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Posts Tagged ‘amaroinbocca’


Il mio peccato principale è sempre stato l’invidia.
Nessuno che io conosca, credo, riesce ad invidiare a livelli talmente epici e raffinati. Se la mia invidia fosse un ago terminerebbe in una punta monomolecolare. Potrei spaccarci i quark.
Eppure, nonostante il suo primato di preferenza, essa non siede su di un trono sicuro e stabile. Un avversario pericoloso ed irragionevole attenta di continuo a quella posizione predominante. Un avversario che sarebbe un alleato nella lotta per la dannazione della mia anima. Ma forse sono così sinergico ai i miei dannatori da concedere loro persino il lusso di abbandonarsi a lotte intestine di potere. Dove mancano loro, continuo da solo. Ecco a cosa è servito fare dell’autonomia il mio baluardo….
L’avversario è un altro peccato capitale: Ira.
Famelico, violento, furioso.
Pessimo elemento. Si nutre a dismisura, perché tutto ciò che mi circonda, prima o poi, in misura maggiore o minore, volontariamente o involontariamente…. non fa altro che accrescere la sua mole e la sua forza.
Ed il suo appetito non si placa.
Quando non attenta al trono di Invidia ne è il fedele mastino, il generale in capo di quell’esercito di negatività che esplode volando fuori dal mio spirito.
Invidia è lo stratega. Sa bene dove e come trovare cibo per Ira.
L’ho sempre immaginato come uno strano Dio Egizio zoomorfo, dal corpo umanoide ma con la testa di una zanzara. Occhi enormi, grandi come quasi tutto il cranio per vedere ogni cosa, per accorgersi di ogni cosa, per rilevare ogni cosa. Ed lungo tubo per bocca, per suggere la linfa altrui o, quantomeno, per l’intenzione di farlo.
Vedere e succhiare. Questo è tutto ciò che fa l’invidia. Desidera e trasforma il desiderio in tormento.
L’Ira non vede, non ha occhi. Ha solo zanne e forse qualcosa di simile a narici, per percepire unicamente una traccia di direzione appetibile per portare caos e distruzione. Non è qualitativa. Invidia lo è.
Per questo è lui che da gli ordini. Ma Ira non conosce ragionevolezza e non ha alcun rispetto delle posizioni. Per cui ogni volta che viene sguinzagliato c’è il serio pericolo che se ne perda il controllo.
Allora non esiste più obiettivo. Esiste solo un cieca furia che odia tutto ciò che esiste. Un odio che ormai si astiene persino da ogni giudizio. Una volontà distruttrice che godrebbe unicamente nel vedere il mondo divorato dalle fiamme, senza precisa ragione ma con tutte le ragioni possibili.
Ad un occhio poco allenato, ad uno sguardo poco profondo verrebbe facile additare Gole o Lussuria come miei peccati principali. Ma non è così.
Essere un ciccione non significa necessariamente essere dominato dalla Gola ed essere un uomo con pulsioni normali non significa essere dominato dalla lussuria. Entrambe queste forze le ho dominate a più riprese, per i miei scopi non certo per i loro, quantomeno per l’egoistico orgoglio di vincere la loro forza.
Che è grande. Solo uno stupido sottovaluterebbe quella potenza.
Eppure Gola riesco a vincerla per Vanità e Lussuria per Superbia.
Adoro rivoltare il male contro se stesso. Così in un modo o nell’altro gli altri peccati vengono tenuti in una posizione di mediocrità. Anche l’Accidia, che in fondo spesso mi prende nei momenti di sconforto, ma grazie all’ira che mi fa passare all’azione spesso viene annientata.
L’Avarizia direi che non so nemmeno cosa sia, non essendo mai stato ricco o tirchio e vedendo come butta la vita, direi che almeno uno dei peccati capitali me lo sono risparmiato….
Eppure non credo sia chiaro a chi mi circonda di cosa io sia così grandemente invidioso.
Gli esseri umani tendono a relegare l’invidia a cose molto pratiche. Si invidia un possedimento, un’abilità, un dono.
Di solito si invidia una cosa, propria della persona o oggetto.
Io non invidio tanto quello. Ovvio, uno che si scopa una gran bella figa mi fa invidia, ma non invidio quella cosa in se.
Quello che invidio io è la POSSIBILITA’.
La possibilità è tutto, è l’unico campo di battaglia e l’unico tribunale celeste.
Solo di fronte alla possibilità possiamo decidere chi siamo realmente. Senza possibilità un mostro può tranquillamente condurre la vita di un virtuoso, ed il più immacolato dei virtuosi può trasformarsi in mostro di fronte ad una singola possibilità.
Quello invidio.
La scelta.
Io sono quasi sempre stato un virtuoso forzato. Come se qualche autorità celeste mi facesse il vuoto intorno per proteggermi o per proteggere il mondo.
Invidia ne è ghiotta.
E forse è vero, forse è la mia Superbia che vorrebbe solo un’occasione per rifiutarla, per illudermi di essere un essere a se bastante, corruttibile ma non sempre.
Un piccolo Dio isterico tutto intento a farsi le regole e giocare a rispettarle.
Ma non si può essere un Dio senza scelta. Gli schiavi sono senza scelta.
I morti sono senza scelta.
Ogni giorno sono senza scelta, in quasi tutti gli aspetti della vita. Non posso decidere quando svegliarmi, mangiare, faticare e riposarmi. E’ tutto già deciso da altri e questo è il sistema.
Lo chiamano libertà. Ed un sacco di imbecilli crede che questa sia veramente libertà.
Io no. So di essere uno schiavo e se invidio qualcuno per ricchezza non è certo perché appagherebbe la mia superbia.
Di certo non comprerei una fuoriserie per pavoneggiarmi.
L’unica cosa che vorrei è decidere ogni giorno quando svegliarmi, mangiare, cagare,dormire o faticare.
Scelta.
E anche nei miei pulciosi affari sentimentali non è mai mia la scelta. Non scelgo io con chi avviare una storia, non entro nel campo delle possibilità reali. Non scelgo io le regole. L’unica scelta che ho è una scelta passivamente attiva. Mi vengono proposte delle cose e io posso rifiutarle o accettarle.
Non mi è data possibilità di proporre cose e prendermene la responsabilità. Le mie richieste sono piscio nel vento.
Mi viene offerta una ciotola, piena più o meno di merda appetibile o rivoltante. Ed io, come un cane, posso solo scegliere se ingoiarla o lasciarmi morire di fame.
Non mi è stata data facoltà di scelta attivamente attiva.
E rifiuto, spesso. E mi lascio morire di fame.
Un’agonia lenta e logorante, tale da far sognare un colpo di spada alla gola quanto un balsamo ristoratore.
Per Superbia rifiuto?
Forse.
Ma è più forte l’invidia. L’invidia per chi mi circonda e non si sa come ha sempre una scelta. Per chi tronca una storia e ne ricomincia una il giorno seguente. Per chi ha tre storia contemporaneamente. Per chi ha qualità migliori e migliori capacità di impiegarle nemmeno tanto, perché dopotutto, rendo onore al merito e tanto di cappello.
Ma ci sono gli inspiegabili. Quelli che prendono la diarrea solo nell’esatto momento in cui il prezzo della merda sale alle stelle.
Invidio la fortuna?
Si. Perché ben poca ne ho conosciuta, giusto quel tanto da salvarmi dallo sfacelo totale in più di una occasione ma mai tanta da rendere la mia vita più eccitante di un elenco telefonico scaduto.
E alcune condanne sembrano impresse nel karma: la povertà, il grasso, la solitudine, l’inadeguatezza, l’odio, la forza maggiore.
Sfaceli che combatto da una vita e rinascono ogni volta come fenici immortali dalle proprie ceneri.
Per mia scelta, per loro abilità, per volontà divina. Ogni volta il motivo può essere differente ma ogni volta il risultato è il medesimo.
combatto contro spiriti intangibili sventolando una mazza di acciaio che li attraversa. E se mai sono stato un chierico il mio Dio mi ha abbandonato. Non ho più energia per esorcizzarli con la volontà… e forse non l’ho mai avuta, perché sono sempre stati qui con me.
I peccati capitali sono scherzi della fantasia, sono psicosi religiose se confrontate a questi demoni che mi perseguitano.
Ed ogni mia ripresa, ogni mio contrattacco è sempre più debole e breve.
Non vincerò mai.

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Intro: questo articolo è pieno di bestemmie e draghi. Se l’una o l’altra cosa vi offendono andate tornate pure nella cassa da morto cerebrale in cui avete sempre vissuto.

