo i morti. E per evitare che i morti salgano chiudiamo in gabbia i vivi.
Cosa facciamo, andiamo avanti così per l’eternità?
Finalmente si è materializzato nella realtà quello che sostenevo da una vita: non sono le sbarre a fare la prigione.
C’è un emergenza, siamo tutti d’accordo. Più o meno nefasta di quanto si sbandieri, questo non lo posso sapere, ma non credo lo sappiano nemmeno quelli che analizzano la pila dei cadaveri. C’è, va bene.
Abbiamo fatto di tutto per scongiurare l’emergenza, ma l’emergenza ce lo sta sbattendo allegramente tra le natiche, pare.
Quindi?
Che si fa?
Ci muriamo dentro i nostri appartamenti per il resto della nostra vita?
Facciamo morire di fame tutti quelli che hanno perso l’attività con cui l’economia di merda li aveva costretti a campare?
Facciamo crescere una nuova generazione senza che abbia mai toccato un abbecedario o visto la luce del sole?
La morte fa paura, certo. Ma c’è morte e morte a quanto pare.
Mentre metà mondo si prendeva a fucilate o machetate noi continuavamo tranquilli a servire pizze, fare concertini, gavottare all’aperitivo e trovare da scopare su Tinder (ma voi…ci riuscite??).
Mentre altri morivano a cumuli, senza virus in mezzo alle palle.
Erano meno morti di noi? E nessuno faceva un cazzo. Anzi si lavorava perché la situazione rimanesse ben stabile.
Negli ultimi cinquant’anni nessuno ha ancora capito un cazzo di come curare il cancro.
Metà delle persone che ho conosciuto sono morte di cancro o l’hanno avuto.
Ma non ha mai influito sulle nostre vite.
Non ci è mai stato proibito di andare a puttane o a sciare perché qualcuno moriva di cancro e bisognava fare qualcosa tutti insieme. Spendere le risorse planetarie per far cessare i conflitti o curare malattie che seppellivano una fetta molto più consistente della popolazione di quella attuale che crepa di raffreddore.
Ci siamo cagati addosso tutti insieme in un concertato momento di isterismo terrestre simile a quelli che avvengono nelle sale delle borse finanziare, e che uccidono non meno di questo.
Beh, la follia sta da una parte nel volere arginare il fumo soffocandosi con un sacchetto di plastica, dall’altra sta nel fottere la vita a tutti per proteggerla a tutti i costi.
Se uno sale su un palazzo e si butta di propria volontà alla società non deve fregare niente. Uno in meno che mangia.
La società deve impedire che qualcuno possa prenderti, portati su un palazzo e lanciarti di sotto CONTRO la tua volontà.
Qui si sclera e si vomitano soluzioni a cazzo di cane perché ci si trova di fronte ad una minaccia invisibile, silenziosa e potente. Un nemico al quale non si può sparare.
Ed ecco fottuta la strategia umana degli ultimi diecimila anni per trattare con i problemi: distruggerli.
Beh umani fateci pace con questo concetto: ci sono problemi che non si possono far saltare in aria, bisogna accettarli, conviverci e, se si può, sopravvivere ad essi.
Tutto questo casino non serve a impedire che la gente muoia, perché come già è chiaro da sempre non frega niente a nessuno di quanti ne muoiano, a prescindere dalla causa, altrimenti i libri di storia sarebbero un elenco di scoperte e non di guerre.
Tutto questo teatro serve solo e unicamente a non mandare a puttane il servizio sanitario degli stati.
Perchè il servizio sanitario è una cazzo di industria (in origine forse no, ma oggi si), e l’industria è fatta di costi e guadagni. E come qualsiasi industria finché guadagna sono cazzi di chi ne è proprietario, quando perde troppo … magolamagamagia sono cazzi di TUTTA LA SOCIETA’.
Quindi è la società che non deve ammalarsi, non è chi guida la società a non dover essere in grado di gestirne i picchi.
Quindi facciamo regole perché accada l’impensabile: la gente smetta di vedersi e toccarsi.
VEDERSI E TOCCARSI.
Se andiamo solo un passo più indietro sulle pulsioni basilari degli esseri viventi rimane solo RESPIRARE.
E che le regole valgano per tutti, mi raccomando, perché salveranno tutti.
