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Posts Tagged ‘porcomondo’

Intro: questo articolo è pieno di bestemmie e draghi. Se l’una o l’altra cosa vi offendono andate tornate pure nella cassa da morto cerebrale in cui avete sempre vissuto.

Tacchinosaurus Handicappatis

Peter Jackson ce l’ha fatta.
HA SBAGLIATO SMAUG.
Il mio amico e tanto amato ciccione neozelandese è riuscito a farsi convincere dalla più grande bufala della storia del fantastico: la credibilità scientifica e strutturale di una creatura inesistente.
Ma andiamo per gradi, perché sarà una lunga dissertazione non priva di bestemmie, quindi chiunque sia legato ai santi è invitato smettere di leggere ORA.
Prima di tutto devo spiegare quale sia la MIA personale visione del drago, che è un’impresa piuttosto complicata e non credo mi riuscirà in toto….
Non so bene come e perché, e forse neppure quando, tutto ciò sia cominciato. Sarà stato Eliott il drago invisibile o qualche illustrazione vista chissà dove, sarà stato il mio sempre vivo amore per i rettili e i dinosauri; ormai non posso più dire di sapere bene quale sia stata la genesi di un legame così intenso, ma mi avvio ai quarant’anni senza che una sola delle mie pulsazioni cardiache non inneggi ancora al fascino di queste creature.
Il drago, per me, non è mai stato un mostro. Non è mai stata una bestia.
Anche nelle sue incarnazioni più minacciose e crudeli il drago era sempre il centro della storia, potevo comprare un libro intero solo per una singola illustrazione.
Il drago non è il babau. Il drago è forza, è resistenza, è libertà ed è meraviglia.
E’ il sogno incarnato, o meglio, il simbolo supremo del nostro potenziale onirico ed immaginifico.
Abbiamo immaginato una creatura così meravigliosa che Dio stesso si è fatto scappare l’occasione di crearla. Quindi deve possedere una grazia minacciosa, un’ eleganza statuaria, deve essere una creatura di design e terrore, deve fondere l’estetica e l’orrore in maniera così alchemicamente perfetta da essere “altro” rispetto a quanto conosciamo.
Per questi motivi un drago non può muoversi come un handicappato!
Un drago con sei arti, come vuole la tradizione occidentale intendendo il “drago puro”, è un essere capace di muoversi come un felino e di volare come un uccello. Solo in questi termini è sia potenza che libertà.
Perché se viene deturpato delle zampe anteriori non è più un essere mirabile, è di nuovo niente più che una bestia ed un mostro.
Tecnicamente è una Viverna, una creatura di ferocia, ignoranza e puro istinto.
E’ più simile ad un drago di quanto lo sia una foca, su questo siamo tutti d’accordo, ma non è un cazzo di DRAGO!
Non voglio fare una digressione storica o filologica perché non me ne frega un cazzo. Se i Draghi vengono dalla tradizione è anche vero che ciò che li ha portati alla popolarità sono stati i racconti fantasy e i giochi di ruolo. Ed in essi il drago ha sempre avuto le sue fottute quattro zampe e due ali.
A noi dovevate chiedere cos’è un DRAGO.
Ci avete accusato di leggere il fantasy attraverso Dungeons&Dragons, ed avevate ragione.
Perchè siamo noi sognatori Nerd che ci siamo occupati di draghi in questi trent’anni, dalle vostre seghe su Edwige Fenech a quelle sulle veline. Se i draghi sono rimasti vivi è stato grazie al nostro sangue di inchiostro, versato sulle schede unte ed accartocciate dei nostri alter-ego fantastici.
E adesso baciatemi il cazzo se non sapete la differenza tra draghi e viverne, bimbiminchia.
Io non prendo lezioni di dragologia da poppanti cresciuti con Crash Bandicoot e Twilight.
Noi popolo dei dadi e delle dragonlance abbiamo non solo voce in capitolo, abbiamo l’UNICA voce in capitolo sui draghi.
A noi doveva essere chiesto come è fatto un drago, noi che abbiamo sudato freddo e abbiamo seppellito decine di personaggi sotto i suoi artigli e zanne. Che abbiamo volato sulle sue ali tra le brezze di un Master generoso. Che abbiamo animato le superbe opere di Larry Elmore con la pura forza motrice della nostra fantasia.
Ed ora voi venite a dire a NOI cosa è o non è un drago?
Io non so come sia accaduto e perché…. A chi sia venuta questa geniale idea di togliere le zampe anteriori ai draghi.
So solo di aver aspettato pregando per quasi vent’anni che la tecnologia ci fornisse un miracolo per poter visualizzare un drago cinematografico credibile. Dopo aver visto Jurassik Park uscii dal cinema con centinaia di draghi futuri già vorticanti nella mente. Dopo Dragonheart ero al settimo cielo. Avevo visto un drago perfetto, in grado di muoversi, volare, sputare fuoco e persino parlare. Era la quintessenza di ciò che per me doveva essere un drago… e quanto pare lo rimarrà.
La famosa frase di Draco :” Io sono l’ultimo rimasto!” non poteva essere più profetica.
Non solo per lunghi anni a nessuno venne più in mente di cacciare un drago in qualche storia, peggio ancora….. iniziarono a fare draghi che non erano draghi.
Prima la serie di Harry Potter, poi Il regno del fuoco, poi iniziarono addirittura i videogiochi come ad esempio in Skyrim….
Tutti pollosauri. Mezzi uccelli e mezzi rettili che arrancano sull’articolazione dell’ala con manine da uno o due dita, trascinandosi dietro le rimanenti articolazioni digitali, sproporzionatamente lunghe impastoiate nella membrana alare…..
Ali da pipistrello che li fanno sembrare a terra ciò che a terra sarebbe un pipistrello: un miserevole disabile.
Tutto questo al grido di : “Nessuna creatura terrestre che non sia un insetto possiede più di quattro arti”.
E STI CAZZI, PORCODDIO?
Che il drago è una creatura terrestre? Ne avete mai visti voi?
Dobbiamo andare a rompere le palle scientificamente anche alle creature della fantasia?
Allora perché i ciclopi non sbattono la testa conto gli alberi perché con un occhio solo non posso percepire la profondità?
Perché i vampiri dovrebbero nutrirsi di sangue ed essere inceneriti dalla luce del sole?
Perché i lupi mannari potrebbero mutare le articolazioni e la peluria corporea?
Perché ippogrifi, threstral, gargoyle, balrog, grifoni, pegasi, demoni e addirittura SCIMMIE ALATE (Puttana Dio) possono avere sei arti?
Chi glie lo va a dire ad Angelo degli x-man che le sue ali non sono regolamentari?
No, solo ai Draghi va fatto il cazzo di processo sul numero degli arti.
Nessun o si è mai preoccupato del fatto che sputino fuoco. Eh, no capisco, quello è naturale, è ovvio.
E’ pieno sulla terra di creature che sputano fuoco. Sicuramente una c’è, sono io quando sento la gente fare questi discorsi del cazzo appigliandosi alla logica per spiegare ciò che assolutamente è illogico.
Il drago è così perché ci piaceva così e l’unica ragione per cui doveva essere così era piacere a chi lo immaginasse, PUTTANA DI QUELLA MADONNA!
Non ce ne frega una cazzo della credibilità di una creatura immaginaria!
C’è troppo pelo sui Wookie? Può essere costruita una spada laser? Si può fare una macchina del tempo con una Delorean? Willy l’orbo ha davvero nascosto la sua nave in una grotta? L’arca dell’alleanza è stata davvero nascosta in un magazzino del governo americano? Come fanno i maghi maschi a non schiacciarsi le palle volando su di una scopa???
Perché non ci chiediamo anche tute queste cose prima di deturpare il simbolo del fantasy???
C’è chi sostiene che il drago senza zampe anteriori abbia un fascino più sinistro e crudele.
De gustibus, in effetti una merda di Viverna sembra più cattiva di un drago, però NON ME LA FARE PARLARE!
Allora se devi fare una bestia fai una bestia.
Un drago senza zampe anteriori cosa ci sta a fare su un tesoro immenso che nemmeno può manipolare?
Ci si gratta le enormi e scagliose palle non avendo mani per arrivarci?
E’ per questo che Smaug ha conquistato Erebor? Per avere un grattapalle dorato???
Inoltre stavolta andavo più tranquillo del solito: Tolkien non lo aveva solo descritto, ma lo aveva anche DISEGNATO con quattro zampe e le ali. Togliamo il fatto che il drago disegnato dal maestro facesse un po’ tristezza (non era un disegnatore), ma qui non ci si può appigliare alla famosa motivazione “tolkien non lo ha descritto accuratamente per cui possiamo fare il cazzo che ci pare”.
Fosse per quello i mannari e le aquile avrebbero dovuto parlare…. Ma anche li facciamo il cazzo che ci pare…
Addirittura sulla mappa di Erebor NEL FILM il drago è disegnato con quattro zampe, nel manifesto internazionale del FILM il drago formato dal fumo della pipa di Gandalf aveva QUATTRO zampe.
Nella scena della caduta di Erebor il drago schiacciava nani con le zampe anteriori…. E pur di fare gli stronzi quella scena è stata sostituita nella versione estesa per rimpiazzare quelle enormi zampe anteriori con le solite ali-braccia del cazzo.
Andavo al cinema con la morte nel cuore essendomi interessato alla faccenda fin dall’uscita dei primi trailer che ho analizzato frame per frame. Lavoro inutile tra l’altro perché le carte in tavola cambiavano continuamente…..
Poi quando l’ho visto ho provato: NIENTE.
Niente.
Superbamente animato?
Minaccioso e spaventoso?
Maestoso e terribile?
No, lo Smaug di Peter Jackson è una macchietta. Si muove come un cartone animato di Don Bluth degli anni ’80. Esagerato, caricaturale ed esasperato in ogni singolo atteggiamento.
Bastava guardare il supremo Scar de “il re leone” per avere idea di come si dovesse comportare una creature tanto crudele quanto intelligente.
Ci vuole classe per essere un perfetto villain, non basta essere lunghi trenta metri, sputare fuoco e muoversi come delle scimmie con le stampelle.
Classe non ne ha quella creatura.
E’ alieno, e salta subito all’occhio che con l’ambientazione che ci è stata finora offerta non c’entra nulla.
Provate ad immaginarlo in mezzo alla battaglia sui campi del Pelennor. Sembrerebbe un cartone animato tra creature reali.
Ed è sgraziato.
Per quale motivo un drago dovrebbe usare le ali come braccia?
Principalmente la prima cura di un drago dovrebbe essere la protezione della membrana alare, in assoluto il punto più delicato della sua intera fisicità. Ed una membrana alare strappata sarebbe un casino inenarrabile per un essere fatto SOLO ed unicamente per volare.
Perché un essere con ali per zampe anteriori DEVE volare. Non può strisciare in caverne anguste, costruite da razze lillipuziane per la sua stazza per andare a fottergli i tesori.
Un drago concepito in questa maniera può vivere su picchi montuosi, scogliere marine, deserti rocciosi.
Non certo in un sotterraneo, perché in un sotterraneo sarebbe in difficoltà. Inoltre nessuna creatura alata usa le ali per arrancare, nemmeno i cazzo di PINGUINI! Si muove come un pipistrello??? ah si??
Sapete cosa fa un pipistrello caduta a terra….?
Non cammina, non saltella, non sputa fuoco, non si arrampica…..fa una sola cosa: MUORE!
Secondariamente, signori, fermiamoci su un punto fondamentale: i DRAGHI NON VOLANO GRAZIE ALLE ALI.
Un drago come lo Smaug che ci hanno propinato peserebbe all’incirca 10-20 tonnellate.
Se provasse a sbattere le ali il massimo che otterrebbe sarebbe di sclavicolarsi le spalle, fare esplodere i muscoli e raccogliersi le braccia da terra.
Visto che facciamo gli scienziati dell’esobiologia inventata o i criptozoologi della mutua, perché non ci soffermiamo a pensare che fisicamente un drago non volerebbe mai??
E’ la famosa teoria di Superman: è vero che superman può sollevare un treno con una mano, ma per le leggi della fisica, anche se possedesse tale forza, non si solleverebbe il treno…. Sarebbe Superman a piantarsi nella terra come un piolo!
Il drago è una creatura magica e vola perché è magica, PORCA MADONNA!
Non c’è alcuna credibilità fisico-biologica da ricercare in tutto questo.
Quindi Peter Jackson , come un pecorone belante e decerebrato, ci ha dato quello che ci stanno dando tutti, dal cinema ai videogiochi ai fumetti: una creatura NON CREDIBILE realisticamente e per di più BRUTTA da far schifo!
Almeno salvate la bellezza cazzo!
Le ali dei draghi sono puro orpello decorativo di completezza. Volerebbero anche senza.
Perché non vi siete spremuti a chiedervi come evolvere la piegatura dell’ala quando i draghi camminano?
Perché non fossero strutture in mezzo alle palle sia nell’estetica che nella pratica?
QUELLO sarebbe stato un modo intelligente di evolvere il drago. Non mutilarlo con la mannaia e dirsi che bel che bel guarda quanto è fico il mio tacchinosauro!
Ma qui tutti a mangiare merda e chiamarla cioccolata.
Nessuno che si ponga mai una domanda fottuta che sia una, nessuno che si chieda più nemmeno QUALI SIANO I SUOI GUSTI.
Ci viene dato qualcosa, ci viene detto che è bello e tutti ad applaudire festanti come scimmie.
Bel lavoro cazzo.
Stupidi persino nella fantasia. PRIGIONIERI persino nella fantasia.
Aspetto solo che i nuovi manuali di Dungeons and Dragons riportino draghi senza zampe anteriori.
Vi manca solo quello, poi avrete vinto.
Ma me e i miei draghi nobili non ci avrete mai vivi.
Inneggiate pure a quella patetica mostruosità e convincetevi che sia il meglio che si potesse avere.
E’ per questo che fate una vita di merda OGNI SANTO GIORNO.
Perché vi siete convinti che sia il meglio che possiate avere.
E non vi siete nemmeno convinti voi: lo ha fatto qualcun altro.

