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Il gioco senza bottiglia

Una volta conobbi un bravo basso-baritono che aveva uno spinoso problema personale: avrebbe voluto interpretare solo ruoli buffi e gli venivano offerti sempre ruoli drammatici.
Credo di avere il problema contrario, e non musicalmente.
E’ un po’ come presentarsi per la parte di Rigoletto e ricevere la scrittura per interpretare Dulcamara.
Niente da dire sulle parti buffe, che offrono momenti irresistibili, ma a volte l’anima e ed il destino fisico di un individuo sono completamente divergenti come colore e timbro.
In questo risiede, suppongo, lo spaesamento altrui nel cercare di inquadrarmi come essere umano.
So perfettamente di essere brillante, anche se non a comando, ma di sicuro le parti più profonde del mio spirito vengono toccate da corde più gravi.
Sono stato di nuovo tacciato di autocommiserazione e pessimismo, e questa volta sono rimasto sorpreso.
In tutta sincerità credo di passare dal surrealismo più strafottente alla più cieca violenza verbale.
Non mi pare proprio di essere un tipo da piagnisteo, ultimamente. Quando ho voglia di piangermi un po’ addosso lo faccio sempre confezionando tutto in una battuta, un pensiero o una metafora. Spesso, inoltre, non sto nemmeno parlando di me, sto concretizzando qualcosa che aleggia nella mia mente o nei miei sensi da qualche tempo e che finalmente abbia deciso di condensarsi una frase.
Ma il dramma resta, che lo si orchestri o meno.
Un dramma molto piccolo e personale, che nulla a che fare con i veri drammi della vita, di questo non discuto, ma che purtroppo mi accompagna ogni giorno, tutto il giorno, tutti i giorni.
Convivere con me stesso è un casino, e non è un casino perché io sia troppo scellerato o complicato, il problema è che sono troppo esigente.
E’ vero, ho una mente molto veloce, molto attiva e molto creativa. Ma questo non basterebbe a creare un tormento, anzi, se ben incanalata questa caratteristica potrebbe essere assai fruttuosa.
Il problema è, e devo ammetterlo anche se mi costa moltissimo, il mio romanticismo.
Se sono comune e sempre tirato vero il melodrammatico è semplicemente perché il mio spirito non riesce ad accontentarsi. Mai.
Ho bisogno di scoperta, di avventura, di slancio epico, di impresa, di sofferenza e di stimolo.
In poche parole ha il cuore di Indiana Jones, il cervello di Walt Disney ed il fisico di Ciccio di Nonna papera.
Non rimpiango di possedere le prime due caratteristiche, che sempre più persone mi invidiano (e per un invidioso di natura questo è molto più importante di quanto si creda), e nemmeno la terza sarebbe un grosso problema se non mi entrasse in conflitto con le prime due. Specialmente con la prima.
Insomma il mio cervello ed il mio cuore vogliono troppi stimoli, vogliono sempre di più e non si accontentano mai, il mio corpo non può offrire al mio cuore ciò che vorrebbe e la mia vita, nel suo impianto, non può offrire al cervello nuove diavolerie.
Sinceramente capisco di essere tragicamente annodato su me stesso.
Da una parte sarei un tipo da avventure romantiche ogni sera, dall’altra sono assolutamente certo ormai di non essere fisicamente predisposto per un esercizio di questo tipo.
Principalmente non sono così attraente, e con questo intendo anche le sacrosante capacità di atteggiarsi da piacione, non solo la fisicità asettica. Secondariamente sono un eroe finchè si gioca il balletto della conquista e mi ritrovo sempre inutile nel momento in cui la conquista divenga fatto concreto.
In un certo senso la mente si diverte come una pazza ad inventare i suoi fuochi artificiali e le sue magie per stupire, il cuore si gonfia di fuoco eterno mentre ruggisce leonino atterrendo la preda. Il corpo si dimentica di come io lo consideri e per un attimo abbiamo anche tregua.
Peccato che tutto questo  incanto si dissolva appena la realtà entri nell’ideale.
In pratica sarebbe perfetto conquistare una donna ogni sera e poi tornare casa a masturbarmi mentalmente e fisicamente. Perché in realtà, la realtà…mi pare proprio poco epica….
E tantomeno romantica.
L’ipotesi è tuttavia impraticabile. Questo gioco riesce poche volte in un anno e solo grazie alle giuste congiunzioni astrali. Non sono in grado di farlo succedere.