Tacchinosaurus Handicappatis

Peter Jackson ce l’ha fatta.
HA SBAGLIATO SMAUG.
Il mio amico e tanto amato ciccione neozelandese è riuscito a farsi convincere dalla più grande bufala della storia del fantastico: la credibilità scientifica e strutturale di una creatura inesistente.
Ma andiamo per gradi, perché sarà una lunga dissertazione non priva di bestemmie, quindi chiunque sia legato ai santi è invitato smettere di leggere ORA.
Prima di tutto devo spiegare quale sia la MIA personale visione del drago, che è un’impresa piuttosto complicata e non credo mi riuscirà in toto….
Non so bene come e perché, e forse neppure quando, tutto ciò sia cominciato. Sarà stato Eliott il drago invisibile o qualche illustrazione vista chissà dove, sarà stato il mio sempre vivo amore per i rettili e i dinosauri; ormai non posso più dire di sapere bene quale sia stata la genesi di un legame così intenso, ma mi avvio ai quarant’anni senza che una sola delle mie pulsazioni cardiache non inneggi ancora al fascino di queste creature.
Il drago, per me, non è mai stato un mostro. Non è mai stata una bestia.
Anche nelle sue incarnazioni più minacciose e crudeli il drago era sempre il centro della storia, potevo comprare un libro intero solo per una singola illustrazione.
Il drago non è il babau. Il drago è forza, è resistenza, è libertà ed è meraviglia.
E’ il sogno incarnato, o meglio, il simbolo supremo del nostro potenziale onirico ed immaginifico.
Abbiamo immaginato una creatura così meravigliosa che Dio stesso si è fatto scappare l’occasione di crearla. Quindi deve possedere una grazia minacciosa, un’ eleganza statuaria, deve essere una creatura di design e terrore, deve fondere l’estetica e l’orrore in maniera così alchemicamente perfetta da essere “altro” rispetto a quanto conosciamo.
Per questi motivi un drago non può muoversi come un handicappato!
Un drago con sei arti, come vuole la tradizione occidentale intendendo il “drago puro”, è un essere capace di muoversi come un felino e di volare come un uccello. Solo in questi termini è sia potenza che libertà.
Perché se viene deturpato delle zampe anteriori non è più un essere mirabile, è di nuovo niente più che una bestia ed un mostro.
Tecnicamente è una Viverna, una creatura di ferocia, ignoranza e puro istinto.
E’ più simile ad un drago di quanto lo sia una foca, su questo siamo tutti d’accordo, ma non è un cazzo di DRAGO!
Non voglio fare una digressione storica o filologica perché non me ne frega un cazzo. Se i Draghi vengono dalla tradizione è anche vero che ciò che li ha portati alla popolarità sono stati i racconti fantasy e i giochi di ruolo. Ed in essi il drago ha sempre avuto le sue fottute quattro zampe e due ali.
A noi dovevate chiedere cos’è un DRAGO.
Ci avete accusato di leggere il fantasy attraverso Dungeons&Dragons, ed avevate ragione.
Perchè siamo noi sognatori Nerd che ci siamo occupati di draghi in questi trent’anni, dalle vostre seghe su Edwige Fenech a quelle sulle veline. Se i draghi sono rimasti vivi è stato grazie al nostro sangue di inchiostro, versato sulle schede unte ed accartocciate dei nostri alter-ego fantastici.
E adesso baciatemi il cazzo se non sapete la differenza tra draghi e viverne, bimbiminchia.
Io non prendo lezioni di dragologia da poppanti cresciuti con Crash Bandicoot e Twilight.
Noi popolo dei dadi e delle dragonlance abbiamo non solo voce in capitolo, abbiamo l’UNICA voce in capitolo sui draghi.
A noi doveva essere chiesto come è fatto un drago, noi che abbiamo sudato freddo e abbiamo seppellito decine di personaggi sotto i suoi artigli e zanne. Che abbiamo volato sulle sue ali tra le brezze di un Master generoso. Che abbiamo animato le superbe opere di Larry Elmore con la pura forza motrice della nostra fantasia.
Ed ora voi venite a dire a NOI cosa è o non è un drago?
Io non so come sia accaduto e perché…. A chi sia venuta questa geniale idea di togliere le zampe anteriori ai draghi.
So solo di aver aspettato pregando per quasi vent’anni che la tecnologia ci fornisse un miracolo per poter visualizzare un drago cinematografico credibile. Dopo aver visto Jurassik Park uscii dal cinema con centinaia di draghi futuri già vorticanti nella mente. Dopo Dragonheart ero al settimo cielo. Avevo visto un drago perfetto, in grado di muoversi, volare, sputare fuoco e persino parlare. Era la quintessenza di ciò che per me doveva essere un drago… e quanto pare lo rimarrà.
La famosa frase di Draco :” Io sono l’ultimo rimasto!” non poteva essere più profetica.
Non solo per lunghi anni a nessuno venne più in mente di cacciare un drago in qualche storia, peggio ancora….. iniziarono a fare draghi che non erano draghi.
Prima la serie di Harry Potter, poi Il regno del fuoco, poi iniziarono addirittura i videogiochi come ad esempio in Skyrim….
Tutti pollosauri. Mezzi uccelli e mezzi rettili che arrancano sull’articolazione dell’ala con manine da uno o due dita, trascinandosi dietro le rimanenti articolazioni digitali, sproporzionatamente lunghe impastoiate nella membrana alare…..
Ali da pipistrello che li fanno sembrare a terra ciò che a terra sarebbe un pipistrello: un miserevole disabile.
Tutto questo al grido di : “Nessuna creatura terrestre che non sia un insetto possiede più di quattro arti”.
E STI CAZZI, PORCODDIO?
Che il drago è una creatura terrestre? Ne avete mai visti voi?
Dobbiamo andare a rompere le palle scientificamente anche alle creature della fantasia?
Allora perché i ciclopi non sbattono la testa conto gli alberi perché con un occhio solo non posso percepire la profondità?
Perché i vampiri dovrebbero nutrirsi di sangue ed essere inceneriti dalla luce del sole?
Perché i lupi mannari potrebbero mutare le articolazioni e la peluria corporea?
Perché ippogrifi, threstral, gargoyle, balrog, grifoni, pegasi, demoni e addirittura SCIMMIE ALATE (Puttana Dio) possono avere sei arti?
Chi glie lo va a dire ad Angelo degli x-man che le sue ali non sono regolamentari?
No, solo ai Draghi va fatto il cazzo di processo sul numero degli arti.
Nessun o si è mai preoccupato del fatto che sputino fuoco. Eh, no capisco, quello è naturale, è ovvio.
E’ pieno sulla terra di creature che sputano fuoco. Sicuramente una c’è, sono io quando sento la gente fare questi discorsi del cazzo appigliandosi alla logica per spiegare ciò che assolutamente è illogico.
Il drago è così perché ci piaceva così e l’unica ragione per cui doveva essere così era piacere a chi lo immaginasse, PUTTANA DI QUELLA MADONNA!
Non ce ne frega una cazzo della credibilità di una creatura immaginaria!
C’è troppo pelo sui Wookie? Può essere costruita una spada laser? Si può fare una macchina del tempo con una Delorean? Willy l’orbo ha davvero nascosto la sua nave in una grotta? L’arca dell’alleanza è stata davvero nascosta in un magazzino del governo americano? Come fanno i maghi maschi a non schiacciarsi le palle volando su di una scopa???
Perché non ci chiediamo anche tute queste cose prima di deturpare il simbolo del fantasy???
C’è chi sostiene che il drago senza zampe anteriori abbia un fascino più sinistro e crudele.
De gustibus, in effetti una merda di Viverna sembra più cattiva di un drago, però NON ME LA FARE PARLARE!
Allora se devi fare una bestia fai una bestia.
Un drago senza zampe anteriori cosa ci sta a fare su un tesoro immenso che nemmeno può manipolare?
Ci si gratta le enormi e scagliose palle non avendo mani per arrivarci?
E’ per questo che Smaug ha conquistato Erebor? Per avere un grattapalle dorato???
Inoltre stavolta andavo più tranquillo del solito: Tolkien non lo aveva solo descritto, ma lo aveva anche DISEGNATO con quattro zampe e le ali. Togliamo il fatto che il drago disegnato dal maestro facesse un po’ tristezza (non era un disegnatore), ma qui non ci si può appigliare alla famosa motivazione “tolkien non lo ha descritto accuratamente per cui possiamo fare il cazzo che ci pare”.
Fosse per quello i mannari e le aquile avrebbero dovuto parlare…. Ma anche li facciamo il cazzo che ci pare…
Addirittura sulla mappa di Erebor NEL FILM il drago è disegnato con quattro zampe, nel manifesto internazionale del FILM il drago formato dal fumo della pipa di Gandalf aveva QUATTRO zampe.
Nella scena della caduta di Erebor il drago schiacciava nani con le zampe anteriori…. E pur di fare gli stronzi quella scena è stata sostituita nella versione estesa per rimpiazzare quelle enormi zampe anteriori con le solite ali-braccia del cazzo.
Andavo al cinema con la morte nel cuore essendomi interessato alla faccenda fin dall’uscita dei primi trailer che ho analizzato frame per frame. Lavoro inutile tra l’altro perché le carte in tavola cambiavano continuamente…..
Poi quando l’ho visto ho provato: NIENTE.
Niente.
Superbamente animato?
Minaccioso e spaventoso?
Maestoso e terribile?
No, lo Smaug di Peter Jackson è una macchietta. Si muove come un cartone animato di Don Bluth degli anni ’80. Esagerato, caricaturale ed esasperato in ogni singolo atteggiamento.
Bastava guardare il supremo Scar de “il re leone” per avere idea di come si dovesse comportare una creature tanto crudele quanto intelligente.
Ci vuole classe per essere un perfetto villain, non basta essere lunghi trenta metri, sputare fuoco e muoversi come delle scimmie con le stampelle.
Classe non ne ha quella creatura.
E’ alieno, e salta subito all’occhio che con l’ambientazione che ci è stata finora offerta non c’entra nulla.
Provate ad immaginarlo in mezzo alla battaglia sui campi del Pelennor. Sembrerebbe un cartone animato tra creature reali.
Ed è sgraziato.
Per quale motivo un drago dovrebbe usare le ali come braccia?
Principalmente la prima cura di un drago dovrebbe essere la protezione della membrana alare, in assoluto il punto più delicato della sua intera fisicità. Ed una membrana alare strappata sarebbe un casino inenarrabile per un essere fatto SOLO ed unicamente per volare.
Perché un essere con ali per zampe anteriori DEVE volare. Non può strisciare in caverne anguste, costruite da razze lillipuziane per la sua stazza per andare a fottergli i tesori.
Un drago concepito in questa maniera può vivere su picchi montuosi, scogliere marine, deserti rocciosi.
Non certo in un sotterraneo, perché in un sotterraneo sarebbe in difficoltà. Inoltre nessuna creatura alata usa le ali per arrancare, nemmeno i cazzo di PINGUINI! Si muove come un pipistrello??? ah si??
Sapete cosa fa un pipistrello caduta a terra….?
Non cammina, non saltella, non sputa fuoco, non si arrampica…..fa una sola cosa: MUORE!
Secondariamente, signori, fermiamoci su un punto fondamentale: i DRAGHI NON VOLANO GRAZIE ALLE ALI.
Un drago come lo Smaug che ci hanno propinato peserebbe all’incirca 10-20 tonnellate.
Se provasse a sbattere le ali il massimo che otterrebbe sarebbe di sclavicolarsi le spalle, fare esplodere i muscoli e raccogliersi le braccia da terra.
Visto che facciamo gli scienziati dell’esobiologia inventata o i criptozoologi della mutua, perché non ci soffermiamo a pensare che fisicamente un drago non volerebbe mai??
E’ la famosa teoria di Superman: è vero che superman può sollevare un treno con una mano, ma per le leggi della fisica, anche se possedesse tale forza, non si solleverebbe il treno…. Sarebbe Superman a piantarsi nella terra come un piolo!
Il drago è una creatura magica e vola perché è magica, PORCA MADONNA!
Non c’è alcuna credibilità fisico-biologica da ricercare in tutto questo.
Quindi Peter Jackson , come un pecorone belante e decerebrato, ci ha dato quello che ci stanno dando tutti, dal cinema ai videogiochi ai fumetti: una creatura NON CREDIBILE realisticamente e per di più BRUTTA da far schifo!
Almeno salvate la bellezza cazzo!
Le ali dei draghi sono puro orpello decorativo di completezza. Volerebbero anche senza.
Perché non vi siete spremuti a chiedervi come evolvere la piegatura dell’ala quando i draghi camminano?
Perché non fossero strutture in mezzo alle palle sia nell’estetica che nella pratica?
QUELLO sarebbe stato un modo intelligente di evolvere il drago. Non mutilarlo con la mannaia e dirsi che bel che bel guarda quanto è fico il mio tacchinosauro!
Ma qui tutti a mangiare merda e chiamarla cioccolata.
Nessuno che si ponga mai una domanda fottuta che sia una, nessuno che si chieda più nemmeno QUALI SIANO I SUOI GUSTI.
Ci viene dato qualcosa, ci viene detto che è bello e tutti ad applaudire festanti come scimmie.
Bel lavoro cazzo.
Stupidi persino nella fantasia. PRIGIONIERI persino nella fantasia.
Aspetto solo che i nuovi manuali di Dungeons and Dragons riportino draghi senza zampe anteriori.
Vi manca solo quello, poi avrete vinto.
Ma me e i miei draghi nobili non ci avrete mai vivi.
Inneggiate pure a quella patetica mostruosità e convincetevi che sia il meglio che si potesse avere.
E’ per questo che fate una vita di merda OGNI SANTO GIORNO.
Perché vi siete convinti che sia il meglio che possiate avere.
E non vi siete nemmeno convinti voi: lo ha fatto qualcun altro.