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Chi lo sa cosa abbiamo nella testa….?
Ognuno combatte, e ferocemente, convinto di essere il depositario di una verità incontrovertibile.
Non so cosa sia che ci fa combattere. Non so cosa sia che ci fa alleare.
So solo, ormai tristemente, che nella lotta come nell’alleanza è insita una straordinaria fragilità.
Sembrano entrambi rapporti di fortissima tempra e sono capaci di indicibili crudeltà e violenze o straordinari miracoli della volontà… ma basta un piccolo refolo di vento per gettarli a terra.
Cosa avrà spinto alcune cellule ad allearsi, milioni di anni fa?
Forse la lotta. La lotta spinse finché non fu l’alleanza a trionfare. E quelle microscopiche cellule ne incorporarono altre, specializzate in funzioni precise per creare una unità, un essere nuovo, composto di altri esseri.
Migliaia di milioni di cellule si sono specializzate, sono diventate assolutamente funzionali e specifiche per un singolo compito, per dare forma ad un particolare elemento che composto nell’alleanza di tutti quegli organismi ha creato un gatto, una rana, un albero… me.
Ho coinvolto migliaia di milioni di organismi per essere qui. Organismi che fanno capelli, pelle, trasportano ossigeno, combattono minacce e mi rendono capace di vedere, di pensare, di essere un singolo e a mia volta dovermi chiedere di nuovo quali alleanze e quali lotte mi debbano impegnare.
Spostando la scala non è cambiato molto. Si è elevata alla potenza la complessità ma non il dramma primario della sopravvivenza.
E tutti lottiamo per essa.
O meglio, lottiamo per la nostra idea di essa.
Ferocemente.
In fondo ogni nostro comportamento è puramente speculativo. La tavolozza del pensiero ci dona la possibilità di dipingere un grande affresco che coprirà comunque un muro. Il muro permane, dietro l’affresco.
Il muro è la sopravvivenza e la nostra idea di essa. Qualunque cosa dipingeremo sulla sua superficie non può essere indipendente dal supporto.
Le nostre giustificazioni, le nostre illusioni, le nostre preoccupazioni sono solo pennellate di colore su un muro. Non cambia la struttura dei mattoni, non ne varia l’inclinazione, la compattezza o la posizione.
Sopravvivere è difficile.
La vita su questo pianeta è una specie di virus. In realtà non è così rara e preziosa come di solito ci viene propinata. Persino negli abissi oceanici, abbarbicati a fumarole vulcaniche in ebollizione a centinaia di gradi vi sono forme di vita.
E’ più indistruttibile che fragile. La vita di un singolo è fragile.
Forse di un’intera specie. Ma non la vita in se.
Essa è quasi indistruttibile.
Ma è difficile avere a che fare con essa, perché include una serie quasi illimitata di problematiche.
Cibo, riparo, condizioni climatiche affrontabili, riproduzione, sicurezza….
Necessita di molte cose l’organismo vivo. Quelle migliaia di milioni di organismi creano un organismo che avrà bisogno di altri organismi per sopravvivere. Principalmente dovrà mangiarli.
Siano statici vegetali o fuggenti prede animali poco importa. Nessun organismo sul pianeta vive d’aria o di amore. apparentemente il mondo vegetale è un po’ più compito e generalmente pacifico, ma anche all’interno dei suoi equilibri vi sono necessità lotte e violenze.
Per cui con altri organismi si avranno solo due opzioni possibili: lotta o alleanza.
La lotta forse è più semplice. Occorre solamente uccidere o essere più furbi o veloci.
L’alleanza è un problema più spinoso….
Essa sconfina nel nebuloso campo degli equilibri e, per noi purtroppo pensanti, di un elemento difficilmente inquadrabile e assolutamente non misurabile: la fiducia.
Fidarsi.
In un mondo di organismi disposti a tutto pur di assicurarsi la sopravvivenza (o la propria idea di essa) fidarsi non sembra proprio essere una soluzione brillante.
Basta un minimo cambio di equilibrio ed un alleato può trasformarsi in minaccia. Un cambio di equilibrio che spesso non è manifesto e rilevabile.
Pur con tutta l’attenzione possibile, con tutta la percezione impiegabile, non è detto che l’alleato non si volterà di colpo senza preavviso avventandosi su di noi.
Occorre fede, forse… ma la trascendenza non rientra nel campo del reale.
La fede è sublime, ma deve essere mediata dall’osservazione della realtà.
Per questo ho sempre lodato la speranza e sempre detestato la fede.
La speranza è una fede che può essere smentita e non da garanzie immediate.
La fede è rassicurante, proprio perché non fa i conti con la realtà e non viene solo smentita, viene distrutta.
Quindi le nostre alleanze dovrebbero basarsi sulla speranza, più che sulla fede. Un conto è non essere sufficientemente percettivi, un conto è voltarsi direttamente dall’altra parte vivendo nel mondo dei puffi……
Io sono molto attento e non ho alcun tipo di fiducia negli esseri umani.
Gli esseri umani la tirano, la menano, la dipingono e la interpretano ma non sono differenti dagli organismi che li hanno costituiti. Si sono alleati per essere più potenti, per difendersi ed attaccare meglio. Non per fede.
Un reciproco beneficio è misurabile, è concreto, è reale.
Non che io ami tali cose!
Da sempre inveisco contro gli umani e contro la scienza umana la quale dimostran sempre di non credere possibile ciò che non sia misurabile o rilevabile.
Vi sono molte forze in questo multiverso, alcune sono sicuramente inconcepibili per noi, ma rimanendo nei nostri poveri stracci credo che sull’alleanza non stiamo facendo molti passi in avanti.
Ci alleiamo per fede e non per speranza. Ci alleiamo perché lo riteniamo conveniente e finché lo riteniamo conveniente… ma non è quasi mai il termine con cui diamo vita all’alleanza.
Non mi disturba la fine di un sodalizio, ma non sopporto il tradimento.
Ed il tradimento esiste solo quando il termine con cui il sodalizio abbia avuto inizio venga disatteso (o addirittura calpestato e snaturato).
A livello biochimico, senza il grosso problema del linguaggio (quindi interpretabilità), credo funzioni tutto molto più liscio. Le cellule dei capelli devono far capelli… non ci sono cazzi.
Se ci sono problemi è una disfunzione che spesso genera un gruppo di cellule ribelli ed impazzite che noi ben conosciamo come tumore o cancro.
Una disfunzione che finisce spesso per far crollare l’intera struttura causando la morte dell’organismo di organismi.
Tutti muoiono perché a qualcuno è tirato un attimo il culo. Rivolta interna guerra civile biochimica e tanti saluti.
Nel nostro macrocosmo non è così differente. Persino le alleanze più semplici, come un rapporto di coppia, si basano su equilibri così fragili da chiedersi come possano in alcuni casi essere fondamentali per la concretizzazione progettuale.
Alleanze che creano cose, case, famiglie, figli, città, popoli….
Basate sull’alleanza. Sulla speranza che ognuno manterrà la posizione concordata evitando il crollo della struttura. Piramidi di elefanti in bilico su piccole biglie.
Giganti con piedi di argilla.
Non le capisco più. Vedo solo rovine ed odo solo il rumore dei crolli.
Non solo nella mia vita, ma ovunque il mio sguardo spazi.
Sono al centro di un mondo che crolla. Un mondo di organismi che corrono impazziti verso una nuova alleanza, costruendo sempre sull’instabilità.
Mi si chiede come mai io sia così cinico nei confronti dei rapporti.
Come mai sia così pessimista.
Io, credo, di avere speranza. Tanta, forse molta di più di quanto i buontemponi che incrociano la mia strada possano immaginare.
Ma la speranza ha bisogno di una base solida. Speri che germogli una piantina nella fertile terra di un orto… nessuno è così scemo da sedersi nel bel mezzo di un deserto ed aspettare il primo fagiolo.
Io non riesco più a cedere la speranza all’illusione.
Non ho alcuna intenzione di sconvolgere la mia vita per ciò che è dipinto sul muro. Io resto dietro al mio muro anche se il mio affresco fa schifo. Perché questa è la mia sopravvivenza ed ho scelto le mie alleanze.
Alleanze che vivono per necessità e reciproco vantaggio. Non faccio le cose per fede.
Non sono un sognatore.
Io sogno cose belle non sogno cose.
E le cose belle non sono trasportabili nella realtà.
Perché non passano attraverso ai muri, anche se potrebbero passare attraverso gli affreschi.
Fate come volete.
Vi vedrò cadere, tutti, prima o poi.
Perché è sbagliata la radice.
Nemmeno sappiamo cosa ci faccia male o bene, in realtà…
..come possiamo sapere cosa ci convenga e con chi allearci per una reciproca convenienza?
Il caos regna e la fede non ci aiuterà.
Ci aiuterebbe fare i conti con ciò che siamo e dichiarare i nostri bisogni per la sopravvivenza.
Ma il muro è dietro al colore, dietro le forme.
Noi vendiamo colore e forma senza informare il cliente che ci sarà anche qualche tonnellata di mattoni da spostare.
Ed è molto più conveniente non dire mai la verità, per quanto sia orribile.
Preferirei dover spiegare le mie mancanze o difendermi da un’accusa (specialmente se mi ritenessi innocente) che dover mentire ai mentitori perché è una scorciatoia più facile.
Prendi il piccone.
Sfascia quel cazzo di affresco.
E’ col muro che devi allearti, non con il suo decoro.