Riassumendo dopo i primi undici mesi di alternanza tra seppellitevi-in-cantina e fate-il-cazzo-che-vi-pare la situazione è la seguente:
mentre io devo lavorare il triplo conosco gente che non può lavorare da mesi e tantomeno sa quando potrà di nuovo farlo. Mentre io non posso vedere la mia ragazza perché vive da sola a tre comuni di distanza e fa tamponi ogni due settimane (tutti negativi) c’è gente che sbrocca perché vuole sciare in Austria.
In Austria? Io non posso uscire dal comune e lui deve andare a sciare in Austria?
Le regole a cosa sono servite?
Le regole, come sempre, sono pezze che mettiamo sulla diga che argina la merda che si sta sgretolando inesorabilmente. Perché non ne abbiamo idea, di nulla, solitamente, delle cose che abbiamo sotto gli occhi da millenni. Figuriamoci un fatto inaspettato!
E non possono valere le stesse regole per chi le rispetta e per chi se ne fotte.
Io ho sempre usato la mascherina. Mi sono sempre disinfettato le mani. Non sono andato in vacanza in luoghi affollati, non sono nemmeno più entrato in pub o in un cinema da undici mesi.
Perché quest’estate erano tutti al cazzeggio?
Perché le regole che valgono per il comune di un paesino di cento anime sono le stesse che valgono per una megalopoli di milioni di abitanti?
In una metropoli, se non puoi uscire dal comune puoi comunque organizzare un orgia con scambio di fluidi corporei tra migliaia di persone, se ti va (prego invitare anche me stavolta).
Perché fate finta che vogliate proteggerci quando non ci avete protetto per un secolo da: due guerre mondiali, dalle stragi degli anni di piombo, dall’epidemia di Aids, dalla malavita organizzata e dall’oligarchia del più furbo?
Perchè dovete mettere regole da prigione federale per un’influenza (per quanto letale) quando ve ne strabattete il cazzo dei danni continui, atroci, efferati ed impuniti di un’economia mostruosa e spietata?
Non siamo nel medioevo. Non si possono chiudere le porte della città per poi riaprirle dopo qualche mese e fare la conta dei sopravvissuti.
Perchè il mondo che avete creato, voluto e costruito non ha più porte! Questo esigeva la vostra economia del cazzo. E finché faceva vendere minchiate andava benissimo. Adesso no, ma non si può più tornare indietro di quattro secoli in un anno.
Siamo sempre gli stessi. Da migliaia di anni. E lo saremo anche nel futuro.
Cyberpunk me lo insegna.
Il virus che ci flagella ha come unico intento la propria sopravvivenza anche a costo della nostra.
Noi abbiamo come unico intento un’utopica scalata all’onnipotenza a costo della sopravvivenza di chiunque e anche della nostra su questo pianeta.
Siamo più feroci e insensibili del virus, presi come razza (i singoli ovviamente non contano un cazzo).
Qui il problema non è più il problema. Il problema sono le soluzioni che adottiamo per risolvere i problemi. Che creano SEMPRE più problemi del problema originale.
Si sta creando una massa critica in grado di far collassare l’economia, la società stessa.
Se questo avverrà procurerà molte più sofferenza e morti di quante ne avrebbe provocate il virus se ce ne fossimo francamente infischiati.
Perché la struttura della società umana nella quale vivevamo era una vera MERDA, ma non sappiamo immaginarci altro, non siamo preparati.
Quindi sarà il caos e, come dice giustamente Asimov :” il caos derivante dal crollo di un sistema, per quanto orribile possa essere stato, sarà molto più orribile e molto più duraturo del sistema originario”.
Sono le due di notte. Non ho sonno.
Fuori è freddo, qui dentro sudo in maglietta.
Anche la stanza in cui sono al momento è un costrutto virtuale che abbiamo creato per separarci dalla realtà.
Va bene. Starò qui dentro. Da solo.
Giocherò ad una storia virtuale dentro una tana virtuale mentre fuori il mondo andrà in pezzi o ci farà a pezzi.
Moriremo di depressione e pazzia pur di fottere un nemico che probabilmente ignora del tutto la nostra esistenza.
Sarà una grande vittoria.
Andrà tutto bene… per i virus.





Adesso state in casa.
State in casa come me.
Sarà una piccola, pidocchiosa, ridicola soddisfazione alla fine dei conti, visto lo sfacelo che ci aspetta, ma almeno posso dire di averlo vissuto.
Finalmente ho visto il mondo degli uomini FERMARSI.