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Mi illudo che ci sia un motivo. Nella grande tradizione della dabbenaggine degli ingenui o nella disperazione dei consapevoli decido scientemente di illudermi….

Illusione, grande attrazione
mio faro e mia ragione
stella polare dei dementi
ultimo scacco dei perdenti
regina somma dell’irreale
causa, ristoro e germe del male.

Non mi interessa più niente. Di necessità si fa virtù, ma soprattuto di necessità si fa necessità. Se niente conta più niente, se nulla ha mai avuto senso, se non vi è entità che governi il caos, se l’entropia è l’unico destino, se niente ha valore e ogni azione sia possibile, allora preferisco cedere all’illusione. Applicabile al punto più sensibile, alla più erogena delle zone irritabili della delicata pelle animica, come un balsamo scottante, un effetto di fuoco ghiacciato che accenderà ogni recettore nervoso di fastidio, dolore e pericolo.
Un piccolo istante di piacere, un accenno di estasi, può far crollare miseramente il castello di maligna autocertificazione edificato in anni di fatiche, progettato sulla rabbia, assemblato con malta d’odio e ben trincerato dietro le sue mura di diffidenza. Cosa si penetrato, mio malgardo, non posso nemmeno io conoscerlo. Sento solo lo scricchiolio delle fondamenta, mentre una nuova illusione si espande come ghiacchio tra le crepe, gonfiando gli spazi e corrodendo la strutturalità del mio impero di vuoto.
Una singola, fastidiosa, sottovalutata goccia di pieno cerca di espandersi per occupare tutto lo spazio immaginabile.
Io non volevo alcun nuovo bisogno.
Avevo solo biosgno di non aver più bisogno.
Volevo che l’illusione cessasse di crepitare, come una brace quasi spenta ma ancora pericolosa. Volevo che rimanesse inerte, morta, tumulata nelle proprie ceneri. Non volevo alcun potere su di me. Non volevo il riflesso di quel potere su alcun viso umano, che potesse in qualche modo sentirsi investito di sovrumane qualità.
Volevo nulla condito con nulla, rosolato nel nulla e insaporito con nulla.
Ma non sopporto il nulla.
Nemmeno quello. Basta un soffio anche lievissimo di brezza e la brace apparentemente spenta avvampa di nuovo della sua rossa ferocia, e spalanca i suoi appetiti rinvigoriti e risorti.
Perchè il fuoco mangia.
Consuma.
La sua trasformazione di materia in energia richiede un immenso dolore ed un estremo sacrificio.
Ed energia non ce n’è più intorno. Illusione aveva fame, voleva carburante, voleva cibarsi. Ha fatto un salto, ha scavato, si è cammuffata…. ma qualcosa ha fatto per essere ing rado di nuovo di poter piantare le sue fauci su qualcosa. Vittime e carnefici intente a massacrarsi. Indistinti nella danza di sangue membra e acciaio. Non ho lasciato aperto alcun passaggio. L’ho aperto di proposito.
Perchè senza una sola illusione, per quanto folle, per quanto idiota, per quantoassurda, per quanto autolesionista… ..nulla aveva più significato. Mangiar fango, respirare nebbia, dormire tra sudari e altalenare noia e disgusto. Questo è diventato vivere, senza almeno una singola illusione.
L’illusione che ti distruggerà, ma non puoi evitarlo, perchè senza di essa saresti già distrutto.
Detesto abbandonarmi alla necessità.
Detesto illudermi.
Detesto: unica mia azione quando non sia occupato ad illudermi.