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(Bel titolo eh? peccato che ciò che segue non c’entri un cazzo. Ciò che segue è più simile ad una operazione chirurgica invasiva senza anestesia. Ma alla gente piace tanto legger cose rassicuranti. Per dimenticare di essere terrorizzata. Vi regalo il titolo, sapete cosa farci. Se volete un suggerimento.. almeno un braccio dovrà passare dietro la schiena….)

AndrotessitoreOK

In mano ad esseri umani.
Ciò che è meno sopportabile è sapere di avere il proprio destino nelle mani di altri.
No, non sono qui per accettare.
Non sono qui per le vostre proliferazioni cellulari e non sono qui per ascoltare i vostri pensieri. Sempre che possiate chiamare pensieri
quei miseri aborti di retorica e memoria frammentaria.
Non sono qui per risolvere i vostri casini, non sono nemmeno qui per farne parte.
Non avete dato risposta a nessun interrogativo nell’arco di trent’anni. Avete solo confermato che la teoria più ovvia si rivela essere quasi sempre
quella giusta. Anche nello slancio dell’eroismo anche nel sommo momento del prodigio riuscite ad essere solo banalmente umani.
Non posso erigere un muro di spensieratezza che possa resistere alle vostre continue cannonate di sterco per l’arco intero di una giornata.
Le menzogne che raccontate ed a cui credete sono fiere e grasse di trovare conferma in ciò che vi circonda, ed in esse trovano sempre giustificazione e da esse traggono ogni assoluzione.
Anche i migliori sbavatori di bei discorsi rimangono inesorabilmente ragni nelle proprie tele. Funzionali e spietati nell’attesa della preda. Non importa se la preda venga catturata con l’inganno di una rete invisibile.
Al ragno importa solamente il risultato. Cattura, prigionia e lauto banchetto di essere vivente ancora dimenante.
L’ho visto con i miei occhi dietro al monitor del lavoro. Un ragno mangiare una altro ragno.
Così perfetti, così adatti alla sopravvivenza da cacciare i predatori con la medesima scostante fredda inespressività.
Importa solo a se stesso l’individuo vivente. I sacrifici e gli eroismi sono tele invisibili, funzionali trappole per la preda allocca.
La lucetta carina che fulmina le zanzare, o il “friggistronzi”, come lo chiamo io.
Perchè stronze sono stronze le zanzare.
Basterebbe che prelevassero il sangue senza permesso. Ma no, non è abbastanza.
Devo vomitare sotto la pelle la loro merda irritante. Per ricordare che sono passate, per emblema del ladrocinio ematico.
Gli umani le aborriscono ma non sono diversi. Se fanno lo stesso a qualcuno vogliono che si sappia con squilli di tromba.
Perchè in una vita da insetti, come quella che ci siamo ritagliati noi, aspiriamo ad essere volpi.
Furbi, più furbi, perchè solo il furbo sopravvive.
Tutti sopravvivono a se stessi, ma il vero scopo è sopravvivere agli altri. In natura questo non è diverso, ed è inutile dipingerla con un iridescente passaggio di vernice buonista.
La natura è funzionale e noi ne siamo parte.
Se solo fossimo capaci, in un delirio di puro caos veritiero, in una summa folle di violenza collettiva di massacrarci come bestie da macello…..
A viso aperto, con lame sdentate. Guardando da assassini nati, quali siamo, le membra della vittima aprirsi ed i suoi occhi spalancati spegnersi.
No, noi siamo ragni. Siamo perversi nella nostra raffinatezza. Ci raccontiamo menzogne per fotterci a vicenda, in ogni campo della vita, di continuo.
A noi stessi, a chi ci circonda e persino agli Dei; persino agli Dei quando li temiamo!
Ci giustifichiamo anche con i non esistenti, tanto per pararci il culo.
In una contentezza leggera leggo sempre i segni della rovina e in me, in chi mi circonda, dovunque il mio sguardo si posi vedo gente armata di colla.
Convinta che un oggetto rotto possa essere rimesso insieme, che il tempo possa essere riavvolto ad un punto qualsiasi prima del disastro.
La colla è la materializzazione della nostra illusione di onnipotenza.
Non capiamo il flusso del tempo, non capiamo il flusso delle nostre emozioni e siamo sempre, sempre, sempre inesorabilmente fuori tempo.
Oh amici sulla forca mascherata da banchetto. Invidio la vostra felicità inconsapevole e prego che gli Dei ve la mantengano e val conservino.
Io, a differenza di quanto mi viene quasi sempre contestato, non mi sento un organismo superiore. Ma nemmeno più inferiore….
Mi sento alieno. E questo mi da l’odiosa capacità di smascherare tutti, me stesso per primo.
E maschere non ne voglio. Ecco quello che sono.
Io sono odio. Sono l’odio di chi non si sia mai integrato.
Io sono l’extracomunitario che arrivò per primo, sono la razza fatta schiava, sono il sesso inferiore, sono lo scemo del villaggio, il ciccione della spiaggia ed il secchione dei tamarri.
Io sono ciò che non ci sta. Sono embrione di dinosauro in uovo di formica, sono bagagli alla partenza per le ferie, sono la più bella della serata.
Sono tutto ciò che non si potrà avere e… sono corrotto, sono sconfitto, sono piegato dal desiderio di ciò che non potrò mai sfiorare.
Sono imprigionato nelle emozioni umane senza più capirle e voglio cose che detesto e che so essere false dalla loro concezione al loro mostruoso parto nella materia.
Sono un uomo di plexiglass attraverso cui passano gli sguardi di un mondo che non mi tocca, spettro vivente coperto da una montagna di carne tremante.
Un vestito inusuale per un essere evanescente. Una nascita senza lacrime ad occhi spalancati, la mia.
Nato con gli occhi sgranati, senza piangere. Che piangere fa chiudere gli occhi, ed io volevo vedere.
Rabbioso nella culla avendo arco visuale limitato al cielo.
Addormentato con luce accesa e senza coperte sulla testa, perchè i mostri vanno visti arrivare.
La luce della conoscenza che ora mi fende come una lama di fuoco è sempre stata il mio unico scopo, il mio unico bisogno. Sempre intervallato e disturbato da queste piaghe della carne, dette desideri, dette voglie. Nomi di demoni notturni che affollano le mie notti estive umidicce e puzzolenti. Non la conoscenza delle cose degli umani, non le cose scritte, le cose dette.
La vera conoscenza degli umani… quella intellegibile solo dall’intonazione di una parola da un fremito della carne dal leggero contrarsi di un arto. E la loro storia per confutare le loro affermazioni.
Senza il reale gusto di fare tana a qualcuno per sentirsi più furbo, ma con tutta la noia di chi studia la cosa più interessante tra quelle soporifere.
Vivo come un essere di una razza estinta, che ogni giorno si mascheri da mostro, per sembrare un mostro uguale a quelli che dominano il pianeta, per confondersi, per sopravvivere.
E a volte mi lascio afferrare da un laccio invisibile che si tende verso i miei desideri e li usa come appiglio, per cercare di imbozzolarmi e suggermi.
Non sono una volpe, non sono un ragno, ma nemmeno amo affondare il naso nella merda come certe mosche e purtroppo non sono e non sarò mai nemmeno un drago.
Sono un fuoco fatuo. Un essere diafano da palude e cimitero, odioso e blasfemo per i più, affascinante per pochi ma inafferrabile e non vivente.
Ma devo scontare ancora molte albe in questo mondo alieno. Senza ricordarmi quando io sia precipitato.
Coltivo le mie apnee notturne con la segreta speranza che il lenzuolo diventi un sudario nel silenzio dell’oscurità.
Ogni notte potrebbe portarmi via da qui.
Nel nulla?
Ah, il nulla passa in meno di uno schiocco di dita. Il nulla non esiste, non ha tempo, non è infinito. Non avendo inizio, non è nemmeno infinito. Non è, e basta.
E anche se fosse?
Sarebbe meno lungo di domani.
Comunque.

