Forse, alla fine di ogni cosa, è più difficile buttar giù una manciata di caratteri per descrivere esperienze meravigliose anziché le solite lamentele o invettive.La mia penna mordace è forgiata per le storture, come la mia attenzione, e forse anche il mio vocabolario e la mia rete sinaptica si sono adattate per il male, tanto che il bene, il più delle volte, mi risulta indescrivibile.
Eppure è passato quasi un mese da quel palcoscenico, un mese in cui mi sono ripromesso di focalizzare e descrivere le emozioni di quell’evento senza purtroppo riuscire ad imbracciare la tastiera ed iniziare a mitragliare parole.
La malinconia, a volte, ha più potere dell’orgasmo.
Perchè di orgasmo si è trattato.
Il più lungo, intenso e celestiale orgasmo della mia vita.
Non che non ci siano state difficoltà: gestione del terrore da palcoscenico, gola infiammata e voce altalenante e la solita impressione di dimenticarsi ogni cosa da un momento all’altro, un tempo atmosferico di merda e il peggior momento lavorativo da un lustro a questa parte..
Ho ingoiato più propoli e zenzero crudo nei due giorni precendenti allo spettacolo che in tutto il resto della mia vita, per la voce.
Per il lavoro ho ingoiato ben altro…..
Quindi non ho calcato il tavolato del teatro proprio con rilassatezza e cuore leggero. Ero stanco e teso.
Ma tutto sommato, per un debutto da vergine del palcoscenico, tutto è andato inquietantemente bene.
Sono stato Javert di fronte a più di duecento persone, per due lunghe ore di musical.
Certi livelli di secchezza delle fauci si possono conoscere solo in strani momenti della vita…
Ma nonostante avessimo provato il musical due volte di fila in due giorni, alla prima nota delle base… tutta la saliva si è asciugata dal cavo orale istantaneamente ed ho intonato il primo coro con la sensazione di avere un pezzo di lana grezza infeltrito al posto della lingua…
Contato che non ero certo nemmeno di quanto la voce mi avrebbe sostenuto non è stata una gioia.
Ma un fatto devo ammetterlo come reale: in determinate situazioni il corpo e la mente prendono le redini della faccenda e fanno fare cose delle quali non ci crederemmo mai capaci.
L’idea di fare una figura di merda di fronte a duecento persone che ti fissano sedute nel buio mi terrorizza molto di più dell’idea di farmi del male fisico.
E già quando si tratta di male fisico riesco a sfoderare guizzi di agilità e resistenza di stampo quasi supereroistico. Cose delle quali ne io nel mondo potremmo credermi in grado di fare.
Va detto che ero meno terrorizzato di quanto credessi, in fin dei conti. Quella famosa domenica in cui feci “‘l’audizione” per la parte non riuscivo a stare sulle gambe da quanto tremavano.
Nervi a puttane, non scherzo e non esagero.
Benchè non fossi proprio rilassato e a mio agio, sul palco, mi sono trovato meno in preda ad una crisi di nervi andati a puttane di quanto potessi credere.
Ma se sei Javert il tuo apice e la tua spada di Damocle saranno sull’aria principale del personaggio : “Stars”.
Il brano in se non è difficilissimo, ma ha la particolare sfortuna di non avere spazio interpretativo per maccheronare eventuali lacune canore.
“Stars” va cantata bene, non ci sono cazzi.
Questo riduce drasticamente le possibilità di scelta e….. di fare cappelle abbozzando.
Credo che su quell’aria anche il sangue mi si sia prosciugato.
Da solo sul palco, riflettori che trafiggono la retina, solo tu e la tua voce che copre la base per metà del tempo e quattrocento occhi che ti guardano, senza contare le orecchie che ascoltano.
Avrei potuto giurare di indossare un Costume-a-forma-di-me che agiva da solo.
Un litigio di due giorni per riuscire fare un minimo pace con il microfono ad archetto, un litigio di quasi una settimana contro la gola che si gonfiava e bruciava (complice una primavera piuttosto autunnale), un litigio di una decina di mesi con me stesso, riprovando all’infinito quel brano.
Ma scivolavo sulle note gravi con una certa sicurezza. Due o tre momenti di terrore in cui il tempo stava per sfuggirmi.
Ma poi….
Dopo l’acuto finale (che non ho potuto purtroppo reggere in lunghezza e potenza quanto avrei voluto)…. il boato del pubblico.
Quello è stato il momento culminante, l’orgasmo.
Se è vero che il riflesso orgasmico (specialmente maschile) altro non sia che una contrazione muscolare volta al rilassamento di parte anatomiche in estrema tensione…. così è stato per me il finale del primo atto.
Ci ho sputato l’anima, ma come dice De Andrè: l’anima d’improvviso prese il volo.
E mentre le luci si spegnevano e il sipario iniziava a chiudersi mi sono preso una manciata di secondi per godermi gli applausi e le ovazioni.
I MIEI applausi, le MIE OVAZIONI.
Miei, cazzo.
Intendiamoci, non ci crederò mai del tutto.
Una platea di duecento persone composta principalmente da amici, parenti, colleghi e altri teatranti amatoriali non la considero una tribuna inflessibile per un giudizio d’eccellenza. L’applauso te lo becchi anche se scazzi un pò tutto, che già il coraggio di fare quello che stai facendo fa buona parte della sua figura.
Quindi gongolamento molto rapido ed intenso, pacca sulla spalla senza remore (perchè non l’ho cantato male no quel pezzo, magari non al massimo delle mie possibilità ma neanche male) e carichi verso il secondo atto, verso la fine del quale mi attendeva la scena del suicidio, più morbida data la possibilità di buttare qualche scazzo in recitazione (e li sono bravino) ma impegnativa ed impestata a livello musicale come poche cose al mondo….