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Mi è capitato uno scambio di battute sul faccialibro che mi ha fatto riflettere.
Ordunque, vi è questa pulzella che ripescammo dal gorgo del tempo, la quale già dai tempi di scuola brillava in quanto bellezza e (a quanto mi dicono) anche in simpatica follia.
Essa guadagnasi da vivere in quel del litorale mescendo i vari ammazzacristiani liquidi sulla linea costiera, godendo, io suppongo, di ottima vista marittima e gavotta sociale per me assolutamente inconcepibile.
Essa, devo dire, con il tempo parmi ancora più bella, anche se non so se gentile ed onesta, ma sul paragone filosofale ipotetico con altre cerebroglandi incontrate parmi assai sulla linea della virtù tiepida, dopotutto.
Essa affolla spesso i miei mesti sogni di vegliardo, nonostante l’impossibilità ben conosciuta di qualsiasi contatto autentico, il quale d’altronde, potrebbe essere unicamente disastroso per quanto riguardi qualsiasi mia pulsione onirica.
Vi è gran quantità di immagini della soggetta in questione sul libro delle facce, e per un esteta rinchiuso nel proprio delirio la visione di tal luminosa bellezza è sempre dardo ferente, gocciante di clamoroso corrosivo veleno (alè!).
Vedendo le recenti immagini delle di lei frequentazioni notai un simpatico riquadro in cui erano rappresentati due uomini di maschile schiatta, entrambi giovani manzi ben in saluta, con la differenza principale nelle fattezze fisiognomiche, in particolar modo ventrali.
Lo primo, in sfondo avea poggiata sulla piastra addominale una testuggine perfetta, quasi di scultorea proposizione e oltretutto un viso da Apollo che avrebbe fatto innamorare persino le defunte, anche se da alcuni decenni.
Lo secondo, poggiante sul primo piano, esibiva le rotondità della sua zona ventrale con furbesca espressione canzonatoria, ben sapendo, suppongo, che nell’immagine digitale il contrasto delle due forme ravvicinate sarebbe risultato ancor più evidente all’umano apparato oculare.
Or mi venne, come sempre per mia disgrazia, di porre mia voce nel commentario sottostante, proprio sotto quella dello amico Bardo il quale poneva questione sulla veridicità materiale dello soggetto tartarugato sul fondo.
Ed io dissi così che se quello dietro era finto, quello davanti era felice.
Mentii, sapendo di mentire.
La pulzella, che io avrei giurato ignorar lo mio blaterale ribattè con piglio giustiere che la stessa energia da me posta nel ripulir piatti di pasta e boccali di birra dallo soggetto in questione era posta nell’esercizio fisico che tanto scultorea rendeva la di lui figura.
E se la sua era scultorea sicuramente, la mia era di merda.
Ancor lo feci, o mia disgrazia ed infamia.
Tanto e tale è la mia boria che ignorar li fanti per stuzzicar li santi mi è pane quotidiano, pur se raffermo.
E allor dichiarai lo silenzio, che tale e tanta era la mia vergogna per aver messo mano a ciò che più non posso da dover posar l’armi immediatamente e vestire di nuovo i miseri panni sacerdotali.
Mi chiedo, pur con grande interrogazione, quanti e quali e quanto scultorei e, ovviamente ben più di me, esteticamente  regolari organismi essa dovrà ogni vespertino marittimo momento conoscere e frequentare.
Che a volte me li vedo, nelle immagini del libro delle facce e non mi paion così tristi e mesti per nulla, che anzi, oltre che luminosi fisicamente mi par tale anche l’angolo preso dal di loro apparato labiale o lo lume oculare che si affaccia dalle digitali riproduzioni….
Così ho ficcato la penna nella bocca dello drago che sempre mi perseguita, nella fornace orale dello demone vermiglio, nell’antro della doglia: lo senso estetico.
Già esso per me è fonte di quotidiana pena e crocifissione al solo rapportar me stesso con l’orrido speculo latrineo, ma anche tarlo corrosivo per alcuni rapporti che dopotutto stavano sui piedi loro.
Allor che devo dire?
Ben mi sta. Mi fu bacchettata la mano stessa con la quale recido spesso i cardiaci lacci della felicità, perché io stesso entrai in territorio sacro. E sacro ha ben specifico significato:
“La radice di sakros, è il radicale indoeuropeo *sak il quale indica qualcosa a cui è stata conferita validità ovvero che acquisisce il dato di fatto reale, suo fondamento e conforme al cosmo.[3] Da qui anche il termine, sempre latino, di sancire evidenziato nelle leggi e negli accordi. Seguendo questo insieme di significati, il sakros sancisce una alterità, un essere “altro” e “diverso” rispetto all’ordinario, al comune, al profano.”
In tal senso, come ricordami lo traduttore giudaico che aliena il Signore nostro Dio, Sacro è ciò che è messo da parte, che toccato non può essere mai dalle mani de li mortali, che è riservato cioè alle superiori stirpi che dalli cieli giunsero e che è ovviamente tanto desiderabile quanto inarrivabile per lo popolo plebe.
Poscia che questo scambio verbale fu risolto, molto in me crebbe il senso di plebe inferiore, quasi di induistica affiliazione, nello senso ben specifico di nascita escrementizia senza possibile rivoluzione di stato, in quanto lo cammino animico ciò richiede per gli scopi oscuri che si prefigge.
Tanto poco cambia, tale mia mole cerebrale di sferraglianti rotelle allo stato delle cose sullo globo terracqueo, che vedrà nel sole cocente del giorno incombente le medesime posizione sulla grande scacchiera.
La bella ha ricordato alla bestia la sua posizione.
Ella sta nei poemi e nelle poesie cortesi, io sto nelli bestiari e nelle favole scagazzainanti.
Tanto è possibile che le nostre pagine si mischino quanto che li primati escano dallo mio anale orifizio fischiettando arie verdiane.
Non aveva dubbi il cosmo di cotanta veridicità. Li ebbi io, ebbro di onirici fallici costrutti.
Mentre fuggo cerco, mentre cerco fuggo.
Per le bestie vi son li antri e le caverne, e castella et ricchezza per le dame di bello aspetto.
Non vi alcuna tragedia nel nascer orco.
Almeno finchè non si sognino le dame di altri cavalieri.
La realtà è lo stocco più spietato. E maledetto sia Apollo signore delle arti che tanto mi fece amar ciò che mi lacuna.
Su questa digital pergamena vergo tal mia lamentazione, che i miei contemporanie potranno così ben dire che tal trattazione distrugge l’apparato genitale maschile e che la mia parola benvenuta è come eczema.
Ma quando li secoli passati saranno, qualcuno leggendo i miei caratteri sospirerà e languirà d’amor vibrante, che tanto doveva esser bello quello cavalier di penna graffiante.
Ed era orco.

Si, insomma, mi sto annoiando…..

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Mentre facevo benzina riflettevo su quanto si debba essere ricchi, ormai, per concedersi il lusso di darsi fuoco.
Credo di aver fatto delle mosse piuttosto discutibili, ultimamente. Mosse in qualche misura assimilabili a svariati livelli di follia, i quali però non credo siano più distinguibili dai livelli di sanità mentale…
Ho vissuto, fin dalla prima infanzia, in un mondo completamente folle.
Ovviamente, quando il primo vagito di autocoscienza sgorghi in una certa situazioni essa non può che essere considerata  l’unica realtà possibile.
Dopo tutto sembra folle, ma durante è tutto mestamente credibile.
Il mondo che conoscevo stappava petrolio dal terreno e lo trasformava in una varietà impensabile di prodotti, oltre che bruciarlo saggiamente per produrre ogni forma di energia possibile, dal semplice calore all’energia cinetica dei mezzi di locomozione.
In pratica, con saggia lungimiranza, l’umanità aveva deciso di prendere una risorsa senza alcun dubbio destinata ad esaurirsi e fondare su di essa tutta l’economia mondiale.
A me piace sempre tenere un punto di vista alieno, perché se fossi un osservatore esterno e vedessi un’intera razza comportarsi in tale maniera rischierei tutti i ventricoli a causa delle risate….
Sul momento sembrava una buona idea, sicuramente.
Soprattutto a quei pochi che avessero le mani sui pozzi di petrolio. A loro, scommetto, l’idea sarà sembrata ottima.
Tutto il resto, dalla prima trivella allo spread, è semplicemente consequenziale. Non c’è in realtà alcun buco, alcun salto, alcuna mancanza.
E’ un processo unidirezionale, prevedibile e .. tristemente scontato.
Basare tutto il benessere del mondo su un’unica risorsa significa divinizzare chiunque abbia tra le mani tale risorsa (leggere Frank Herbert aiuta…). Chiunque sia vergognosamente ricco, potrebbe, a tal punto, comprare ogni cosa.
Il problema fondamentale è proprio il fatto che l’anima umana sia variabile nel prezzo ma assolutamente mercificabile nell’essenza.
Il problema parallelo è tutto questo baraccone è destinato a sfracellarsi all’esaurimento della risorsa in questione.
Il problema secondario è che essendo tutti legati a tale risorsa, in ogni aspetto della vita, ad essa siamo tutti incatenati. Da quando dobbiamo scaldarci a quando dobbiamo sfamarci.
Il problema tangente è che questa merda impesta l’ambiente.
Il problema che genera tutti i problemi è la modalità con cui questa risorsa venga sfruttata.
Se l’uomo è oggettivamente accusabile di miopia nel basare l’intera sua sussistenza su di un bene finito, non vi sono livelli misurabili per la follia insita nella civiltà dei consumi.
Non solo è una risorsa finita, ma adoriamo sputtanarla producendo pattume.
Perché è bellino il packaging, le cose colorate, la pubblicità, le grafiche, si rincoglioniscono tutti con il glitter… ha una specie di magia suprema intrinseca.
Pensiamo che le gazze siano animali stupidi, solo perché rubano cose colorate e luminose di cui in definitiva non se ne fanno nulla.
Perfetto.
Noi invece siamo volpi del deserto. Con grande saggezza ci facciamo anche un culo come una capanna per produrre le cosine luminose e colorate che saranno perfettamente superflue.
Pochino, pochino. Una goccia di petrolio alla volta.
La grande rivoluzione industriale del XIX secolo aveva bisogno di energia. Serviva del gran vapore.
I cinesi sono rimasti attoniti, con i loro ravioli in mano, al passaggio della prima locomotiva.
Ah, ecco a che cazzo serviva il vapore!!  Mica per i ravioli….
Per  correre in giro per il mondo, far frullare i telai, le presse, le trinciatrici, i trattori, le valvole, le bielle.
CHE BIELLA LA VITA!
Produciamo, produciamo all’infinito! Con una risorsa finita vi promettiamo che la produzione sarà sempre più intensa, veloce ed accurata!
E deve crescere! Sempre!
Chi si ferma è perduto.
Correre, produrre, guadagnare, vendere, inculare, arraffare, schiattare, ereditare e ricominciare.
Il mito del lavoro che rende liberi crea le catene glitterate per gli schiavi. Finchè hanno le lucette negli occhi non capiscono nemmeno di sudare (e di suprendere).
Insomma, io sono nato in quel mondo, che per me si traduceva nei puffi di plastica che tanto agognavo.
Sono nato tra giochi di petrolio puro, nella foresta degli yuppies che correvano in cravatta ad incularsi qualche colosso, per tornare nel monolocale a sbafare avidamente un bel cibo precotto scaldato nel microonde, ultima gloria del futuro in arrivo.
Nel giro di dieci anni nessuno ci ha capito più un cazzo. Il superfluo è diventato indispensabile, il frivolo è diventato cronaca, il culo si è trasformato in bocca e viceversa.
Non avevamo ancora capito come fosse progettato l’essere umano che già lo avevamo ribaltato come un calzino.
E l’olio di pietra cosa fa, dopo vent’anni?
Niente, cala di reperibilità e sale di prezzo. A lui non frega nulla.
Io lo vedo, l’oro nero. Come un mostro appiccicoso nel sottosuolo. Con mille bolle per occhi, mille colate per tentacoli, mille getti per sfiatatoio.
Che sogghigna. Perché dal piano di sotto sente i nostri passetti isterici correre avanti ed indietro.
Le formichine che lui ha in pugno, tenute in scacco dai suoi servi fidati ed altamente addestrati, che a lui devono una divinità quasi mai raggiunta sul mondo materiale.
Tutto tra i suoi tentacoli.
Il caldo, il freddo, il lontano, il vicino, il colore, la forma, il prezzo, il valore, l’umore, la salute la vita stessa di quei piccoli animaletti isterici che corrono sulla crosta terrestre.
E mentre facevo benzina, mentre mi ricordavo quanto quella carcassa di plastica e metallo che ci aveva illuso di libertà mi tenga in scacco, mentre guardavo il cielo….
..pensavo che quella merda nera fosse sottoterra per un motivo valido.
Non che sarebbe così divertente tornare scaldarsi con il carbone e battere comunque i denti o leggere cavandosi gli occhi a lume di candela….
Pensavo solo che la follia nella gestione, dovuta unicamente all’avidità più cieca e feroce, di questa risorsa così versatile già sarebbe un motivo valido per lo sterminio della razza umana.
Quello che trovo assolutamente disgustoso e blasfemo è capire quanto poco sia saggio un umano con un oggetto potente tra le mani.
Con una gestione più oculata tutto poteva essere migliorato quel tanto che bastasse a vivere meglio.
E meglio non significava produrre scarti più belli, significava capire cosa fosse necessario e cosa fosse superfluo.
Se fosse meglio un buon prodotto in una brutta confezione che un cattivo prodotto in un imballo estasiante.
Ma adesso, davanti al computer, posso parlare in tempo reale con tutto il mondo, e non ho un cazzo da dire.
Questo punto di arrivo della nostra corsa razziale mi sembra piuttosto instabile e deludente.
Perché mi costa immense fatiche, ma non mi da alcuna scelta.
E la scelta è l’unico lusso veramente concesso agli uomini.