E’ una goduria.
Dopo quarant’anni di odio e stridore di denti nei confronti del mondo che mi circondava, dopo una vita intera di impotenza, di inadeguatezza, di sudditanza nei confronti di un mostro così enorme ed onnipotente… finalmente lo vedo in ginocchio.
Certo non andrà meglio a me che a lui, ma il mostro che ha inquinato la mia vita ed il pianeta finalmente mostra un segno di vulnerabilità.
Ed è stato costretto ad inginocchiarsi di fronte alla cosa più piccola, invisibile, irrilevabile che si potesse ipotizzare: un virus.
Oh, si. La falce della trista mietitrice sfiora il mio collo come il suo, ma sarebbe un piccolo prezzo dover morire se solo potessi farlo guardando nelle sue pupille vitree, terrorizzate, impotenti.
La morte gira per le strade con la stessa sinistra epicità di una piaga biblica.
E mi dispiace ammetterlo, mi dispiace provare tanta lussuria nell’affermarlo ma….
… c’è veramente dell’epica in tutto questo.
Un nemico che non ci odia ma lo stesso finisce per distruggerci. Un nemico invisibile eppure sempre presente.
E’ delicato ed è equo.
Non ci giudica e non ci odia, ma ci uccide.
A differenza di quanto facciamo noi, che uccidiamo sempre per odio, per giudizio, per ingordigia.
Non è invasivo, non distrugge tutto quello che tocca e non lo trasforma per suo personale tornaconto. Non sconvolgerà nulla, a parte il nostro mondo fittizio.
Ah, quale vulnerabilità, quale nervo terribilmente scoperto per questa razza di pezzi di merda esperti solo nell’avvocatura in difesa della propria depravazione.
Non sarà con la menzogna o con la retorica che fotteremo questa minaccia.
La minaccia non è corrompibile.
Ed è celestiale.
il mondo esterno è stato spinto a calci nel culo nel mio mondo.
Nel mondo dell’isolamento.
Fuori non c’era niente per me, nemmeno prima.
Niente.
Il vostro mondo fatto di stupidità e futilità, di tempo buttato nel cesso a gavottare sulle vanità del momento si è sgretolato come un cagata lasciata troppo al sole.
Io vi osservavo con odio dalla mia quarantena, che è autoimposta con delizia, ed aspettavo, aspettavo, aspettavo che qualsiasi fottuta cosa potesse farvi vedere quanto tutto fosse finto e vano anche prima.
Un asteroide, un’invasione aliena, un conflitto nucleare, un… un virus?
Non vi sentite come in un racconto di fantascienza ora?
Non vi diverte?
Non vi fa piacere sapere che tutto il meccanismo del cazzo dal quale dipendeva la vostra vita potesse essere fermato in qualunque momento da qualsiasi insospettabile agente del caos?
Oh si, certo anche la mia. Anche la mia.
Solo che io lo sapevo. Lo sapevo già prima che fuori non c’era niente, che niente valeva niente, che tutte queste megalitiche impalcature mentali erano solo seghe di cervelli in corto circuito. Cervelli che stavano troppo bene per porsi interrogativi scomodi, che preferivano sempre e comunque porre attenzione sui gossip di moda, sugli sport miliardari, sulla prestidigitazione della finanza, sul chiacchiericcio della politica, sulla crapulenza del cibo, sulla malizia del sesso, piuttosto che chiedersi anche per un secondo che cazzo di vita stessimo tutti facendo!
C’è voluta madama con la falce in giro per le strade per fermarvi da tutto quel lavorìo continuo, quell’incastro da cubo di Rubik di impegni, corse, ansie e bestemmie che valevano alla fine un bel paio di settimane all’anno da passare rigorosamente “altrove”.
No. Adesso state fermi in casa. Vi tocca di fare i conti con le persone con cui vi siete accoppiati, con i piccoli feroci umani in divenire che avete saggiamente scelto di cagare al mondo (fatto bene, erano così pochi..), vi tocca di fare i conti con le vostre incompetenza. Che siete milioni e milioni, senza arte ne parte che preferiscono un giorno di lavoro ad un giorno con se stessi, perché “NON SIA MAI!” il cervello potrebbe di botto ribellarsi ed accendersi.
Scoprire così che non sopportate nemmeno la vostra famiglia, i vostri animali domestici, le vostre fottute quattro mura. Perché in fondo tutto si basava sul fatto che non le aveste mai veramente conosciute. Perché il tempo per fare i conti con ciò che avevate impiantato e sviluppato DOVEVA essere il minimo.