Ora, per quanto riguarda “Stars” ho avuto modo di vedere buona parte di ciò che uscito grazie ad una registrazione fatta da una collega. Rudemente uscito da un cellulare non mi ha fatto poi così schifo. Certo io non sono d’accordo con l’utenza sul fatto di avere una bella voce, ma posso concordare sul fatto di averla cantata bene quell’aria. Per il suicidio stiamo ancora aspettando la ripresa integrale del musical, che pare essersi persa in qualche sacca spazio-temporale…
L’ovazione c’è stata anche alla fine del suicidio, bisogna ammetterlo, anche se è stato proprio durante la presentazione del cast che forse ho percepito con più certezza il senso di vittoria e di soddisfazione, quando chiamato alla ribalta al suono del mio nome il boato si è ripetuto per l’ultima risonante volta. E li avevo finito, non dovevo più preoccuparmi di niente, era andata. Del tutto. Ce l’avevo fatta a non farmi schifo come mio solito.
Certo qualche impappinata l’ho presa, qualche scivolne sul tempo è capitato, ma quisquillie e pinzillacchere rispetto alla paralisi da palcoscenico che avrebbe potuto cogliermi.
Certo, rivedermi nelle registrazioni mi spinge sempre al conato di vomito.
Rimango comunque e sempre convinto di sembrare uno strano animale gonfio, goffo, antiestetico ed imbarazzante, testimone ogni mio movimento, nonostante i molti complimenti ricevuti per una mia presunta “presenza scenica” molto possente.
Mah…
Però seppure inguardabile, posso anche supporre di essere ascoltabile.
Ma questo fa parte della mia spietata verovisione: la dignitosa performance di un uomo brutto in un ambito molto modesto, per un pubblico già parzialmente corrotto e una buona prova superata a testa alta.
Era impegnativo il musical in sé ed il ruolo non era certo marginale, il pubblico era pagante ma in fondo accorso per una specie di incitazione al solito bimbo in giostra, a cui si vuole bene perchè è un bimbo non perchè realmente lo meriti.
Dal punto di visto interno, emotivo, personale…. è tutta un’altra musica.
Come ho già detto: nemmeno il sesso può stare al passo di un’esperienza del genere.
Per quanto mi riguarda l’esperienza più sognata, più coccolata, più improbabile e più ghiotta di tutta la mia carriera di pagliaccio dell’espressività umana.
Da quel giorno in cui giunse l’invito inaspettato all’ultimo applauso sul palco, non avrei potuto sperare di trovare regista migliore, musical migliore, ruolo migliore e banda di pazzi con cui farlo migliore di quella che mi è capitata.
Nove mesi di prove, di divertimento, di sudore e di emozione.
Mesi in cui imparare ad amare ogni faccia treatrale, ogni timbro vocale, ogni grido ed ogni sussurro di quella piccola banda di eroi senza alcun effetto speciale che è comunque riuscita a rendere una serata speciale.
Come dissi appena uscito dal teatro: non potendo replicare in epicità e perfezione un evento del genere.. considererò questa come la mia festa per il quarantesimo anno di età.
E lo è stata, una festa.
Una festa dell’anima, dove il timore e l’estasi sono andate a braccetto, dove il sudore ed il sorriso si sono trovati compagni di strada, dove ogni singola nota, se non perfetta è risultata comunque appassionata.
E non ho altro da dire su questo argomento. La nostra passione in qualche modo è passata al pubblico che ci ha coperto di complimenti, e sono state non poche le persone sconosciute che mi hanno inseguito per coprirmi di attenzioni e pormi un simbolico serto d’allori sul capoccione.
Ma tutto questo fa parte di una bolla onirica che ben conosco.
E dopo un’esperienza tanto attesa, tanto ricercata, tanto riuscita… mi sento un pò come Frodo tornato nella Contea.
Mi sento vagamente spaesato, un pò incredulo, pensando che tutto sia così bruscamente finito come fu iniziato.
Mi sento snervato dal ritorno al mio piccolo mondo inespressivo, alla mia routine logorroica ed antiepica, alle mie limitate certezze che non lasciano mai spazio ad un tiro di dadi per una vittoria insperata o una sconfitta devastante.
Il mio rassicurante ovulo di polvere mi fa sentire ancora più rinchiuso, ancora più soffocato.
Un pennino gigante ridisegna i bordi del mio universo e delle mie possibilità e rende sempre più lontano il rumore scrosciante di quella cascata di applausi.
Mi ricorda che i momenti di gloria non esistono. Esistono pause di riflessione tra interminabili intervalli di duro lavoro in cui, inaspettatamente, non ci si fa così schifo come al solito.
Però poi si torna al lavoro.
Mi ricorda che le cose belle durano lo spazio di una sera, un breve stagione.
Che sono stelle cadenti… “and if they fall as Lucifer fell, they fall in flames!”.
Il loro spazio di vita è limitato e ci si deve abituare a perderle queste luminose parentesi, perchè è nella loro natura essere fulminee quanto meravigliose.
Così rimane una certa fierezza variegata alla malinconia.
L’orgoglio di aver deciso l’anno scorso di avere le mani sporche di sangue o merda, ma sempre meglio che di niente.
La malinconia per quello che è il destino miltoniano di noi sognatori da palcoscenico.
La morsa continua del ricordo di un Paradiso perduto.
Un giorno qualcuno mi disse “Male che vada avremo fatto del gran teatro…”
Non aveva torto, almeno su quello.
Come altri prima di me trovo il teatro più sensato della realtà, anche quando finisco per voltarmi ed accorgermi di essere rimasto da solo su un palco senza pubblico….
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