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Il popolo ebraico camminava nel deserto, da qualche mese. Era guidato da una colonna di vapore che a notte diveniva fiamma per illuminare il cammino. Era stato liberato dalla schiavitù in Egitto per mezzo di miracoli mirabili e calamità celesti. Aveva attraversato il mare attraverso due muri d’acqua in sospensione, i quali erano poi ricaduti come titanici martelli sui carri del Faraone che l’inseguiva.
Era successo tutto questo. Un Dio manifesto e mirabolante elargiva miracoli e prodigi a profusione per assicurarsi l’alleanza con quel popolo appositamente affrancato dal servizio forzato.
E quale fu il commento del popolo, una volta nel deserto?
“Che palle, abbiamo fame, abbiamo sete, Mosè sei una pippa, era meglio rimanere a farsi frustare ma con la pancia piena!”.
E buona Pasqua.
Io, se fossi stato Dio, non gli avrei mandato le quaglie e la manna ma le emorroidi a grappolo.
O forse era Dio, che al primo salvataggio di un intero popolo era ancora un po’ inesperto… la logistica su vasta scala metterebbe in crisi chiunque, specialmente in un epoca in cui il catering non aveva ancora preso piede.
Comunque per il popolo Ebraico questa è la Pasqua, ovvero Pesach che dovrebbe significare “passare oltre” o “tralasciare”, almeno secondo la fonte onnisciente di Wikipedia (alla quale la storia dovrà adattarsi).
Questo perché l’angelo della MORTE che uccise tutti i primogeniti egiziani “passò oltre” le case ebraiche che erano state segnate con sangue di agnello sgozzato….
Grand Guignol.
Roba da diventare religiosi subito……quantomeno per la grigliata d’agnello che ne dovrebbe conseguire…
Quindi a Pasqua, sarebbe d’uopo passar oltre.
Anche nel nostro più delicato Cristianesimo il termine mantiene un suo significato. Infatti il Jesus passa oltre la sua umanità, trascendendo nella resurrezione.
Comunque la si guardi, partendo dalla radice più lontana, questa festa rappresenta la trasformazione, la liberazione, la rinascita.
Il coniglio e l’uovo stessi, simboli mantenuti dal paganesimo, non rappresento altro in fondo che la fertilità e la promessa di una nuova vita.
Insomma sarebbe carino, ma molto carino, che si potesse aspirare ad una rinascita, una trasformazione o liberazione reale. Che gli alberi rimettano le foglie e che a tutti venga voglia di scopare è assai scontato. Accade ogni anno.
Quello che non accade, nel mondo che conosco, è una vera e propria trasformazione o rimodulazione strutturale delle condizioni di base.
Dio si è dato ad altro, non sappiamo cosa, ma dopo l’esodo ebraico ha deciso di non presentarsi più in prima persona ma servirsi di agenti e rappresentati vari. Quindi non tornerà a far prodigi, dicono.
E io vivo, qui.
In un mondo dove la schiavitù è stata modernizzata e rifinita per non sembrare più tale, ma che a conti fatti non è così differente da quella assaggiata dal popolo liberato dall’Onnipotente. Anzi, alcune teorie sostengono che in realtà gli schiavi veri e proprii fossero anche trattati piuttosto bene, perché erano fonte di ricchezza e benessere. Insomma, se qualcuno lavorasse al posto mio e io vivessi a sbafo non lo prenderei anche a calci in faccia. Ci terrei alla sua possibile serenità. Perché se poi arrivasse un Dio pronto a farlo scappare, quello scapperebbe sicuramente se maltrattato….
Ma no, non ce la facciamo.
In questo paese sono riusciti a vivere alle spalle di chi lavorava per cinquant’anni, ed ora alla classe dei servi chiedono anche gli organi interni.
Siamo tutti d’accordo che il sistema economico su cui si basava tutto l’ingranaggio stia andando inesorabilmente a puttane, ma invece di limitare il danno mi pare vi sia unicamente una corsa scriteriata verso le ultime risorse da suggere prima di gettare via la buccia vuota del frutto nazionale.
Come schiavi viviamo più che dignitosamente, ma questo perché i nostri personali Faraoni vivono in un lusso che nemmeno gli antichi figli di Horus potevano immaginare.
Inoltre se i faraoni hanno usato il sudore altrui per costruire le piramidi, monumenti di ineffabile qualità e grandiosità, c’è da pensare che in qualche misura, dopotutto, il fine giustificasse i mezzi.
I faraoni che controllano la mia vita non lasceranno nulla che sia ancora solido e mozzafiato fra migliaia di anni, visto che il mio lavoro serve unicamente per sollazzare i loro sensi più bassi, dalla gola alla verga….
E in tutto questo gorgo di sangue e sacrificio non sento altro che un popolo starnazzante, che si lamenta peggio degli ebrei nel deserto e nemmeno ha un Dio da seguire.
Mi sento di vivere in una campana di bronzo, mentre all’esterno più entità picchiano con mazzuoli da demolizione sul metallo.
DOOOONG: CRISI.
DOOOONG: ECONOMIA.
DOOOONG: LACRIME E SANGUE.
DOOONG: SACRIFICI.
DOOOONG: LAVORO.
DOOONG: PAGARE.
DOOOOONG: TASSARE.
DOOOONG: CREPARE.