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“Vedi molte cose Eomer figlio di Eomund. Troppe cose.”
Grima Vermilinguo
Le due Torri

Vedo molte cose.
Troppe cose.
E fossi così fortunato che si fermasse il mio sguardo sulla superficie apparente di ciò che vedo.
Ma non è così. Io vedo il significato e vedo la conseguenza. Vedo lo scopo e vedo la pulsione.
Io vedo cose che non si dovrebbero vedere, per condurre la pacifica esistenza idiota dell’umano.
Vedo la razza che mi circonda, che mi stringe e mi affolla vendere la propria anima alle impalcature traballanti della propria ottusa tradizione. Vedo il filo teso della mente tirato fino allo spasimo per rincorrere il corpo, irragionevole, che corre con la sua propria volontà.
Vedo tutti quanti spingere e sgomitare, folle di singoli agglomerati a forza, grappoli di incontestato egoismo, senza pena di libertà e senza libertà di scelta.
Nessuno di questi pagliacci accetta il fulgore dell’attimo, tutti a dannarsi la pelle e le sinapsi all’inseguimento di un paiolo ricolmo d’oro chiamato “felicità” ai piedi dell’arcobaleno.
Senza sapere che l’arcobaleno è uno spettro, un gioco di luce e rifrazione, una danza di liquido e colore che non ha posizione, che non ha fine, non ha inizio. Che esiste solo per dissolversi.
Eccola beoti, la vostra felicità.
La felicità non esiste se non nel momento. Ed il momento è nato e morto nello stesso spazio di tempo.
La realizzazione di un sogno è felicità, ma la sua realizzazione lo porta nella realtà, dove quel sogno altro non potrà fare che uniformarsi alla gravida noia dell’usuale, del giornaliero, dell’ovvio, del materico.
I beoti scalciano, sputano ed artigliano come dannati, per potere trascinare il sogno nella realtà.
Essi, convinti fino all’estremo sacrifizio del contrario, lavorano solo ed unicamente per la distruzione di ciò che bramano.
Lo vedo nei visi disperati di chi non ha figliato e nei visi disperati di chi ha figliato.
I primi convinti di aver perduto il senso della propria esistenza i secondi consapevoli del sacrificio parentale richiesto.
Quel senso ne ha assorbito le loro esistenze e li ha prosciugati in favore di altro. Essi sono in tutto e per tutto entrati in quella schiatta di creature che vive brevi istanti di vita matura solo per riprodursi e poi morire. Ma non muoiono così velocemente.
Costoro muoiono ogni giorno, mentendosi il senso che non era quello sperato. E si mentono coloro che cercano il senso nella procreazione nona vvenuta perché stanchi dell’insensatezza dell’universo si gettano nell’unica strada rimasta da percorrere, quella che per codardia evitarono per schivarne responsabilità e fatiche.
In una mota di noia e sudore, densa come catrame, essi si azzuffano cercando brandelli di significato assenti.
Senza capire, senza voler cedere all’evidenza più semplice ma inevitabilmente più terrificante: Non vi è alcun senso nella vita, il senso è in se stessa.
Non c’è atto liberatore, non c’è atto assoluto di costruzione, niente garantisce niente.
I patti stipulati tra disperati sono patti sottintesi e sottoscritti dalle parti secondo regole soggettive malconfessate.
Si costruiscono imperi su paludi sabbiose, rocche granitiche su scogliere instabili, navi di pietra sull’acqua.
Vedo e sento le grida estatiche di un rito ancestrale, perpetrato all’infinito, tumultuoso e disarticolato.
Grida di sacerdoti che berciano le direzioni da prendere e ragli bovini di ribelli retorici che dopo aver sputato sui paramenti dei chierici seguiranno prima o poi la fila delle pecore, mesti ed autocondannati.
Ciò che non vedo è un grido di vera libertà.
Ciò che non vedo mai è una presa di coscienza ultraumana, un solo essere vivente che sancisca a se stesso di non essere schiavo dell’arcobaleno.
Non vedo mai un solo beota cedere al momento illuminante, considerando quel momento ciò che è: una scintilla nell’oscurità.
Senza la vera modestia di capire che non siamo stati progettati per altro, che tutto ciò che ci circonda non è stato progettato per altro, che non c’è alcuna pentola d’oro alla fine dei colori.
Vedo solo organismi che vomitano sulla terra altri organismi senza essere in grado di spiegare loro questa mancanza di significato che lascia la libertà ad ogni significato.
Vedo ingordigia, sete e follia di potere quando il potere include la responsabilità.
Nessuno vuole responsabilità, nemmeno dei propri desideri.
Prendere il desiderio, il suo fuoco sacro e segreto e corromperlo, inscatolarlo, confezionarlo, soggiogarlo fino a farlo spegnere, pur che esso perda quell’inafferrabilità che lo rende tanto arcano da essere divino.
Trasformare stelle in lucciole da tenere sotto il bicchiere, purché siano sicure, purché siano rassicuranti, purché siano certe, purché siano raggiungibili con la fottuta mano umana.
Tutto deve essere certo. Certo come una maledizione, certo come la morte, certo come le tasse.
Meglio morire nel corpo e nello spirito ogni secondo accanto ad un altro essere piuttosto che goderlo raramente nel momento fulgore reciproco. Meglio uccidersi a vicenda che alimentarsi reciprocamente le fiamme.
Meglio uccidere quanto ci sia ancora di disarmante e magico, prima che divenga tanto desiderabile da essere pericoloso.
Vedo molte cose. Molte cose che non vorrei vedere.
Perché da questa bolgia di beoti dipende anche la mia di felicità.
Che io, non essendo beota, non considero uno stato assodato e mantenibile. Lo considero una possibilità momentanea.
Ciò che può essere conquistato nel tempo, ma attraverso fatiche indicibili, è equilibrio, serenità, pace.
Ma non alle vostre condizioni, stupidi.
Che non sono nemmeno le vostre condizioni.
Siete così stupidi che non ricordate nemmeno ciò che avete pensato voi e ciò che vi hanno ficcato a forza nel cervello.
E quando si è così stupidi si guarda tutto.. e non si vede niente.

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Un vero viaggiatore infernale riconosce sempre un gorgo karmico quando ne incontri uno…
Ne ho avuti parecchi, il più tragico credo sia stato quello dell’estate 2011. Una di quelle spirali verso l’abisso che promettono di non avere alcun tipo di fondo e che, anche una volta passate, lasciano così battuti e malconci da non aver nemmeno più la forza di intonare una sacrosanta bestemmia.
Non si sa perché questi gorghi si creino, non è ben chiaro nemmeno al mio spiritualismo percettivo ed alle mie cognizioni esoteriche non proprio elementari, ed in realtà sembra che accadano in accordo a tutto il resto delle cose esistenti, visibili ed invisibili cioè : ALLA CAZZO DI CANE.
Questo sistema al creatore (o ai creatori) tanto è caro da fondare su di esso la vita stessa del cosmo o, per quanto ne sappiamo, almeno di questo pianetucolo fottuto.
Nel rispetto di tale modalità capita, ad individui particolarmente fortunati, una bella immersione senza bombole nel gorgo. Senza preavviso ne ragione, il più delle volte.
Il gorgo karmico di manifesta quasi sempre durante una pausa di serenità più o meno intensa, un periodo in cui non si stia proprio bene, ben lungi dalla felicità, ma nel quale vi sia speranza o prospettiva di una restaurazione o di una evoluzione della vita in uno o molteplici aspetti.
Accade allora un fattaccio. Uno qualsiasi. Questa volta, per me è stato svegliarmi un Sabato mattina e trovarmi tre pneumatici su quattro simpaticamente lacerati a coltellate. Altre volte può essere una cartella esattoriale, un errore bancario, un rifiuto amoroso, un incidente qualsiasi, una morte o un concepimento.
Tutte quelle piccole cose che possono fare impazzire un uomo equilibrato che stia unicamente preoccupandosi di arrivare all’ora sacra della prossima masturbazione, insomma.
Appena varcato l’orizzonte degli eventi il gorgo, come un vero buco nero, non può più essere evitato. Dalla prima rottura di coglioni si può quasi essere certi di essere entrati nella spirale gravitazionale della disgrazia….
Spesso la prima botta destabilizza e questo è fondamentale per la maligna proposizione dei gorghi. Il soggetto destabilizzato, infatti, diviene nervoso, iracondo e suscettibile.
Il gorgo continua fluido il suo compito inesorabile ed il soggetto stordito inizia, quasi inconsapevolmente ad alimentare il gorgo stesso. Spesso la prima causa uno stato di ansia e distrazione, uno stato di disattenzione velato e quasi impalpabile ma certamente concreto che porta a fare decine e decine di piccole cazzate durante il normale svolgimento di una giornata qualsiasi.
Piccole dimenticanze, piccoli errori, retorica disinibita, inesplicabili cambi di abitudine che portano a confondere il soggetto già stordito dalla giostra centripeta del gorgo fino a prosciugarlo di ogni tipo di concentrazione.
Il gorgo però non si accontenta. A livelli ben determinati, di solito quando inizi a scemare l’effetto della causa d’ingresso il gorgo cala altri carichi sconsiderati.
Solo a quel punto ci si accorgerà che tutti i piccoli errori commessi durante il periodo di stordimento non solo si saranno perpetrati, ma addirittura si saranno incasellati, inanellati e avranno formato una struttura complessa ed incatenata la quale diviene un ulteriore peso di metallo inerte che trascina verso il basso, mentre il soggetto bestemmiante sbuffa e ringhia tentando di riemergere…
A questo punto spesso iniziano le grida d’aiuto. Nel caso in cui si sia fortunati qualcuno butterà nel gorgo una corda, una mano, un serpente a sonagli, una qualsiasi cosa alla quale aggrapparsi. Nel caso in cui si sia stati così tronfi di se da escludersi ogni aiuto esterno purtroppo l’unica ipotesi è attendere di spiattellarsi sul fondo del gorgo…sempre che ve ne sia uno…
Questo però non deve consolare i più ricchi d’aiuto. Il gorgo è personale, personalizzato e autocosciente. Egli sa bene come fare respirare il soggetto per un magico istante solo per tirarlo di nuovo verso il fondo, e gli aiuti non sono mai illimitati…..
Inoltre, ogni minuto di permanenza all’interno del gorgo causa un sanguinamento energetico di proporzioni titaniche. Il Gorgo succhia principalmente energia positiva, della nostra carcassa cellulare non sa che farsene.
Infatti il soggetto perso nella roteante discesa verso gli abissi diviene gradualmente sempre più svogliato, sempre più indolente, sempre più accidioso. L’animo inizia a rassicurare se stesso, a prepararsi all’inevitabile.
Di fronte ad una forza che tutto corrompe, che conosce ogni contromossa, che non concede respiro e non concede alcun segnale di attacco o di resa par quasi automatico issare bandiera bianca.
Ed eccomi qui. Nell’ennesimo gorgo….
A chiedermi perchè, in fondo, statisticamente…. venire in faccia ad una fotomodella o vedere succedere sfighe inspiegabili in bilico sul filo della realtà…. non sono accadimenti troppo distanti.
Nel gorgo vien solo da chiedersi perchè la vita sia così noiosa…
Ne ho visti così tanti di gorghi che ormai ho uno zainetto apposito, con merendine riviste per far passare il tempo mentre vengo frullato e spinto verso gli abissi.
A che cosa servirà mai, o karma onnisciente, una nuova gita nelle profondità della merda?
Sarà così innovativa per la mia anima immortale?
Chissà quali innominabili segreti dell’esistenza cosmogonica apprenderò quando sarò più povero, più triste, più disperato e più trasandato di così….
Sono proprio un prescelto. Certe fortune capitano solo a pochissimi eletti per meritocrazia divina.
Mi dispiace, mi dispiace veramente, ma non posso che chiudere il discorso che con un’unica parola rivelante, scritta a lettere d’oro sul fondale dell’esistenza, a caratteri cubitali, là dove tutto ha termine e seme, nell’estrema profondità del gorgo:
PORCODDIO.