Sono per lo più convinto che nulla possa essere forzato ad accadere. Tutto accade o non accade, l’unica nostra libertà è favorirlo od ostacolarlo, aprirci o chiuderci.
Certo che le occasioni si colgono o si perdono. Ma sono sempre più convinto che crearsele sia un fola da Superuomini dannunziani. Nella serata sbagliata puoi avere il cuore più acuminato di un coltello, la mente più esplosiva di un bidone di nitroglicerina, il corpo scattante ed agile di un leopardo ma non succederà molto.
Nella serata giusta ci si accorgerà di avere le suddette caratteristiche senza il minimo sforzo. Si può essere in mezz’ora personaggi completamente diversi da quelli usciti di casa.
Alchimie, incantesimi, casualità, arcani maggiori e minori, insondabili forze non controllabili nell’origine e negli effetti.
Eppure da questo, da tutto questo, dipende il mio stato d’animo di ogni giorno.
Devo cedere, devo dichiarare la resa e lasciare che il mio romanticismo prenda la coppa e mi pisci in faccia.
Perché comanda lui, poche storie.
E non c’è momento triste che non diventi tragico, non c’è momento allegro che non diventi baraonda, non c’è caccia che non sia conquista e non c’è motivetto che non sia sinfonia.
E’ lui che gonfia tutto, che modella tutto che deforma ogni cosa per illudersi di portarlo al livello delle sue aspettative.
E’ un figlio di puttana che combatte di continuo con la mente, perché un cuore forte ed una mente forte nello stesso individuo non possono che essere il germe primevo della follia.
Per forza, son i loro bisticci che ti tirano scemo!
Mi è bastato vedere come sia cambiato il mio umore solo perché avevo fatto effetto, perché si era riaccesa un speranza di speranza su me stesso, per accorgermi che i miei ritiri monastici non sono funzionali a nulla.
Ancora una volta mi trovo a chiedermi come poter portare un misantropo isolazionista in giro a cercar stimoli.
Mi trovo a chiedermi come cazzo si faccia ad essere fatti in questa maniera.
Ad essere sempre eroi fino alla resa dei conti ritrovarsi conigli sempre nel momento della vittoria.
Essere sempre impreparati e considerarsi sempre pronti.
Essere costretti a vedere sempre una mannaia guardando un bisturi.
Essere così.
Straordinariamente straordinario.
Talmente particolare da essere autoingestibile.
Le persone sognano, poi si svegliano e rientrano nella realtà ogni mattina.
Io ogni mattina rientro nei miei sogni, quando dormo faccio sogni….
…la realtà non alcun tipo di spazio nella mia vita.
Ed è un po’ un casino.

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Non sono un fan di Fabio Fazio ne di Saviano.
Eppure, allo scoccare del mio trentacinquesimo compleanno non ho alcuna voglia di dilungarmi in spiegazioni e solita cattiva retorica.
Preferisco seguire l’esempio dei demagoghi della nuova ora, che ignorano da quanto tempo io stesso facessi demagogia in rete, sputtanando filosofie di caratteri battuti a caso nel delirio più totale.
Quindi ciò che segue sarà solo un freddo elenco di parole. Le parole che mi vengono in mente ripensando ai miei trentacinque anni sulla terra. A cazzo, ma pertinenti.

Diversità, onirico, forma, colore, suono, bruttezza, caparbietà, rifiuto, astinenza, impotenza, difficoltà, congiuntura, malasorte, distrazione, inettitudine, goffaggine, povertà, puzza, sudore, grasso, peluria, asimmetria, guasto, decadimento, attesa, pressioni, atipicità, disordine, incuria, fede, psicologia, poesia, canto, musica, disegno, incomprensione, emarginazione, inarrivabile, invidia, gola, cibo, unto, scale, ipodotato, sporco,  malvestito,  spettinato, drago, fantasia, inutilità, grafite, china, vergogna, isolamento, paura, sporco, ruggine, bruma, luna, merda, bestemmia, rabbia,  delirio, madre, sorella, morte, tradimento, sberleffo, insulto, sputo, amicizia, supporto, tabacco, tortellino e..

… la parola finale, il metaincantesimo che racchiude la vera nota portante della mia esistenza: INADEGUATEZZA.

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Quel tizio nella televisione mi piaceva. Non sapevo se fosse un prete, ma aveva un grosso crocifisso-spilla sul bavero della giacca, qualcosa a che fare con i palestinesi e le vergini doveva averla..