A questi non frega più nulla della morte degli schiavi. Siamo sacrificabili, siamo tutti perfettamente sostituibili.
La crisi ci è stata insegnata per questo. Per governare con il guanto ferrato della paura. Per essere sicuri che nessun servo si senta amato nemmeno dal proprio padrone, che ogni servo sia cosciente di essere solo n paio di braccia.
Sacrifici.
Devo ancora sentire parlare di sacrifici per il popolo, mentre un’intera orda, un popolo di umani quanto me viene bellamente mantenuta per far chiacchiere ed intrallazzare.
Devo vedere sempre la nobiltà al potere, ed una nobiltà sempre più spregiudicata, sempre più noncurante, menefreghista e strafottente.
Una nobiltà a cui Noi abbiamo consegnato ogni potere.
Perché il nano pelato, tra le migliaia di stronzate, ne ha dette anche alcune fanciullescamente corrette.
Diceva che la crisi non esisteva, perché i ristoranti erano tutti pieni.
E tutti ad infamarlo.
Beh io non posso permettermelo il ristorante. Non potevo prima e adesso se penso alle nuove tasse sulla casa mi passa anche la fame (oltre che il sonno). Forse era un effetto secondario preventivato, uno di quei grandi controsensi del paese, come levare i soldi ai consumatori e lamentarsi perché essi smettano di consumare.
Ma guarda te a volte il FATO…..incredibile questo effetto.
E sento parlare comunque e sempre amici e colleghi di week-end al mare, mangiate pantagrueliche, settimane bianche e ferie esotiche.
Però poi tutti incazzati perché la benzina costa troppo.
Non lo so, non capisco. Come quegli ebrei durante l’Esodo li trovo assai fuori dalla realtà.
C’è Dio che ti guida con una colonna di fuoco, ma a te fanno male i piedi e lo infami.
Qualcuno ha i soldi da spendere in futilità che dovrebbero essere un lusso in periodi di crisi, ma si incazza perché il prezzo di ogni cosa sale alle stelle.
Non so. Io vorrei essere in condizione di rinunciare a qualche futilità. Ma dopo un breve esame mi sono accorto che non ho più alcuna futilità alla quale rinunciare per tirare la cinghia.
L’unica, a questo punto, è vendere la cinghia stessa….
E nelle mie condizioni non sono solo, ma l’unica cosa che posso fare è morire di stenti.
Perché l’unica arma che abbia un servo ridotto alla fame è la violenza. La vera violenza, quella che fa ghigliottinare il Re, non lo sciopero telefonato o due vetrine imbrattate.
Ma non si può.
Perché ci hanno anche insegnato che quando si usa la violenza si ha sempre torto.
Geniale.
Moriremo magrissimi ma con ragione da vendere. E quelli che ci avranno ucciso non alzeranno nemmeno un sopracciglio per la nostra dipartita.
Il perbenismo, il buonismo, il civismo di facciata, hanno tolto alla massa ogni potere. E il potere si ottiene solo attraverso la paura quando si combatta contro certi personaggi.
Io non sono un fan della violenza, soprattutto quella fisica. Io adoro il dialogo. Starei eoni a confrontarmi verbalmente con le persone, analizzando ogni aspetto delle questioni, scavando, capendo e anche cedendo.
Ma al decimo “di quello che vuoi a me non frega un cazzo” io credo che unicamente un diretto nei denti (in grado di mischiare l’intera arcata palatale) possa riportare alla ragione l’eventuale interlocutore.
Specialmente se la questione si riveli assolutamente di alcun valore per esso, mentre per noi possa essere, ironicamente, di vitale importanza.
Quindi io credo che nelle uova e nei conigli non possiamo fare alcun affidamento, in questa Pasqua.
Non credo risorgeremo, ma quasi sicuramente moriremo.
Nessun miracolo ci servirà dai padroni, non vagheremo nemmeno nel deserto.
O, ancora meglio, stiamo già vagando nel deserto, ma per alcuni è ancora un giardino.
Alcuni preferiscono essere schiavi ma con la pancia piena, preferiscono l’egiziano con la frusta finchè nell’altra mano abbia una pagnotta.
E questo non ci renderà mai liberi, ma solo schiavi di diversi padroni. I quali sanno bene come assoggettare le pecore e usano l’agnello come un simbolo a cui aspirare. Lo stesso agnello che poi sgozzeranno per imbrattare le porte delle proprie case e salvarsi dalla furia dell’angelo della MORTE.
Il lavoro, la libertà, la ricchezza, sono le parole  più travisate di questa era, la quale non vuole morire e quindi non può assolutamente risorgere.
Nemmeno noi vogliamo morire. Nemmeno io vorrei morire. Non per far vivere il mio carnefice.
Ma non sta a me decidere, ne a Dio, ne al coniglio o alla colomba.
Sta a tutti noi.
Quindi siamo abbastanza fottuti.

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L’uomo-che-perdeva-sempre guidava un’utilitaria.
La guidava piuttosto malvolentieri, lungo quel nastro d’asfalto che collegava le due grandi celle in cui era costretto a spendere ogni sputo della propria esistenza: la casa ed il lavoro.
Due obblighi che si partorivano e si divoravano l’un l’altro ad ogni nuova maledetta alba, ed avevano un unico esofago gonfio per digerire i reciproci brandelli: quel nastro di asfalto.
L’uomo-che-perdeva-sempre stava chiuso nella sua utilitaria, mentre fuori il mondo  gelava come da programma. Un programma sempre più erratico, che faceva temere rivoluzioni ambientali ed apocalissi post-atomiche, perchè l’uomo assolutamente non poteva concepire di non poter controllare o prevedere ciò che in realtà non fosse mai riuscito a capire. Ogni anno l’estate era la più fredda o calda del millennio, ogni autunno il più secco o piovoso, ogni inverno era un concerto di ghiacci in liquefazione ed ogni primavera …. niente, perchè tutti pensavano solo a scopare al primo sole…
Dietro al suo parabrezza sporco l’uomo-che-perdeva-sempre trovava piuttosto insignificante preoccuparsi della fine del mondo. Gli uomini erano gli unici animali della terra ad aver costruito delle tane ideali, assolutamente perfette e funzionali. Ma invece di andare in letargo preferivano farsi fustigare dai problemi di viabilità, da mostruose escursioni termiche e meteroepatie latenti.
La fine del mondo, quello degli uomini quantomeno, era già in ritardo.
Quel mondo che si era trovato addosso fin dalla nascita non solo non gli corrispondeva, ma sarebbe stato ridicolo anche visto in maniera oggettiva, da lontano, senza l’obbligo di viverlo.
Era l’uomo-che-perdeva-sempre proprio perchè non aveva mai accettato di accettare. Le regole stupide potevano essere ignorate, a livello etico la coscienza non grida se non sente il morso della lama.
“sfigato” era il termine più usato per indicarlo, dai suoi simili.
Sfigato non tanto per l’avversa sorte (la quale non aveva mai generato vere e proprie tragedie ma immani cumuli stratificati di rotture di coglioni, alte ormai quanto catene montuose orientali), quanto per l’atteggiamento nei confronti di essa e del resto della razza di appartenenza.
L’uomo-che-perdeva-sempre viveva fuori dal tempo e dallo spazio, in un universo di forma, colore, armonia e movimento. Viveva in una realtà immaginifica in cui il fine non giustificasse alcun mezzo, ma fosse proprio il mezzo a decidere la vittoria o la sconfitta finale. Quell’uomo sull’utilitaria non vedeva la vittoria da molto tempo,  la vittoria del mondo degli uomini quantomeno.
Il mondo in cui si trovava era deciso da Standard & Poors.
Un’entità sovrannaturale che decideva i buoni ed i cattivi, i salvati ed i dannati.
Impalpabile, intoccabile, incagabile.
Normali e poveri, così si chiamava ora l’entità che svolgeva il compito una volta appartenuto a Dio. Poco male, tanto era incagabile anche lui.
Bastardi e sfigati. Bastardi e poveri.
Bastard & Poor.
L’uomo-che-perdeva-sempre sapeva che l’unico schieramento vincente di quel mondo del cazzo era la parte dei bastardi, degli standard.
Lui era poor. Non di beni, ma di prospettive.
Tutto quello che meritava era quella scatoletta oltremodo costosa, quel contenitore semovente che lo portava ogni giorno da una cella all’altra.
E questo era tutto ciò che avrebbe avuto.
Non possedeva nulla di invidiabile se non la sua caustica intelligenza, non faceva nulla di sconvolgente se non un pò d’arte amatoriale sentita, non scopava nulla di esaltante se  non quello che poteva, non comandava altri umani, non teneva in scacco nessun cuore, nessuna mente, nessun potere.Era un uomo dentro una scatoletta semovente, in mezzo a molte scatolette (per lui tutte ugualmente noiose, anche le più possenti od opulente), piene di poveri e bastardi.
Poveri e bastardi.
Era una scelta da fare prima di nascere, la scelta che lui aveva sbagliato.
Almeno si fosse premurato di avere un bell’aspetto….
L’uomo-che-perdeva-sempre aveva appena perso.
Fino al giorno seguente era tuuuuuutto tempo libero.