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Io credo ormai che l’unico scopo degli apparati che ci si sovrastino sia quello di schiacciarci come insetti e leccare avidamente il succo che uscirà dai nostri cadaveri esplosi.
E un giorno, quando questi vampiri senza criterio si accorgeranno di star regnando su un mondo di carcasse marcescenti, forse verranno colti dal sospetto che una vacca morta non possa più essere munta.
Ma la vacca non si godrà la delusione del proprio carnefice.
La merda che sgorga dalle fogne nelle nostre case è solo la rappresentazione materiale del nostro senso civico, politico ed umano. Come nazione e come civiltà.
Io credo che il senso del limite sia stato passato da tempo, o meglio, sia stato passato un nuovo segno di limite, come se fosse una gara autopartecipata verso nuove vette di blasfema indecenza.
Con senso di mortifera certezza ci si accorge che ogni possibile rivoluzione avvenga solo per scambiar culi su poltrone e che i medesimi riottosi altri non siano che aspiranti alle olimpiche condizione della nobiltà.
Salvataggio personale, sempre teso allo sfruttamento dello schiavo alle cui catene si sia collegati, nella logica miope della divorazione subitanea ed irragionevole della risorsa disponibile.
Scivola sugli asfalti roventi delle tangenziali intasate, ulula nel coro di merci accompagnate da bolle di niente che sfrecciano in direzioni opposte congestionando le proprie viabilità.
E’ un mondo veloce, un mondo in tempo reale, che non ha più tempo e chiede tempo. E’ il regno dell’urgenza, perchè ora è possibile avere urgenza. Abbiamo concesso la velocità reale alle nostre sfrenate fantasie di ingordigia, ed ora dobbiamo tenere l’insostenibile passo della nostra partitura.
Inferni di reperibilità senza tregua, di esseri sudanti e affrettanti che lasciano impronte luminose visibili da freddi e silenziosi occhi celesti.
E’ il nostro mercificante trionfo, talmente riuscito da averci portato ad un valore ben inferiore di quello del nostro prodotto, in un capovolgimento semantico in cui la merda giustifichi l’esistenza dell’entità biologica.
In questo paradiso di connessioni si intensifica l’intreccio delle mani, che stringono pugnali ed alleanze, disegnando volute impossibili ed indistricabili in un labirinto quadrimensionale intelleggibile.
Mani che scavano e grattano, intente ad un subdolo lavoro di scambio e spaccio ma sempre tese e pronte ed adatte nella ricerca dell’orifizio, anteriore o posteriore a seconda delle convenienze del caso.
Sfreccia il dibattito, falciando parole come pecore sacrificali, sulle creste delle onde medie, sulle frequenze affollate dei chiacchiericci inconcludenti, uno sfoggio di personalismi di bandiera ed opinabili opinioni, lanciate nel flutto dell’irrilevante da sapienti pescatori di inutilità.
La speranza opprime la visione ed il buonismo ignora i dardi della realtà.
Mentre gli ultimi brandelli di significato si dissolvono negli acidi della cacofonia i nostri spiriti guida strombazzano inni all’igiene dall’alto di immensi cumuli di sterco.
I vendicatori tentano unicamente di vendicare se stessi, il sacrificio è la normale fatica dell’esistenza. Per gli organismi parassitari l’autonomia è un lusso oltre la stessa programmazione biologica.
L’intontito sciame non rileva alcuna dissonanza, alcuna lacuna, alcun errore nello svolgersi del macello, esso è felice è soddisfatto e ripete i propri mantra rassicuranti arrancando verso la spiaggia più vicina, ignorando che l’intera sua esistenza non potrà mai che essere naufragio.
Noi che abbiamo uno scettro di telecomando.
Noi che abbiamo “tutto intorno a te”
Noi “perchè tu vali!”
Noi che abbiamo un nome sugli stivali.
Noi che produciamo.
Noi che due settimane all’anno possiamo vedere un bel posto.
Noi che paghiamo il pizzo ad entità sconosciute su tutto  ciò che compriamo, che possediamo e ciò che vendiamo.
Noi che non siamo più ciechi ma videolesi.
Noi che cambiamo i nomi per mutare la percezioni dei significati, mentre la realtà mai si inchina e mai si adatta alle nostre facezie da imbonitori e chiama il sangue con il suo rosso nome.
Una gabbia fatta di immagini traslate, che non corrispondono più ai suoni che le identificavano, che sono tutto ed il contrario di tutto, mentre l’unico vero Dio rimasto è l’inarrivabile pila di rettangoli di filigrana colorata.
In mancanza di filtro, senza il sollievo di una goccia di ignoranza, di una pillola di noncuranza di un’elisir di stupidità si corre il serio rischio di capire definitivamente quanto tutto il dolore che si è costretti a provare non sia dovuto, ma casuale. Frutto nemmeno di punizione ma di assenza di giudizio, generato da un invisibile ed ancestrale tiro di dado.
Dolore che va però provato e goduto ogni giorno, ogni singolo momento, da noi illusi inseguitore di sogni patinati.
Tutto questo mi ha tolto la grandezza delle nuvole, la carezza del vento, il profumo dell’erba ed ha trasformato il giardino in cui sono stato generato in un gioco delirante, un’allegoria grottesca e deforme di vita.
Bramo di isolarmi, bramo di patire i dolori del mondo come erano concepiti, nelle loro forme semplici e pulite di freddo, fame, malattia e morte. Bramo l’assenza degli apparati, delle burocrazie soffocanti. Vorrei non dover più sentire parole simili a fatturato, inquirenti, subappalto, contratto, revisione, versione, moda o prestigio.
Preferirei il rustico scrocchiare delle mie ossa sotto le zanne di un orso affamato.
Preferirei morire da solo che vivere con questa razza di morti viventi, che vive e genera illusioni, che è schiava di catene fantasma e che sfama i propri superiori col suo stesso sangue.
Vorrei solo essere bagnato dalla pioggia e provare freddo e affidarmi a quello, solamente a quello per sentirmi vivo.
E capire finalmente che sono stato nutrito e cresciuto a menzogne. Che tutto ciò che mi hanno fatto credere importante altri non sia che un atomo irrilevante all’interno di volute plastiche di spazi e tempi incalcolabili.
Che io non sia nulla e tutto ciò che io faccia non possa cambiare questa verità.
Così che io smetta di fatturare inutilità regalando tempo alla fatica dei criceti sulle ruote.
Nel mondo degli uomini non si fa più niente. Ma si fattura tutto….

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Sul mio onore prometto che farò del mio meglio — Per compiere il mio dovere verso Dio e verso il Re. Per aiutare le altre persone in ogni momento. Per osservare la Legge Scout.