Parlava delle sette, le quali in realtà sono molto più di sette, sono centinaia e a quanto pare preoccupano molto la chiesa apostolica, dopotutto anche quello è un mercato nel quale le lotte sono senza esclusione di colpi.
Ma ciò che mi ha colpito è stato il suo affermare che il calcio e le tifoserie da stadio sono divenuti il sostitutivo della fede religiosa, in questo paese. Un'intuizione che io sostengo da anni, ma che non avevo mai sentito esprimere
in contesti ufficiali come quello televisivo. Mi sono un pò sentito orgoglioso delle mie percezioni, ed un pò triste per il fatto in se.
Ma la spiegazione del tizio-forse-prete si è soffermata su un punto ancora più interessante. Egli affermava, infatti, che la religiosità umana (intesa come istinto, non come organizzazione) non sia altro che l'espressione di un bisogno di "infinito".
Non di "immortalità", specificava appunto, in quanto l'essere umano è consapevolmente mortale, e verso la fine tende ad accettare in qualche modo la propria dipartita. Piuttosto un bisogno di un infinito circondante e compenetrante. Un bisogno che ovviamente
non può essere soddisfatto da nulla di terreno, e per questo l'uomo ricerca il divino.
Certo, io ho le mie teorie sull'argomento. Sono e resto chierico nell'anima, anche se caparbiamente antireligioso. Ma ostinatamente spirituale.
Sono poiuttosto certo che vi siano insondabili forme di energia nel cosmo, alcune delle quali saranno forse solo vibrazioni intenzionali, probabilmente onde di diversa lunghezza, che mettono in ordine il caos e creano struttura dalla poltiglia. Forme di intelligenza probabilmente inconcepibili
per la mente a cassettoni degli umani. Forze che la nostra mente traduce in qualcosa di simile a noi, ma più potente ed immortale pur mantenendo i nostri difetti di fabbricazione, e da qui i divi antichi, i luminosi, i più o meno onnipotenti Dei.
Benchè io sia tendenzialmente politeista, in quanto credo che vi siano vibrazioni specifiche per ogni campo dell'esistenza, credo proprio che gli Dei siano totalmente inconsapevoli delle singole soggettività umane. In questo risiede il mio fondamentale stupore per la religiosità isntintiva della mia razza, fatta di adorazioni, formulette,
raccomandate e lettere a babbo Natale spedite a forze che nemmeno avranno possibilità di intenderci, gravide di richieste per qualche miglioria a quei letamai che chiamiamo vite terrene.
Questo però non esclude la fede, a mio avviso. La modalità è secondo me idiota, ma l'intenzione è comunque una comunione con una vibrazione superiore, che niente ha che vedere con la cieca fiducia nell'inspiegabile, in quanto ciò che ci circonda è già di per se inspiegabile, occore una minima dose di fede per non impazzire già guardando le nuvole o i fiori….
Ma ovviamente, il famoso "bisogno di infinito" di cui parlava il telechierico ha effetti piuttosto scostanti sulla vita e sull'intreccio delle vite umane. Io stesso, per lunghi anni, sono stato morbosamente ossesionato da tale bisogno.
Tutto ciò che costruivo doveva essere eterno. Credo vi siano stati pochi nemici della mutazione agguerriti quanto me. Ma la vita ha sempre la meglio, e se il cosmo è in perenne trasformazione non si fermerà di certo di fronte ad una piccola moleca quale sono io, per quanto convinto potessi essere….
Quindi ad un certo punto la mutazione non solo è entrata trionfalmente nelle mie percezioni, addirittura ha surclassato l'immobilità.
Poi sono entrato in una nuova fase della mia vita, dovuta all'età, e qui è avvenuto il vero scontro con l'altrui percezione di "infinito". Ovviamente io sono sempre in controtempo, avevo biosgno di infinito quando tutti i coetani mutavano ed ho bisogno di mutazione ora, mentre tutti cercano disperatamente la loro tessera immortale del mosaico.
Per l'umano medio, se non è impegnato in progetti sconvolgenti per cambiare il mondo, il bisogno di infinto si traduce solo ed esclusivamente in un concetto: la progettualità.
Gettare avanti la visione, pensando sul lungo termine, allunga la focale umana, lo fa vedere oltre. Imbrigliando tutto ciò in una serie di obiettivi da raggiungere l'uomo sente allungarsi il proprio scopo, si motiva e tende all'infinito.
E ovviamente tutto questo progetto ha il suo fondamento nella procreazione.
Il figlio è, ovviamente, l'unico modo possibile di consegnare qualcosa di se all'infinito.