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Ora et labora


Ed eccola qua. La serata peggiore dell'anno.
L'ultima sera, prima del rientro dalle ferie. La conosco bene, la chiamo "il mio piccolo nero abisso". In realtà, avendo sempre fatto vacanze natalizie lunghissime (ed ho scelto posti di lavori in funzione di questo, non scherzo!) ho la fortuna di vivere questo intimo momento di pece collosa almeno due volte all’anno.
Sinceramente queste sono state le peggiori ferie della mia vita, e senza esagerare. Potrebbero essere riassunte in un calvario ridondante di code a sportelli bancari, ospedali e altre amenità amministrative. Devo molti più soldi di prima al mio più vecchio amico, ho una macchia nell’occhio sinistro che mi ha simpaticamente impedito di disegnare, scrivere ed esprimermi in altri modi durante il lungo tempo libero che avrei dovuto godere e tutto questo senza un euro in tasca. In compenso è stato un caldo maiale, da far sudare l’umor vitreo per ogni singolo giorno di vacanza, e stasera, con beffardo sarcasmo, il tempo ha deciso di rinfrescare virando verso l’autunno.
Oh, si. E’ stata una vera estate di merda. Un inferno attivo, scoppiettante, carnevalesco di sfighe, rinunce e impotenze.
Ho lasciato andare tutto ciò che avrei potuto avere di piacevole. Non con molto piacere, ovviamente, ma sempre per senso di lealtà lungimirante. Mettendomi sempre nella posizione di proteggere almeno me stesso, quando gli interlocutori non pensassero alla propria, di protezione. Ovviamente alcune cose occorre farle con violenza, se il risultato non si raggiunge in altra maniera. Ma sono fiducioso che tutti gli attori del dramma abbiano altro da fare, se non ora, a breve.
In quanto a me, mi ritrovo a leggere la storia d’Italia di Montanelli a lume di candela, sul tavolo del giardino.
Mentre leggo dei Gracchi e di Appio Claudio, delle prodezze di Annibale e dalle crisi economica globale causata dall’Imperium…. sento addosso una tonaca marrone e pruriginosa, ed avverto i sandali sotto le piante dei piedi. Il mio ritiro monastico è ormai certo e conclusivo. Almeno per quanto riguardi i rapporti con l’altro sesso.
Mi sono iscritto ad una lega di Blood Bowl, stasera abbiamo fatto le schede di Dungeons and Dragons, ieri le prove per il concerto del quartetto. Quando a Photoshop va, tiro due pennellate all’ultimo disegno  (sesso tra demoni, mi sta gustando ciò che faccio…). Insomma, ho tutto quello che mi serve per non annoiarmi, quindi è sicuro: mi annoierò.
Sono anche un po’ stanco di non sapere più cosa scrivere o meno nella mia coscienza telematica. Perché tutti leggono e non leggono. A volte si teme di dare una goccia di piacere ai nemici, una goccia di dolore agli amici o una goccia di noia ai passanti.
Beh in fondo, chi se ne frega. E’ il mio diario telematico. Che non sto più usando come un diario, perché ciò che mi accade è talmente orribile od orribilmente noioso da non volerlo o poterlo scrivere.
Non credo che mi aspetti un autunno tanto migliore, e ciò che verrà dopo, non lo vedo meglio.
Ormai so che le forze titaniche con cui mi sto scontrando non possono essere vinte, se non con una altrettanto titanica botta di culo. Anche su questo ho dovuto riflettere, e devo dare ragioni a molti miei detrattori. Probabilmente ho vissuto botte di culo insperabili e per tantissimo tempo. La maggior parte le ho sprecate, una parte sono riuscito a ritorcermela contro… e il rimanente erano l’illusione di una botta di culo. Nulla più.
Ora ho il mio saio invisibile. Ancora per poco. Conto di aggirarmi per casa con la veste, tra pochi mesi, quando il clima lo permetterà. Leggerò, scriverò. Apprenderò e dedurrò. Cercherò di fare ciò che ho sempre fatto: eviscerare il mondo, il suo funzionamento, sbudellare il mistero dell’uomo ed il suo comportamento, leggerne le interiora come un augure pagano e gettare nel ribollente brodo della percezione la mistura che ne avrò tratto. Cuocere tutto, rimescolando a fuoco lento. Fumare migliaia di sigarette e masturbarmi migliaia di volte.
Credo sia questo, ciò che mi aspetta. E non è un destino peggiore di altri che avrei potuto scegliere come miei. Ho scelto questo, perché in questo sarò lacerato dalla solitudine, dal rimpianto e dall’immobilità. Ma non dal rimorso. E sarò libero. Anche libero e solo con la mia miseria, ma libera e liberamente scelta.
E sono un nerd di mezza età. Un essere ridicolo da film commedia che era già fuori moda nel suo tempo ideale, ed ora non è che un relitto su spiagge polari…..ma questo sono. E sono ancora fiero, e sempre più, del mio pensiero, delle mia capacità mentali, della mia ispirazione e della mia follia allegra.
Nessuno può portarmi via questo. E nessuno che io conosca ha niente di altrettanto interessante da darmi in cambio, a parte i pochi con cui questo scambio sia ormai consolidato.

“…c’è freddo sulla torre o è l’età mia malata?
Confondo vita e morte e non so chi è passata.
Mi corpo col mantello il capo e più non sento
e mi addormento. Mi addormento. Mi addormento….”
F. Guccini – Bisanzio

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Per tutti gli Dei quanto è difficile.
Quanto è difficile fare quello che sia giusto. Difficile quando sia giusto per noi, incredibilmente difficile quando lo sia per gli altri.
Potremmo anche sbattercene altamente, e giustificarci di umanità. E' prassi assai comune, ed in fondo assolve più di un prete automatico. Ma i veri mangiacacca lo sanno, che l'autogiustificazione è una masturbazione per gli incoscenti.
Bello sarebbe, saper godere quando è il momento di farlo e pensare che il domani sia solo ipotetico. Un vizio di gioventù che guarisce con il tempo. Per chi non sia mai stato giovane solo una leggenda, tramandata oralmente da altrui voci.
In realtà, come dice Cohen, ho provato ad essere libero alla mia maniera, anche ferendo chi sia entrato nella mia tana.
Innocente come un animale, il più delle volte sono riuscito a ferire. Ma non ho mai posseduto tanta innocenza bestiale da riuscire a godere.
Il personaggio, alla fine, ha ingoiato l'essere umano. Questa armatura è una vergine di Norimberga, ed è anche di qualche taglia troppo piccola. Per quanto scinitlli all'esterno, dentro è un carnevale di sangue e carni lacere.
Non poserò mai il culo sulla sella di un drago, questo è certo. Ma la mia pelle è un arabesco di cicatrici. Forse l'unico sospetto di cavalierato ritrovabile in questo mondo. Ho rinunciato sempre per il bene dell'equilibrio, perchè dopotutto ho un pensiero Asimoviano:
per quanto sia tremenda una situazione di equilibrio, il caos che conseguirà alla sua rottura sarà persino peggiore e molto più duraturo. Quindi, alla fine, tengo le cose in equilibrio. Il più delle volte con lo scricchiolio di muscoli e nervi, e come unica ricompensa il sospetto di fare la cosa giusta.
Malati di eroismo quotidiano….
Potevo mentire e tutto sarebbe stato molto più facile. Ma non è nella mia natura, e volendo proprio essere oggettivi, è più lacerante essere sinceri. Questo crea tutto il dramma e la tensione drammatica di cui abbisogni un mostro come me per esistere.
Mentre guardavo il piatto finalmente ricolmo di tutto ciò che avrei voluto mangiare mi sono accorto che quei piccoli oggetti bianchi sparsi per il tavolo erano i miei denti.
E così mi sono limitato ad annusare, senza dare alla vita la soddisfazione di lasciare cadere una lacrima di rabbia sul piatto più ricco. Forse pregando che arrivasse un animale affammato a fare sparire tutto. Davanti ad un piatto vuoto, essere senza denti, non è poi così importante.
Lo dissi tanto tempo fa che non mi sentivo a mio agio, che non avevo le zanne od il fiuto del mastino randagio. Io sono un cane da casa, non da caccia. Un essere imbecille come un Alano, che sembra un animale da ranch, invece è una bestia da salotto.
Un soprammobile di due metri. E come un Alano devo poter uscire a pisciare, regolarmente. Non veramente da casa, non veramente da esterno….
Così ho brandito la verità come una spada, senza ricordarmi quanto fosse più affilata di quest'ultima. E alla fine sanguinavano un pò tutti, io compreso. Forse perchè è meglio sapere di sanguinare e cercare una benda, piuttosto che fingere di non essere feriti, e morire stupidamente sorpresi.
Io sono il figlio delle mie scelte. Le strade che mi sono precluse portano cancelli sbarrati con lucchetti forgiati da me. Quindi non ho volgia di lamentarmi di me stesso, questa volta. Ne della vita, ne degli altri.
Non c'è altro da fare che sorridere ironicamente e sperare di essere immune, quando sei una vipera e ti mordi la lingua. Ma nessuno è realmente immune a se stesso.
Non morirò per i miei veleni, ma mi gusterò ugualmente l'agonia. In attesa di un attimo di nuova distrazione in cui mordermi la lingua.
Ho rinunciato, e nemmeno come si deve. Perchè nemmeno a fare il martire, in fin dei conti, brillo o primeggio.
Ha ragione De Gregori, ognuno è fabbro della sua sconfitta, ognuno merita il suo destino. E tutto quello che non farò e non sarò, in parte l'ho anche scelto. Molte cose nella maggior parte, se non totalmente.
Mi sono chiuso sulla cima di una torre ed ho buttato via la chiave, per essere sicuro di star dentro. Se arriva qualcuno con le ali, allora ringraziamo gli Dei e non stiamo a volere anche un particolare colore di penna.
Mi è stato chiesto se è attraverso queste decisioni così apparentemente autodistruttive e tragicamente difficili che si diventa adulti. Io ho risposto che in fondo, io sto cercando proprio qualcuno che non voglia crescere. Che rimanga con me a giocare.
Ma credo di essere l'ultimo dei bimbi sperduti. Gli altri prima o poi decidono di crescere.
Io mi tengo stretto alla mia armatura di stagnola ed alla mia spada di legno. Imbraccio il mio scudo di coperchio di pentola e scendo in guerra contro draghi di pelouche e cartone.
E cerco di fare ciò che sia giusto più degli adulti. Perchè solo un bambino può credere a tal punto di poter essere un cavaliere.
Non pensare di esserlo. Non cercare di esserlo.
Ma esserlo e basta.
Le ferite però sono uguali per tutti, adulti e bambini.
Oh Dei…come diventa faticoso giocare, con il tempo…….