Perché la menzogna su cui si basava tutta la società umana richiedeva solo di non fermarsi mai.
Un giorno dopo l’altro un mese dopo l’altro, un anno dopo l’altro, un secolo dopo l’altro a produrre, incazzarsi, pagare, riscuotere, tradire, furbeggiare, cazzeggiare, imboscarsi, fingere e scappare da se stessi e dagli altri.
Non perché io sia io, ma perché purtroppo è una verità comprovata: solo chi sta bene da solo è un essere equilibrato e potenzialmente illuminato.
Tutto il vostro teatro aveva già fatto marmellata dei miei marroni da decenni.
Ho messo il naso fuori solo per indispensabili imprese che da solo sarebbero state impossibili (vedi cantare e scopare. Fine.) altrimenti sono stato in quarantena.
Arrivate sempre dieci anni dopo di me. Dodici anni fa siete entrati in una crisi economica che nella mia vita era iniziata da una decade. Ora entrate nell’isolamento.
E vi dovrei dire io, come sempre, come si fa?
Manco morto (che è uno dei finali plausibili, nonché uno dei miei preferiti).
Io starò alla mia feritoia a vedervi impazzire perché il vostro “io” chiederà il conto.
Perché il motore della nostra vita frullava a migliaia di giri al secondo solo ed unicamente perché quel cazzo di budino grigio che avete dentro il cranio non doveva funzionare.
E vi piaceva che non funzionasse. Non siete vittime di una violenza da parte di un complotto segreto ordito da criptici supersovrani occulti.
No, no. Lo avete chiesto voi, lo volevate. Ci siete nati dentro e mai, mai una volta che vi siate fermati per vagliare la possibilità che si trattasse di un incubo e non di un sogno!
Perché, come dice Lovecraft, di fronte ad un tale livello di orrore la mente umana si sbriciola.
Ma quella era la base della MIA quarantena. L’accettazione di quell’orrore inconcepibile.
E c’è voluto un virus cinese (manco originale, è pure cinese..) perché saltasse il motore.
Perché tutte le vostre certezza del cazzo di immortalità ed invincibilità facessero la fine dei peti nella vasca da bagno.
Certo, anche io ne soffro. Non posso vedere i miei amici, la mia compagna, non posso garantire che mia madre quasi ottantenne con problemi respiratori vedrà l’alba del prossimo anno. Anche io posso essere fermato dalle autorità come se fossi un ladro, mentre vado al lavoro.
Perché il lavoro, ovviamente, col cazzo che l’hanno fermato.
Ed io faccio parte di quella gloriosa schiera di schiavi da prima linea, che morirà perché i suoi clienti hanno deciso che questo è il momento giusto per guadagnare qualcosa in più, mentre gongolanti guardano morire gli avversari con la stessa perniciosa voluttà con la quale io consulto Porn Hub.
E se devo morire morirò, perché lo giuro davanti ai miei draghi: Non me ne frega un cazzo.
Non me ne frega un cazzo.
Sono un vero fatalista: se deve accadere accadrà.
Vado al lavoro LO STESSO  perché il vostro adorato, sfavillante, perfetto mondo di MERDA esige che il lavoro venga prima della vita. Va bene, tanto non posso farci niente, io. Ci pensa il mio amico Covid a riallinearvi le percezioni.
Aveva ragione Totò, la morte è una livella.
Ma io, che non ho niente da nascondere, niente da tramare, niente di cui vergognarmi (tranne qualche velleità artistica..) niente da perdere o da guadagnare… non ho ALCUNA PAURA della livella.
So già che non mi perdo niente, per questo ero già in quarantena.
Buffo no?!
Io ero già in quarantena perché sapevo che non c’era niente da perdere, voi siete in quarantena perché avete paura di perdere tutto.
Tutta quella merda che credevate tanto, tanto, tanto importante.
E io morirò senza alcuna disperazione, senza alcun rimpianto, senza alcun rimorso, a differenza vostra.
Per il resto a me non è cambiato nulla. Coloro modellini con cura e energia, perché li amo. Ma senza gioia.
Perché sto solo facendo passare del tempo in un mondo che mi ha sempre fatto cagare e che adesso sta andando inesorabilmente a puttane cercando, come sempre ha fatto, di artigliarmi una qualsiasi appendice pur di trascinarmi con sé nella merda.