Nessuno potrebbe veramente definire cosa faccia di un uomo un cavaliere.
Intanto la figura stessa del cavaliere non è altro che un’immagine distillata, una soluzione alchemica che abbiamo ereditato dalla tradizione, la quale può variare come composizione da soggetto a soggetto, come contenuto da spirito a spirito, come funzione da mente a mente.
Ma io so cosa significasse per me, essere un cavaliere.
Intriso come sono stato fin da bambino dal martirio piangente cristiano ed il coraggio  scintillante del fantasy non ho voluto, e non ho potuto, sottrarmi dal cercare di vivere aspirando ad una sofferenza gloriosa, che non portasse materialmente alcuna ricompensa se non una vibrante nota argentina in un cacofonico caos di rumori assordanti.
Un cavaliere, a mio avviso, doveva essere questo, nel profondo.
Non un carnefice, non un inquisitore, non un santo, non un martire, non uno zelota.
Ma tutte queste cose al contempo e nessuna di esse.
Ma nel mondo degli uomini, che è fatto di miserie berciate a forza e secrezioni spruzzate a caso, tutto questo riesce maledettamente difficile, ed a tratti impossibile.
E proprio a causa della pigrizia e dell’indolenza degli umani che mi circondano, questo cavalierato viene spesso vilipeso e schernito; un insulto peggiore del tentativo stesso di distruzione, quello della noncuranza.
Per questo motivo, non sono andato alla cena trentennale del mio gruppo scout.
Vorrei dire che non vi è alcun legame tra le mie disattese aspettative cortesi ed un passatempo adolescenziale, ma purtroppo non è così. Il legame non solo esiste ma è addirittura indissolubile.
Lo scoutismo cristiano è l’unica via di moderno cavalierato che io abbia conosciuto, per sua stessa definizione. Il San Giorgio patrono è la quintessenza epica di una proiezione fantasy, il cavaliere senza paura che uccide il drago e salva la purezza dalla corruzione. Il San Michele arcangelo che sconfigge allo stesso modo Lucifero è la sua proiezione più alta, il suo alter-ego celeste. Ed ogni scout dovrebbe in se incarnare nel piccolo, reale ed umano, questa semantica eroica.
Così ,pur iniziando per gioco, lo scoutismo divenne sempre più serio, per me.
Esso era una direttiva, una via, un modo di essere sempre e comunque, di distinguersi dal caos con una fascio luminoso di ordine.
Il famoso “stile”, il pedante modo di essere che ci veniva inculcato ad ogni respiro era in fondo questo.
Lo stile era una differenza di approccio, di posizione, che dimostrava una differente sostanza, un metallo particolare con cui si venisse forgiati, per divenire in ogni singolo attimo della nostra vita la lama del cortese amore e della tanto agognata giustizia. A questo punto chiunque potrebbe cominciare a sospettarmi di tossicodipendenza mal celata o patologia mentale latente.
Ma non ero io ad essere pazzo, o quantomeno non ero il solo.
Ci veniva veramente insegnato questo, la promessa implicita era proprio che in quella comunità i filoeroici come me avrebbero finalmente trovato un loro posto, un castello ed una tavola rotonda intorno alla quale riunirsi, per raccontarsi le mille avventure, mostrarsi le vecchie ferite, affilare di nuovo insieme le spade dopo le tante battaglie della vita quotidiana. Ma non era così. Io, ora, che mi sento già infinitamente vecchio, posso capire che non tutti cedessero a questo slancio epico, che non tutti lo facessero per meritarsi un posto tra gli eroi del coraggio e della fede, ma mi chiedo ancora cosa stessero a farci, in quel posto, la maggior parte delle persone.
Immagino che lo facessero per non sentirsi soli, perché era un modo divertente per essere catapultati in un grande gioco di comunità dal quale però ci si poteva ovviamente sottrarre in maniera immacolata e subitanea senza conseguenze.
Sottrarsi a quello stile, più che alle attività materiali in se.
In effetti credo di essere stato anche piuttosto assenteista dalle attività, ma di non essermi perso mai un secondo di vita nello stile.
Essere cavalieri significava esserlo a scuola, al lavoro, in famiglia, con gli amici, con le donne… e peggio di ogni altra cosa: con se stessi.
Questo metteva nella scomoda posizione di essere in perenne seduta di fronte al tribunale dell’autocoscienza, un modo di approcciarsi alla vita da i più insopportabili possibili.
Forse per mia personale inclinazione, forse per ebrezza fantastica io ci provavo veramente.
Ciò che incontrai nella realtà, in quella comunità, fu ben differente.
Per i più impegnati era un gioco, in cui spendere energie fino a quando reggesse la volontà, ma passibile di abbandono al sorgere di difficoltà reali.
Per la maggior parte era un luogo di ritrovo, un circolo sociale in cui poter sfogare le miserie becere di una vita di media intensità e di bassissima levatura morale. Era la porcilaia in cui andare a pavoneggiarsi, la centrale di rilevamento di ogni pagliuzza nell’occhio altrui, lo sfogatoio per le crisi uterine o il giro del cane in cui trovare un’orfana da maritare.
Non era niente di differente da un bar, una discoteca o una bocciofila, a livello etico.
Cambiava solo il tipo di attività che rendeva il tutto molto più intenso e a tratti “esotico”.
Per una piccola minoranza, inoltre, era il patetico tentativo di sembrare normali, di non essere emarginati e rendersi conto di essere palesemente storpi, rifiutati, psicolabili, caratteriali o potenziali assassini e stupratori.
Perché sotto il rassicurante stendardo del buonismo era pronta una divisa ed una promessa per ognuno.
In quei lunghi dodici anni ho visto coppie mescolarsi, gente scambiarsi compagni più che in una quadriglia, ho visto potenti e ricchi pavoneggiarsi dei propri privilegi con i poveri ed i disgraziati, ho visto bulli da sala giochi impartire lezioni di etica e disciplina a cavalieri erranti implumi. Ho visto come si possa essere premiati usando il ricatto ed essere battuti e lapidati usando la ragione.
Ho visto tutto il teatro rivoltante delle meccaniche sociali umane; il crearsi, lo sfasciarsi, il trasformarsi delle umane alleanze e delle conseguenti guerre e l’utilizzo senza remora alcuna di ogni fine che giustificasse il mezzo.
Ho visto dichiarare pubblicamente grandi propositi sui quali veniva spruzzato sangue qualche minuto più tardi.
Ho visto gente ridere di me, tanta… ma pochissima ridere con me.
Non ho mai trovato rispetto e tantomeno affetto in coloro che avrebbero dovuto essere i miei cavalieri colleghi, gli opliti spartani che avrebbero dovuto difendere l’uomo al proprio fianco con il loro scudo spesso lo usavano per fargli saltare l’intera arcata palatale.
Ed i peggiore non erano i più ignoranti, i più beceri ed i più caratteriali.
I peggiori erano proprio i colti e gli intelligenti, che non avevano scusa alcuna per la propria condotta, anzi scientemente perpetravano violenza sociale e godevano tronfi, perché questo li faceva sentire potenti.
E se proprio sotto l’insegna di quel cavalierato, veniva permesso alle nuove generazioni in età di sviluppo di pisciare e defecare sui più alti valori etici e morali… cosa mai ci si poteva aspettare che divenissero, quelle nuove promesse?
Se l’insegnamento adolescenziale risiedeva nel rispettare le regole solo fin quando avesse fatto comodo, solo fin quando non fosse stato un limite per gli istinti più bassi ed animaleschi, quali migliori esseri umani si sarebbero mai ottenuti?
I bulli del bar erano filologicamente più corretti. Nessuna regola, nessun tradimento.
Non biasimo chi aspiri a diventare l’elemento Alfa del proprio branco, perché è naturale.
Noi copriamo questa verità incontrovertibile con una melassa di buonismi e scuse provenienti dalla religione e dal civismo, ma ognuno di noi aspira ad essere dominate.
Ma persino all’interno di un para-cavalierato tutto ciò veniva raggiunto attraverso l’astuzia speculativa, l’arroganza verbale e l’ipocrisia morale.
In pochissimi, sempre emarginati e sempre scherniti pensammo che si potesse arrivare dominare con la grazia e con la fatica.
Questo cercammo di fare io ed i pochi che mi corrispondevano: un cavalierato nel cavalierato.
E ci riuscimmo. E non cambiammo il mondo, ma cambiammo la nostra vita, ma non quella di allora: la nostra vita per sempre.
Perché tutto ciò non cessò mai. Ed altri che, affascinati da questo approccio, si unirono in seguito diventarono cavalieri infinitamente migliori senza mai aver vestito una divisa o fatto alcuna promessa, e lo sono tutt’ora.
Altri, dopo aver abusato della pazienza dei pazienti, furono allontanati senza tante cerimonie e ripensamenti.
Perché il nostro cavalierato non ha regole, non ha riti, non ha melassa.
Il nostro cavalierato è armonico, quando una nota diventi dissonante è la sinfonia stessa a risolvere il problema.
Ma a quegli anni di scoutismo devo tutte le macerie fumanti che oggi rappresentano la mia fiducia nell’essere umano.
Essi non solo mi disgustarono fino alla disperazione, ma mi mostrarono che tutto ciò che mi circondasse non fosse altro che quella piccola microsocietà ripetuta in milioni di forme.
Dal coro, all’associazione ludica, all’ambiente di lavoro e in casi non tanto estremi anche in famiglia.
A loro devo il mio ritiro quasi perenne nel mio monastico e solitario rifugio. A loro devo il mio rifiuto alla riproduzione e conservazione di una pecie che detesto.
A loro devo la distruzione del mio ideale di amore, perché quando portai il mio amore tra loro si divertirono a sfotterlo, distruggerlo, dissacrarlo, deriderlo e poi restituirmi i cocci.
Ed io ricordo bene tutto.
Ricordo perfettamente ogni singolo istante, specialmente se orribile.
Ed è per questo che nessun Dio mi renderà mai un angelo vendicatore, altrimenti su questo pianeta la ricerca degli esseri umani sarebbe un’impresa praticamente disperata.
E dopo quindici anni dovrei venire ad una rimpatriata per fare di nuovo il giro del cane?
Per sentire di nuovo questi esseri fare domande, fare bilanci, fare battute, fare il loro rovinoso teatro per stabilire chi sia il più riuscito nella vita?
Per ricordare con loro quanto io non mi sia divertito mentre lo OVVIAMENTE si?
Mi dispiace.
Devo scrivere crudeltà, masturbarmi, spalare merda di gatto, accudire madri, pagare case, contrarre malattie, cambiare cellule, pensare draghi e maledire la mia stessa razza.
Non ho tempo per le vostre stronzate, presenti o passate.
Non è che non potessi venire, non ho voluto venire. E non ho nemmeno dato conferma o smentita perchè con esserei incomunicanti non ho interesse a comunicare, tantomeno a scatenar polemica.
L’urlo del silenzio è il più lacerante che si possa lanciare, se nemmeno questo viene colto allora non vi sono altre speranze.
Ci vuole tempo per cagarmi il cazzo, perché sono paziente ma soprattutto dubbioso come ogni saggio.
Quindi penso sempre prima a cosa stia sbagliando io….
Ma poi mi si caga il cazzo una sola volta in tutta la vita.
La seconda occasione io non la concedo.

Estote parati

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Prima dello shaker:
Ho passato tutto il sabato a spostare i mobili della camera da letto. Questo perché i miei armadi si stavano inesorabilmente divaricando, allontanandosi l’uno dall’altro come una coppia di separati in casa.
Così decido di rimettere l’armadio a ponte dove deve stare, intorno al letto e liberare un’intera parete.
A parte le bestemmie necessarie per spostare tutto il contenuto, gli armadi, ed ammirare lo spettacolare arazzo di muffa che si è creato nella parete in questione riesco nell’impresa.
Alle 20 circa sono sudato, dolorante, distrutto, ma la camera è stata ruotata.
Una mossa che avevo rimandato per anni, attendendo l’arrivo del fatidico mutuo mai arrivato che mi avrebbe permesso inoltre di ristabilire i muri.
Gli dei non vogliono…eh va bè…
Così compio l’impresa.
Dopodiché esco.
Non ne avevo molta voglia, ma dopo una giornata di lavori e solitudine, tento la sorte.
La sorte non risponde.
Appena metto piede in centro vengo colto da un improvviso senso di malessere. Un inaspettato bisogno di isolarmi, un disgusto quasi lacerante per il mondo intero ed un ribollente malumore senza genesi specifica.
Non mi pongo domande. Torno a casa dopo poco più di un’ora, gioco a Diablo III fino alle due di notte la grido “Tanto posso dormire quanto voglio”.
Quella frase pensata è ancora sospesa nell’aria di fronte al computer.

Lo Shaker:
Mi sveglio di colpo convinto di essermi addormentato su di un trattore in movimento.
Grazie alla mia intelligenza percettiva (che a differenza di quella logica funziona quasi sovrumamanete ) mi accorgo di ogni cosa in poco più di un secondo.
Sono nel letto, sono sveglio e questo è terremoto.
Rimango semplicemente immobile. Non muovo nemmeno un muscolo, non mi aggrappo alle coperte, non bestemmio ne prego. L’unica cosa che riesco a fare è trattenere il fiato.
La vibrazione allarga la frequenza. D’un tratto quello che prima vibrava inizia ad oscillare.
Il mio appartamento è sospeso nel vuoto. La mai casa è la villa di testa di un blocco di villette a schiera di inizio secolo, ma il piano in cui risiedo io è stato aggiunto in un secondo tempo. La mia casa è l’unica con un piano addizionale.
Di conseguenza sono ancorato unicamente al pavimento. Tutte le pareti danno sul vuoto.
Durante un movimento ondulatorio di magnitudo 6… è come essere in piedi su un budino di gelatina durante un maremoto.
Infatti non provo nemmeno a scendere dal letto.
Mi rendo conto che la potenza del fenomeno è tale, questa volta, che non farei nemmeno in tempo a raggiungere la porta delle scale.
Così mi rimetto al volere degli Dei. Con un incredibile calma interiore accetto il mio destino. Se è il momento allora sia.
Ma mi coglie subito la disgraziata ipotesi di sopravvivere. E li comincio a sudare freddo.
Non per me, per la casa.
Questo cazzo di baraccone pericolante che cade a pezzi da solo è in balia di una forza tellurica inaudita in queste contrade. Questa è l’ira degli Dei e la mia casetta è solo una vecchia beghina di pianura piena di acciacchi.
Così attendo. Per venti secondi che mi sono sembrati lunghi quanto una messa cantata in italiano (in latino mi passa di più..).
Attendo da un momento all’altro di sentire il tonfo del tetto sul solaio del soffitto. Lo scroscio delle tegole sull’asfalto della strada, il lacerante squarciarsi del muro e la notte, la tenebra fredda, infilare le sue dita nel mio intimo talamo solitario, come avide mani di un ladro all’interno di un forziere finalmente scassinato.
Invece smette.
Siamo ancora qui. La casa ha tenuto. Elastica quanto decrepita, la vecchia stronza ha tenuto botta alla più grande frullata cinetica di questa pianura dal 1570 ad oggi….
Il terrore era tutto per lei. Una vita investita in questo cumulo di mattoni e la perfetta sensazione di essere totalmente impotente ed inerme.
Non poterla difendere, non poterla aiutare, non potere fare nulla di più che mettersi in salvo.
Forse è stato un momento da capitano di vascello. Preferivo affondare con lei, dopotutto.
O forse ero solo paralizzato dal terrore.
Non lo sparò mai.
So solo che quella soggettiva dal letto non mi uscirà mai dalla mente. Vedere il mondo muoversi autonomamente, tutto ciò che si consideri saldo andarsene in giro bellamente al ritmo di un orribile boato gargantuesco.
Un mostro sotto i piedi, tutto intorno, ovunque che sradichi le nostre certezze e sicurezze.
Forse pensiamo che da noi certe cose non succedano solo perché non sono ancora successe.
Ma per una volta i tortellini hanno ballato senza che il brodo bollisse. Pessima sensazione.