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Forse il silenzio è l'unica cosa illuminante rimasta, sia in fase di produzione che di fruizione.
Nel silenzio sono non-presenti tutte le domande e tutte le risposte possibili, mentre nel suono solo alcune sono presenti in ogni momento. Il silenzio ha una sua completezza oscura, è un "tutto al contrario".
Non dire niente nemmeno a me stesso, su queste vecchie pagine, mi è parso più saggio che dire cazzate o lanciare strali, ultimamente.
Strali che sono sempre i soliti, perchè la vita è la solita, le situazioni sono le solite…. e tutto è bloccato in una fase senza tempo, una fotografia in tre dimensioni che scivola lentamente su un piano inclinato verso l'orlo di un abisso.
Tutto il quadro si muove inesorabilmente in quella direzione.
Non c'è illusione di primavere in queste vecchie ossa stanche.
C'è un inverno antico, che si nasconderà sotto le carni e striscerà sotto la pelle, con i modi discreti di un parassita travestito da simbionte. Affronterà il sole della primavera facendo finta di essere svanito, ma sussurrando continuamente il suo requiem senza pause.
Devo scrivere perchè nella settimana in cui rompi tutto, devi scrivere.
Scrivere quantomeno che l'unica pulsione rimasta sia stata quella di imbracciare un possente martello a due mani e spaccare con tutta la forza rimasta l'impalcatura che circondava l'essere.
Pulire con un fuoco inquisitorio le caselle del calendario da tavolo, togliendo tutti gli appuntamenti fissi e anche quelli saltuari.
Anche quelli più piacevoli.
Avere voglia di andarsene, unicamente, di preme un tasto e cancellare ogni cosa.
Riavviarsi come un computer impallato.
Accorgersi da soli di quanto ci si sia impiccati con i lacci delle proprie scarpe, chiedersi perchè e come si sia riusciti in un'impresa così colossale senza accorgersene…..
Viene il momento di chiedersi cosa cazzo si stia facendo. In molteplici campi della vita.
Non che debba esserci un progetto salvifico o un'impresa eroica o la vita stessa sia sprecata, ma anche continuare a reiterare il nulla nelle medesime modalità è assolutamente diabolico. Almeno si deve cambiare perdita di tempo, ad un certo punto!
Così giunti alla massa critica, l'epurazione è partita da sola. Non con cattiveria, ma con rabbia sicuramente.
Non una rabbia verso gli altri, però. Una rabbia contro me stesso, contro la mia controreazione che mi ha portato a buttare energie ai quattro venti, nella vana speranza di fare almeno un centro tirando un intero secchio di frecce.
Una rabbia per le cose che non possono essere cambiate, perchè la struttura stessa della vita le blocca. E l'odio ancora più bruciante verso ciò che sia rinunciabile, ma rimanga li, inalterato e vampirico per i miei stessi sensi di colpa.
Perchè un tempo facevo fatica ad accettare di fare le cose, ora faccio fatica a declinare l'invito.
Nella furia terrorizzante delle occasioni perdute mi sono gettato fra le braccia di tutte le possibilità limitrofe, dove il mio cavalierato ottuso e compiaciutamente martirizzante si trovavo poi incatenato, senza poterne uscire.
Non sono stato saggio a tal punto da valutare prima, cosa stessi facendo, e ancora meno saggio nel non tirarmene fuori, quando ormai ogni fibra del mio essere fosse consapevole della rottura del rapporto.
Alcune cose non posso romperle, al momento. E mi vessano ogni giorno, per quasi tutto il giorno, che sembra sempre di più un inferno da colonia penale, che cede il passo ad un ritorno mesto alla mia bara a tre piani, dove i morti contano di più dei vivi, e se la passano notevolmente meglio.
E la paura, la squallida paura del deserto. Di trovarmi nel vuoto, dopo tanta distruzione, e di scoprire che non c'è nulla da ricostruire, nulla da vedere nascere.
La morte, intesa come fine delle cose, fa paura a tutti, porta a lacrime e disperazione. Ma io non ho mai versato una lacrima per ciò che muore, come è naturale che ogni cosa faccia.
Io verso lacrime sanguigne quando mi accorgo che nulla stia più nascendo.
La non-vita è ben peggiore della morte. Tutto morirà, anche la stracazzo di galassia, un giorno.
Questo nostro correre contro il tempo non può avere vittoria, e l'illusione somma pare che stia nel futuro. Mentre dovremmo curare, e molto bene, il presente.
Il mio presente è di nuovo arrivato ad una morte-rinascita. Uno di quei cicli della vita, fatti di eventi, cambiamenti, rotture e costruzione che interessano tutti. Il mio, da ormai tre o quattro anni, è in questo periodo.
Non so per quale motivo, ne suppongo mi verrà svelato….ma comunque arriva da solo e non gli si sfugge.
Ora vorrei di nuovo mischiare le carte.
Perchè non sono triste o depresso, ma nemmeno ottimista. Sono pronto. Che è molto, ma molto differente.
Non mi faccio illusioni per il bene o per il male, ma sono reattivo, e sopratutto sono molto protettivo nei miei confronti.
Nel senso che cercherò di tagliare le gambe a qualunque situazione che si riveli una sacrosanta rottura di coglioni.
Perchè vivo immerso in rotture di coglioni tutto il santo giorno. Dal lavoro ai problemucci spiccioli della vita, come una gomma che si buca o un tubo che perde.
Vorrei che almeno il mio poco e sacrosanto tempo libero fosse affollato di cose piacevoli, o piuttosto di UN GRAN BEL CAZZO DI NIENTE.
Tanto c'è sempre qualche videogioco a salvarmi, male che vada. Che a videogiocare non mi sono mai sentito di sprecare tempo e non me ne fotte niente della realtà, se il videogioco si rivale più stimolante (non che ci voglia molto..).
Io sono fortemente convinto di essere stimolante, a quanto pare. Lo dice la legge di mercato che vede torme di persone intente a rompermi i coglioni per godere della mia compagnia.
Ma ben poche di esse si sono mai preoccupate di essere stimolanti per me. Come se io fossi un servizio celeste, uno spettacolino vivente per diluire la noia dell'esistenza.
Ma su una cosa ora devo riflettere: sul mio valore.
Perchè svendermi o regalarmi è una mia abitudine, che ho impressa nel DNA, che scorre nelle vene della mia famiglia da sempre. E che io, per indole, ho sempre coltivato.
Ma è ora di chiedersi perchè tutti mi esaltino più di quanto faccia io, tutti mi stimino più di quanto faccia io, tutti mi credano più di quanto faccia io.
In parte, mi stanno convincendo.
E se c'è un qualche dono raro in questo spirito…. beh allora come tutte le cose rare avrà un valore alto, ed un prezzo conseguente.
Ed è ora di finirla con chi lo voglia gratis, con chi l'abbia da così tanto tempo da crederlo ormai dovuto ed assicurato.
Pretendo fatica nei miei confronti, pretendo sforzo e lavoro, perchè il mio essere è tale proprio perchè è continuamente sotto sforzo.
Uno sforzo volta a capire, ad elaborare, a relazionare, e a rendere tutto questo fruibile e divertente per tutti.
Uno sforzo che tiene spesso le cose insieme e che le vede crollare appena cessi un attimo.
Pretendo qualcosa.
Perchè io non smetto mai di pretendere da me stesso, perchè trovo che sia l'unico modo di porsi con coscienza pulita e presenza stimolante.
Chi mi da per scontato mi perderà. E come molti già hanno fatto, scoprirà che la vita senza di me può essere perfino più insopportabile (n.d. Lestat).
Sono sfinito dall'essere trattato come un panchinaro, come un oggetto da dispensa utile ma solo alla bisogna, come una seconda ipotesi, come la parte mancante del proprio partner, come il pagliaccio canterino o il baby-sitter degli imbecilli, come il comico senza lacrime, come l'idiota buffo e divertente.
Mi adoperano come una chiave inglese già per tutto il giorno.
 Alla sera, chi vuole il chierico….. CHE PREGHI!

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