Non arriverò a dire che tengo per il virus, ma di sicuro di esso ho rispetto.
Non posso dire altrettanto per il mondo che sta sfasciando.

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E’ più di un anno che non scrivo su questo blog.
Le visite sono impennate. Devo scrivere proprio bene…
Amenità a parte molti non si chiederanno come io stia e per questo vado ad aggiornarli con solerzia. Giusto per utilizzare il termine “solerzia”, ormai in disuso.
Il post precedente è stato profetico, o meglio, io sono un esserino molto coerente con se stesso. In questo ultimo anno non ho fatto un cazzo.
E il cazzo è particolarmente al centro di questo abisso di inedia, perché in fin dei conti il mio tempo libero è quasi tutto impiegato nelle attenzioni al medesimo.
Il cazzo è ormai l’unica droga naturale in grado di mantenermi vagamente sano di mente (molto vagamente).
Il resto è ormai un incubo reiterato ad occhi aperti. Come è sempre stato, leggendo le mie telematiche memorie… solo che ora è sopraggiunto un fattore nuovo e devastante alla già devastante percezione che ho della realtà.
Non ho più le forze.
Credo proprio sia arrivata la mezza età. Quella vera.
Quella grigia, piatta, silenziosa, appiccicosa e mortifera.
Sono sempre stato uomo dagli entusiasmi tiepidi, avendo già notato fin dalla prima infanzia quanto tutto sia inesorabilmente diverso da come lo si vorrebbe o ci si aspetti che sia. Ergo anche nelle cose più emozionanti mi emoziono sempre il giusto.
Conscio della loro caducità connaturata e della loro relativa importanza nel bordello cosmico.
Bello bello fare il divo una serata cantando, ma poi chiusa li. Bello bello una bella scopata ma poi morta li. Bello bello prendere a machetate i colleghi ma purtroppo non si può.
Ora, come un Frodo ormai completamente piegato dal potere dell’Anello non sento più il sapore del pane, la carezza del vento, il suono della pioggia.
E’ tutto uguale a tutto e l’unica reazione libera, primordiale, automatica che prorompa dal mio organismo nei confronti di qualunque cosa è la bestemmia.
Muta, pensata, sibilata o ringhiata, ma sempre e solo lei: la bestemmia.
I miei entusiasmi erano tiepidi, i miei trionfi sempre sussurrati, le mie gioie private (ora privato di ogni gioia capisco il chiasmo beffardo) ma almeno le mie controreazioni negative erano energiche, epiche, iperboliche, grottesche e giullaresche.
Ora no. Neanche più quello.
Come diceva Guccini “Più penso, più mi ritrovo questo vuoto immenso e per rimedio soltanto il dormire”.
Per questo è passato un anno dall’ ultimo post (l’utenza ringrazia ed applaude, ne sono conscio, ma può continuare a gioire, probabilmente il prossimo sarà del 2020) perché in realtà non trovo più soddisfazione, o meglio, consolazione, nemmeno nello sfogarmi con me stesso su un diario telematico.
Ok. Posso supporre di aver sbagliato una o più scelte, ma credo sia la parte meno consistente dell’equazione. Dopotutto ho passato la vita a non mentirmi (al massimo ad esagerare) quindi ogni mia scelta mi corrispondeva, nel bene o nel male.
L’immobilità che mi contraddistingue mi ha portato ad una situazione lavorativa devastante, un tritacarne giornaliero che mi prosciuga di qualunque gioia di vivere.
Anche con un maggior dinamismo da parte mia non avrei comunque avuto garanzia di trovare situazioni migliori, ma rischiarne delle peggiori quando ancora svivacchiavo mi sembrava una mossa azzardata.
Guardandomi intorno non mi consolo, che tutti annaspano nello stesso tzunami di merda.
Sia chi ha scelto la via imprenditoriale, sia chi cambi lavoro ogni manciata di mesi, fino agli immobili subordinati come me. Probabilmente è il mondo del lavoro che scivola inesorabilmente in un baratro di sterco, non siamo proprio proprio tutti coglioni, credo…
Non credo nemmeno che il mio rifiuto categorico al mettere su famiglia mi abbia tolto un qualche significato filosofico. Sempre guardandomi attorno non solo vedo malissimo chi ha fatto la scelta opposta ma, ADDIRITTURA, mi consolo!