Dopo lo shaker:
Ovviamente chi dorme più dopo una sveglia del genere???
Si, ho alcuni amici che ce la fanno, ma non sono tra quelli.
Ci troviamo tutti su facebook, che si rivela estremamente utile in un momento del genere, per assicurarci che non vi siano stati danni irreparabili ad amici e cari.
Passo  le ore che mi separano dall’alba a fissare una bottiglia d’acqua sul comodino.
L’acqua nella bottiglia non si ferma mai. Le onde d’urto continuano imperterrite. Aumentano, diminuiscono, a volte il letto si muove un po’.
Faccio una piccola ricerca.
Scopro che il nostro blocco appenninico, colto da un improvviso moto d’invidia, vorrebbe andare verso le Dolomiti per vedere come si faccia della montagna seria.
Ottimo presupposto imprenditoriale, peccato vi sia la pianura padana in mezzo, che si arriccia come un tappeto….
Quanto pare non sono l’unico di queste zone a sognare quelle zone, ultimamente….
Ma mi basta un treno, non richiedevo che l’intera regione mi portasse in braccio verso le Alpi. Anche perché ci metterebbe qualche migliaio di anni e non credo arriveremmo mai vivi ed incolumi…..
Scopro, inoltre, che i geologi, i sismologi e altri tipi di ologi, non hanno la più pallida idea di che cazzo succederà in futuro.
Mezza pianura cerca di farsi dire che il peggio è passato, che quella era la scossa più forte, ma gli scienziati li rassicurano con un morbido “lo sa il cazzo!”.
Questo significa che gli appennini potrebbero essersi stiracchiati un attimo e potrebbero dormire di nuovo per qualche secolo, ma anche che potrebbero essersi svegliati del tutto e aver deciso di andare a fare un giro a Venezia, che ne parlano così bene!
Insomma….
Mi cago addosso.
Perché è successo. C’è il precedente che genera il ragionevole dubbio.
Inoltre dopo un giorno la terra continua tranquillamente a tremare, con minore intensità, ma assolutamente di continuo. Viene da chiedersi se si stia assestando o sotto i nostri culi ci sia un calderone ribollente di forza ancestrale pronto ad esplodere in una simpatica apocalisse tellurica….
Io, come sempre penso che il peggio non sia mai passato. Questo perché il più delle volte è la nostra visione del “peggio” ad essere corta di focale, non è il peggio ad essere timido.
Peggio di così si può. Ci auguriamo tutti che il fato ce lo risparmi, ma si può.
Piango per le vittime, ma ancor di più per i miei castelli e le mie rocche rinascimentali massacrate dalla furia degli elementi.
Tremo per la mia casa, che eroicamente ha ballato sulla sesta magnitudo ma…ce la farebbe a ballare un’altra volta? Potrebbe ballare ad una magnitudo più alta??
Guardo la bottiglia e controllo le vibrazioni. Posso guadagnare una manciata di secondi per… per essere cosciente. Non per mettermi in salvo.
La mia salvezza è nelle mani del caso, come la previsione di un terremoto o del tempo atmosferico.
La mia casa  mi ha reso orgoglioso in quella notte. No so se farebbe altrettanto in altre notti.
Ma soprattutto: VA BENE!!
NON LI SPOSTO PIU’ I CAZZO DI MOBILI DELLA CAMERA!
ECCHECAZZO!

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Mentre facevo benzina riflettevo su quanto si debba essere ricchi, ormai, per concedersi il lusso di darsi fuoco.
Credo di aver fatto delle mosse piuttosto discutibili, ultimamente. Mosse in qualche misura assimilabili a svariati livelli di follia, i quali però non credo siano più distinguibili dai livelli di sanità mentale…
Ho vissuto, fin dalla prima infanzia, in un mondo completamente folle.
Ovviamente, quando il primo vagito di autocoscienza sgorghi in una certa situazioni essa non può che essere considerata  l’unica realtà possibile.
Dopo tutto sembra folle, ma durante è tutto mestamente credibile.
Il mondo che conoscevo stappava petrolio dal terreno e lo trasformava in una varietà impensabile di prodotti, oltre che bruciarlo saggiamente per produrre ogni forma di energia possibile, dal semplice calore all’energia cinetica dei mezzi di locomozione.
In pratica, con saggia lungimiranza, l’umanità aveva deciso di prendere una risorsa senza alcun dubbio destinata ad esaurirsi e fondare su di essa tutta l’economia mondiale.
A me piace sempre tenere un punto di vista alieno, perché se fossi un osservatore esterno e vedessi un’intera razza comportarsi in tale maniera rischierei tutti i ventricoli a causa delle risate….
Sul momento sembrava una buona idea, sicuramente.
Soprattutto a quei pochi che avessero le mani sui pozzi di petrolio. A loro, scommetto, l’idea sarà sembrata ottima.
Tutto il resto, dalla prima trivella allo spread, è semplicemente consequenziale. Non c’è in realtà alcun buco, alcun salto, alcuna mancanza.
E’ un processo unidirezionale, prevedibile e .. tristemente scontato.
Basare tutto il benessere del mondo su un’unica risorsa significa divinizzare chiunque abbia tra le mani tale risorsa (leggere Frank Herbert aiuta…). Chiunque sia vergognosamente ricco, potrebbe, a tal punto, comprare ogni cosa.
Il problema fondamentale è proprio il fatto che l’anima umana sia variabile nel prezzo ma assolutamente mercificabile nell’essenza.
Il problema parallelo è tutto questo baraccone è destinato a sfracellarsi all’esaurimento della risorsa in questione.
Il problema secondario è che essendo tutti legati a tale risorsa, in ogni aspetto della vita, ad essa siamo tutti incatenati. Da quando dobbiamo scaldarci a quando dobbiamo sfamarci.
Il problema tangente è che questa merda impesta l’ambiente.
Il problema che genera tutti i problemi è la modalità con cui questa risorsa venga sfruttata.
Se l’uomo è oggettivamente accusabile di miopia nel basare l’intera sua sussistenza su di un bene finito, non vi sono livelli misurabili per la follia insita nella civiltà dei consumi.
Non solo è una risorsa finita, ma adoriamo sputtanarla producendo pattume.
Perché è bellino il packaging, le cose colorate, la pubblicità, le grafiche, si rincoglioniscono tutti con il glitter… ha una specie di magia suprema intrinseca.
Pensiamo che le gazze siano animali stupidi, solo perché rubano cose colorate e luminose di cui in definitiva non se ne fanno nulla.
Perfetto.
Noi invece siamo volpi del deserto. Con grande saggezza ci facciamo anche un culo come una capanna per produrre le cosine luminose e colorate che saranno perfettamente superflue.
Pochino, pochino. Una goccia di petrolio alla volta.
La grande rivoluzione industriale del XIX secolo aveva bisogno di energia. Serviva del gran vapore.
I cinesi sono rimasti attoniti, con i loro ravioli in mano, al passaggio della prima locomotiva.
Ah, ecco a che cazzo serviva il vapore!!  Mica per i ravioli….
Per  correre in giro per il mondo, far frullare i telai, le presse, le trinciatrici, i trattori, le valvole, le bielle.
CHE BIELLA LA VITA!
Produciamo, produciamo all’infinito! Con una risorsa finita vi promettiamo che la produzione sarà sempre più intensa, veloce ed accurata!
E deve crescere! Sempre!
Chi si ferma è perduto.
Correre, produrre, guadagnare, vendere, inculare, arraffare, schiattare, ereditare e ricominciare.
Il mito del lavoro che rende liberi crea le catene glitterate per gli schiavi. Finchè hanno le lucette negli occhi non capiscono nemmeno di sudare (e di suprendere).
Insomma, io sono nato in quel mondo, che per me si traduceva nei puffi di plastica che tanto agognavo.
Sono nato tra giochi di petrolio puro, nella foresta degli yuppies che correvano in cravatta ad incularsi qualche colosso, per tornare nel monolocale a sbafare avidamente un bel cibo precotto scaldato nel microonde, ultima gloria del futuro in arrivo.
Nel giro di dieci anni nessuno ci ha capito più un cazzo. Il superfluo è diventato indispensabile, il frivolo è diventato cronaca, il culo si è trasformato in bocca e viceversa.
Non avevamo ancora capito come fosse progettato l’essere umano che già lo avevamo ribaltato come un calzino.
E l’olio di pietra cosa fa, dopo vent’anni?
Niente, cala di reperibilità e sale di prezzo. A lui non frega nulla.
Io lo vedo, l’oro nero. Come un mostro appiccicoso nel sottosuolo. Con mille bolle per occhi, mille colate per tentacoli, mille getti per sfiatatoio.
Che sogghigna. Perché dal piano di sotto sente i nostri passetti isterici correre avanti ed indietro.
Le formichine che lui ha in pugno, tenute in scacco dai suoi servi fidati ed altamente addestrati, che a lui devono una divinità quasi mai raggiunta sul mondo materiale.
Tutto tra i suoi tentacoli.
Il caldo, il freddo, il lontano, il vicino, il colore, la forma, il prezzo, il valore, l’umore, la salute la vita stessa di quei piccoli animaletti isterici che corrono sulla crosta terrestre.
E mentre facevo benzina, mentre mi ricordavo quanto quella carcassa di plastica e metallo che ci aveva illuso di libertà mi tenga in scacco, mentre guardavo il cielo….
..pensavo che quella merda nera fosse sottoterra per un motivo valido.
Non che sarebbe così divertente tornare scaldarsi con il carbone e battere comunque i denti o leggere cavandosi gli occhi a lume di candela….
Pensavo solo che la follia nella gestione, dovuta unicamente all’avidità più cieca e feroce, di questa risorsa così versatile già sarebbe un motivo valido per lo sterminio della razza umana.
Quello che trovo assolutamente disgustoso e blasfemo è capire quanto poco sia saggio un umano con un oggetto potente tra le mani.
Con una gestione più oculata tutto poteva essere migliorato quel tanto che bastasse a vivere meglio.
E meglio non significava produrre scarti più belli, significava capire cosa fosse necessario e cosa fosse superfluo.
Se fosse meglio un buon prodotto in una brutta confezione che un cattivo prodotto in un imballo estasiante.
Ma adesso, davanti al computer, posso parlare in tempo reale con tutto il mondo, e non ho un cazzo da dire.
Questo punto di arrivo della nostra corsa razziale mi sembra piuttosto instabile e deludente.
Perché mi costa immense fatiche, ma non mi da alcuna scelta.
E la scelta è l’unico lusso veramente concesso agli uomini.