Quindi cos’è questo malessere continuo e invincibile che mi paralizza persino i movimenti e mi rende odioso persino battere i tasti per scrivere?
E’ la mezza età?
E qui si torna al cazzo.
Si perché comincio a pensare che sia probabile che il cazzo ad un certo punto prenda il controllo. O l’utero, suppongo, se si è donna.
Così come la donna, a volte, sulle soglie della quarantina (o quando genericamente si annoia) sbrocca e cerca di farsi inseminare da qualunque entità vivente o semi-animata anche l’uomo ha il suo problemuccio…. ovvero cercare di inseminare qualunque entità vivente o semi-animata nell’arco visuale.
Inseminare poi non è strettamente necessario, su quello siamo più fortunati. Il seme può essere rilasciato anche senza centrare il buco giusto al momento giusto, siamo soddisfatti lo stesso (io sicuramente SOLO in quel caso).
Però…
E’ un po’ difficile anche masturbarsi quando non c’è più niente che sia eccitante.
Quando si comincia a non provare più alcuna emozione diventa una gara, una prova di forza fisica tra un organismo che vuole fare una cosa ed una mente che non ne vuole sapere assolutamente di tanto sforzo inutile.
Passo ore. Ore plurali e lunghissime per trovare anche un solo filmato che mi risvegli un brivido di eccitazione su migliaia di siti impestati da virus (il sesso telematico non è mai sicuro, prova a mettere un preservativo al router…) e di solito finisco a ricordi in due minuti.
E tutto quel tempo sputtanato, giorno dopo giorno, mese dopo mese anno dopo anno, lo nego a tutte le meravigliose cose che potrei fare e che trovo INDISCUTIBILMENTE inutili.
No non esco con voi ragazzi, non me ne frega un cazzo.
No non canto con voi ragazzi non mi va un cazzo.
No non disegno per voi ragazzi, non disegno più e basta (OOOHHH era ora!).
Basta. Avete fatto di me una chiave inglese? Allora faccio quello, la chiave inglese!
Sono un ingranaggio sostituibile di un sistema che non mi considera assolutamente finchè non divento un problema. Se faccio il mio dovere sono invisibile, irrilevante.
Sento tutto lontano, ovattato, irreale, evanescente.
Sto diventando uno spettro dell’Anello.
La forza è quello che mi manca, la forza di alzare la spada l’ennesima volta. Mi lascio colpire, pensando che almeno farò finire questa infinita fatica. Che il dolore in fondo è più riposante del combattimento. Perché l’unica cosa che cercano il mio corpo e la mia mente è il riposo.
E questo è quanto, e domattina si ricomincia. E nessuno potrà mai farci un cazzo di niente.
Ci sono tante cose deludenti nella vita. Ma mai come la vita stessa….

 

Flanella

 

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Vestaglione di flanella.
Gira che ti gira, sminchia che ti sminchia, scrania che ti scrania…. alla fine uno si ritrova anche troppo calmo.
Dopo aver passato una vita intera con quest’ansia soffocante della perdita di tempo ci si potrebbe anche accorgere che in fondo tutto, tutto quanto, è sempre stato una grande, rutilante, circense perdita di tempo.
Mesi e mesi passati a schiantarsi nervi, muscoli e sinapsi per la furia irragionevole del “voler essere” o “voler fare”.
Tempo, tanto tempo a faticare. Una fatica che non sarà stata, ovvio, totalmente inutile, ma sicuramente sproporzionata rispetto alla contropartita.
Ovvero: ho vissuto esperienze molto più intense e formative che sono cadute dal cielo senza preavviso rispetto ai miei grandi progetti pianificati, organizzati e sofferti.Quasi tutte le esperienze più sconvolgenti che ho vissuto sono germinate da occasioni che sono arrivate per loro (e solo loro) conto.
Quindi, alla fine dei conti: ma cosa mi dovrebbe mai spingere ad uscire di casa e togliermi il vestaglione di flanella?
Se qualcosa deve accadere, accadrà. Altrimenti posso anche camminare sul soffitto ma non cambierà mai un cazzo.
Si va bene, me ne faccio una ragione.
Non posso vivere di emozioni forti, anche se mi piacerebbe.
Non è quello il mio destino, il mio tema. Non sono un “allegro con brio”, sono un “largo solenne”.
Il compositore non salterà mai fuori quindi non posso presentare proteste formali, è così.
Largo per largo tanto vale proiettarmi direttamente verso uno dei personaggi più mitologici di sempre: Il Drugo.
Con elementi un pò più intellettuali, volendo. Non per velleità di genio, ma per via dei miei interessi.
Purtroppo io con droghe e bowling ho avuto poco a che fare.
Ho molto a che fare con libri, disegni e videogiochi.
Ma la struttura non cambia molto.
L’eremita barbuto che mi vedo diventare ha solo una sfiga di troppo, rispetto al Drugo: il fatto di avere un lavoro.
Che effettivamente costringe ad una certa dose forzata di socialità e di ansia. La parte peggiore di entrambe, oltretutto.
Per il resto ho solo la visione di me con il ventre tondo, la barba lunga e grigia, il tabacco sparso ovunque e il vestaglione impadellato di cibo e martoriato da bruciature di sigaretta.
Leggere, disegnare, guardare film e serie tv, scrivere, cantare…. quando mi vada e nel modo in cui mi vada.

DA SOLO.

Solo ovviamente non è un assoluto, ma è un fondamento.
Ovvero: sopporterò per compagnia solo chi mi faccia sentire in compagnia esattamente come mi sento quando sono solo.
Se avete delle ansie, dei problemucci, dei grandiosi progetti, dei consigli o dei rimproveri o il semplice bisogno di un confessore : state fuori dal cazzo.
La mia soglia è invarcabile per voi.
Dopo quarant’anni di esperienza e tentativi posso affermare con certezza che gli esseri umani con i quali amo interagire sono sempre quelli, e sono sotto la decina.
Fottere… non mi fate fottere quando e chi vorrei, quindi il resto dell’interazione con il mondo femminile non mi attira e non mi interessa, anzi, ultimamente mi nausea.
Qualsiasi attività organizzata ha rotto ampiamente i coglioni. Siamo stanchi di fare quello che decidono altri e farlo come lo vogliono loro. Abbiamo già il lavoro per quello, nel tempo libero sarebbe lecito sfasciare la testa con una mazza chiodata a chiunque imponga la minima cosa.
Anche in famiglia. Solo che si va in galera se si sfasciano teste con una mazza. Quindi per la famiglia sopporteremo ancora. Ma poi BASTA.

BASTA.

Mi avete assillato con tutti i possibili cazzi vostri per una vita e praticamente nessuno degli assillatori mi ha mai dato in cambio uno sputacchio di illuminazione, di emozione, di qualsiasicazzo di cosa per farne valere la pena.
Oh yes, my friend, i videogiochi hanno asfaltato gli esseri umani sotto ogni punto di vista, a livello di esperienza-sforzo.
Perchè in fondo, potrò godermi almeno qualche cazzo di lato positivo di questa minchiata di società occidentale capitalistica?
Visto che se coltivassi una risaia nel terzo mondo non avrei la mail a stressarmi ma nemmeno  “the Witcher 3” a consolarmi…. almeno che io giochi al sublime videoludo, visto che la mail a stracciarmi lo scroto l’avrò sempre!
E dato che il resto ormai non mi interessa più (no, non sto dicendo che sia tutto sbagliato, sto dicendo che per me è inadatto… o lo sono io per lui. Poco cambia) è inutile che io cerchi di diventare più snello, più figaiolo, più noto, più affascinante o più potente.
Tanto non sono capace, non è il mio tema e per quanto titanico sia il mio sforzo la vita stessa mi riporta al mio posto.
Ho già dimostrato a me stesso e agli Dei quanto io sia ferreo nella volontà e nell’abnegazione.
Gli Dei hanno già dimostrato a se stessi e a me quanto qualsiasi mia caparbietà sia ininfluente.
Ho perduto cose che mi mancheranno finchè un singolo fiato terrà in vita questo abominio di corpo.
Ho guadagnato cose che non torneranno più, per quanto bellissime fossero il loro destino era tramutarsi in ricordo.
E di ricordi ne ho tanti. Non molti esaltanti, non molti luminosi.
Ma questi ultimi sono anche quelli che fanno soffrire di più.
Ora, forse, comincio a non volere nemmeno più le cose belle, perchè le cose belle si dividono solo in due categorie: quelle di cui sentire la mancanza perchè non sono mai state raggiunte e quelle di cui sentire la mancanza perchè ormai sono passate.

Flanella: l’ultima e l’unica cosa bella.