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Forse il problema sono io.
Sinceramente non capisco cosa stia succedendo, o meglio, lo capisco, ma persino io fatico ad ammetterlo.
In realtà i più famosi allarmisti, i fanatici delle teorie cospiratorie, i paranoici dell’onirico ed i dicenti cazzate, a volte, sono i più avanti di tutti, a livello di intuizione.
Certo, sono piuttosto orgoglioso di passare le serate su Youtube a guardare tutti i filmati rigurgitanti stronzate che io possa reperire.
Alcuni sono talmente imbarazzanti che mi inchino al coraggio di chi li abbia prodotti, altri sembrano una rivestimento serio per  un nucleo di stronzate inossidabili, la maggior parte cerca di arrivare al minutaggio parlando di tutto senza mai dire niente, ode di repertorio.
E li guardo tutti!
Dalle teorie della cospirazione planetaria del nuovo ordine mondiale agli alieni che creano la razza umana e poi se ne vanno in culo per le galassie perché, forse, avranno lasciato la lavatrice in funzione a qualche miliardo di anni luce.
Mi gusto le ipotesi sui fantasmi nei castelli scozzesi quanto la gioia tutta americana di credere sempre in questo cazzo  di Diavolo, il quale sembra più che altro un’entità di imbecillità ultrauniversale, visto come sarebbe sempre impegnato a possedere donnette insignificanti  del ceto popolare.
Fossi io il Diavolo possederei prima di tutto Angelina Jolie, e poi il presidente degli Stati Uniti, se proprio volessi conquistare il mondo.
Si, la Jolie non è fondamentale, ma visto che si era in possessionismo….
Ora, io non credo alle stronzate che sento, o leggo, su internet.
Nella maggior parte dei casi io VORREI poter credere. Vorrei essere ancora così fanciullesco ed incontaminato da bermi tutte le puttanate che sento, soprattutto quelle che mi piacciono perché, in fondo, ragazzi, la fantasia è ancora l’unica forma di libertà che nessuno possa toglierci….
Peccato che io, che sono un pirla che prega lo spirito del Dio Drago (si, totalmente autocostruito come culto), che gira da solo nei boschi a caccia di folletti e per cimiteri sconsacrati a caccia di fantasmi…non ce la faccia proprio a confondere realtà e fantasia.
Io!
Io che, per i miei contemporanei, sono un bambino di cento kili, perso nei suoi sogni e nelle sue visioni, quasi poetico nel suo distacco dalla realtà; io il disegnatore e cantore dell’inesistente; io….
Proprio non ce la faccio a mischiare merda e cioccolata.
E’ un po’ di tempo che ne parlo, ma non credo che il concetto passi più di tanto.
Non starò a ribadire quanto sognare un drago sia PALESEMENTE un sogno fine a se stesso.
Quello che vorrei ribadire è solo quanto sia invece folle porre la stessa energia spirituale sognando…chessò:
Un governante onesto?
Un’economia sana?
Un rapporto di coppia equilibrato?
Un miglioramento culturale umano?
Un Dio salvifico?
Un sei al Superenalotto?
Eppure, nella mia follia fantasy-epica, sono perfettamente consapevole che nessun drago atterrerà mai nel mio cortile per farmi fare un giro sulla sua groppa.
Non me lo aspetto.
Almeno non più dalla maggiore età….
Ma la fede, nella sua accezione di fiducia incondizionata, può creare danni piuttosto gravi alla psiche umana media.
Principalmente perché fa commettere errori piuttosto grossolani, ad esempio una mancanza voluta di criticità nei confronti del fenomeno interessato, un calo esponenziale dell’attenzione, una cecità di osservazione e la maledetta alchimia tra speranza e proiezione.
Io vorrei veramente che scendessero gli alieni!  Come vorrei che una volta tanto un uomo di potere si mettesse anche una mano sul cuore;  ma questo risulterà difficile finché gli umani avranno solo due mani e queste mani, in posizione di potere, siano sempre poste sul portafogli e sul culo di una troia di regime (mani finite).
Così come sarà difficile che atterrino gli alieni, in quanto potrebbero averci abbandonato dopo averci creato per ottime ragioni (ed io che conosco gli umani fossi in loro mi terrei lontano..), oppure potrebbero manco sapere che esistiamo, probabilmente perché non abbiamo messo ancora il nostro banner sul facebook galattico.
Eppure vedo ancora la gente scandalizzata perché persino Umberto Bossi era in fondo un malavitoso legale, come tutta la schiatta di vampiri che abbiamo per classe dirigente….
Insomma, signori, sognavate?
In che cazzo di mondo avete vissuto, fino ad una settimana fa?
E sareste sorpresi di sapere che ogni singola persona che abbia mai sfiorato il potere in questo paese (ma suppongo in tutto il globo) lo abbia usato per i propri porci comodi in primis, salvo contingenze inappellabili?
Qualcuno è ancora in grado di stupirsi?
Purtroppo, da parte mia, trovo stupefacente la creatività umana, anche nell’inventare stronzate (forse soprattutto in quello..) ma trovo disarmante il suo comportamento, sia dall’alto che dal basso.
Dall’alto vedo solo una feroce, spietata, ma a tratti anche disperata, corsa alle leve di comando, solo per ergersi al di sopra dei propri simili, solo per ostentare una pulciosa divinità di mezzi e possibilità, ma mai di maestà spirituale od intellettuale.
Dal basso vedo solo fede cieca o disillusione completa, ma entrambe sfocianti in un imbarazzante esercizio di emulazione senza criterio, sia nella purezza dell’idea che nel marcio dell’azione.
I fanatici idealisti finisco per essere più realisti del Re, divenendo rigidamente dogmatici, irragionevolmente radicati e fondamentalmente inamovibili.
I disillusi rancorosi divengono, nel misero, lo specchio dei vizi e della decadenza della classe dirigente, ma miserevoli rimestatori di escrementi, perennemente frustrati dall’impossibilità di arrivare a sfiorare il gradino superiore della classe privilegiata, nemmeno nell’autocratico esercizio di procurare a se stessi il massimo piacere.
In questo non vedo quasi mai, se non in singoli individui, un equilibrio di visione e posizione.
Io amo dire che vorrei trovare i folletti, nel bosco, ma sono sicuro che non li troverò.
Non è difficile… basta un minimo di buon senso.
Trovo che nel messaggio spirituale di molte religioni vi siano punti altissimi di idealismo e sforzo evoluzionistico, ma non per questo  chiudo alcun occhio sulla caterva di stronzate che circondino queste isole di ispirazione….
Se gli umani avessero un minimo di connessione con la propria intuizione basilare non si farebbero fottere ogni volta.
Esiste, a mio avviso, un rilevatore quasi infallibile all’interno degli organismi coscienti che da solo da più risposte di ogni possibile discorso, perché non è assolutamente inculabile con la retorica.
Le lingue e l’esercizio dialettico sono altre incredibili creazioni della nostra razza, ma come quasi ogni nostra creazione sono un’arma a doppio taglio: Spiegano la realtà almeno quanto possano offuscarla.
Dipende dall’uso che ne venga fatto.
L’intuizione e la percezione, se ben allenate, non offuscano mai la realtà.
Tre quarti della nostra classe dirigente (ed intendo tutti: politici, divi del cinema, cantanti, calciatori, belle fighe, stilisti, cineasti, banchieri, magistrati, boss malavitosi e Vip frullati vari…) ha scritto in faccia, nella fisionomia, nelle fattezze, nella gestualità, nella voce, la propria bassa miseria.
Vedo gente in televisione alla quale non stringerei la mano nemmeno al pub. Perché fanno schifo a livello energetico, e devono farlo tanto se mi arriva anche attraverso il decoder tv…
E questo per ogni essere umano che cerchi di porci sul collo il proprio piede, sia praticamente che eticamente. Dal prete della parrocchia al datore di lavoro. Dal capo scout alla donna desiderata.
E dovremmo tutti imparare ad usare questo potere, il potere di non farci fottere di continuo.
E contro queste persone, questi esseri che sono i veri demoni di questo mondo, non dovremmo esercitare nessun tipo di violenza.
Dovremmo semplicemente abbandonarli. Non ascoltarli, non parlare, non passate tempo e non fare figli con loro.
Dovremmo semplicemente dimenticarcene.
Occorrerebbe mettere l’umanità come contingenza primaria, se volessimo evolverci.
Smettere di essere puttane per necessità, ed essere illuminati per scelta.
Ma domani mi attendono di nuovo donne che mi diranno quanto fosse stronzo quell’uomo che io avevo capito stronzo immediatamente.
Mi attendono uomini che si diranno delusi o fottuti da qualcuno che io avevo reputato un pezzo di merda a prima vista.
Mi attendono di nuovo vuoti discorsi, pieni zeppi di parole ridondanti che servono unicamente  a snutellare la fetta di pane più muffito che sia mai stata servita come desco.
Facciamo finta che sia realtà.
Io trovo che la realtà sia una grande finta.
I miei draghi sono più veri di quasi tutto ciò che senta o veda.
Essi sono racchiusi nello scrigno della mia anima, inalterabili, inattaccabili, irriducibili a qualsiasi costrizione reale.
E non mi incazzo perché non li vedo mai in giro, come non vedrò mai in giro un uomo di potere onesto od un umano disinteressato al potere.
Quello che non esiste, non esiste, anche se sarebbe bello….

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