E qui sono state legnate. Perchè non diventa più possibile creare legami sentimentali con una bomba ad orologeria di questo calibro stretta fra le chiappe.
Tra chi l'aveva già e chi lo voleva mi sono trovato a sposare unicamente il mio isolamento, con la coscienza spietata di avere vissuto situazioni emblematiche, che altro non sarebbero se non il manifesto di quello che succederebbe ugualemente con altri soggetti.
Ma trovo poco di cui lamentarmi, in questo. Piuttosto mi trovo piuttosto perplesso di fronte alla mio non-bisogno di infinito.
Per assurdo potrei anche stare con una persona qualche mese, o anno, godere quanto ci fosse da godere, e lasciarla andare a riprodursi al momento decisivo. Ormai credo di essere così compenetrato dalla mutazione continua della vita, da non avere più alcuna pretesa di duttilità. Io non esigo una vita lavorabile,
non mi interessa sentirmene padrone (anche se spesso preferirei non esserne schiavo) e l'unica cosa che mi interessi ormai è il piacere. Il piacere e l'attimo. Quell'attimo che per lungimiranza ho sempre perso.
Come in una focale fotografica, per mettere a fuoco cose lontanissime si perdono completamente di vista quelle vicine. Il bisogno di infinito proietta il punto di vista in una regione possibilistica lontana, mentre quella reale sotto i piedi rimane irrilevabile.
Ed io sono stanco di mettere i piedi tra rovi, paludi, nidi di serpi e burroni perchè sto puntando il nido delle aquile. Credo che il nido delle aquile sia inarrivabile, il più delle volte, oppure un destino che favorirà se stesso, senza bisogno di uccidersi nel compierlo.
Benchè sia un periodo orribile per la maggior parte degli aspetti, non mi sono mai sentito così accordato con l'universo. Perchè non ho progetti, non ho in mano nessun piccone o martello. Ho le mai libere. Può succedere ogni cosa.
Non mi piego ai bisogni altrui e non pretendo che nessuno si pieghi ai miei non-bisogni. Non voglio costruire una famiglia, non voglio figli. Perchè non voglio nessun infinito fittizio. L'infinito non esiste.
Anche il sole esploderà, la terra arderà, la galassia intera sarà in qualche modo distrutta. Non credo che il frutto del mio seme limiterà tutto questo. E non ho bisogno di nessuno da educare perchè ho passato la vita ad educarmi ed educare. Non ho bisogno di qualcuno da amare incondizionatamente, perchè io non ho mai provato amore incondizionato per alcun essere vivente.
Solo per le astrazioni l'ho provato e lo provo. Gli esseri viventi devono meritarlo il mio amore, non mi interessa se siano madri padri o figli. Io faccio i disegni e poi li accartoccio e li butto nel cestino se non vengono come vorrei. E assicuro tutti gli increduli che non tratterei la carne della mia carne in maniera differente.
Preferirei fare da mentore ad una bella ventenne che ad un bambino, se proprio dovessi scegliere. E non è cinismo, credo. Credo sia una profonda conoscenza di me. Un lavoro che la maggior parte degli umani evita accuratamente, e mette su famiglie a cazzo perpetrando il trauma e l'odio insiti nella nostra razza verso quell'infinito che tanto vorrebbe assaporare.
Non potendo essere certo di creare quelcosa di perfetto, non lo creo. Per le merdate mi occupo di scritti, musica e disegno. Ma sono piuttosto sicuro che queste cose moriranno con me e saranno servite unicamente a tenermi compagnia. Ma non perpetro la vita imperfetta, non per un mio bisogno egoistico di sentirmi infinito.
Su una cosa io e l'umanità non ci capiremo mai. L'umanita considera la procreazione l'atto di generosità sommo. Per quanto mi riguardi è l'esatto contrario.
Come cantavano gli "Avanzi Suond Machine": "La vita è preziosa, chi lo ha mai negato? peccato che non ci sia niente più a buon mercato".
Cerco di non sopravvalutare la vita, per non perdermi nell'infinito. Forse io sono il più egoista degli esseri viventi, perchè mi interessa lavorare unicamente sulla mia, di esistenza.
E se è così…beh… chi se ne frega…..

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Per tutti gli Dei quanto è difficile.
Quanto è difficile fare quello che sia giusto. Difficile quando sia giusto per noi, incredibilmente difficile quando lo sia per gli altri.
Potremmo anche sbattercene altamente, e giustificarci di umanità. E' prassi assai comune, ed in fondo assolve più di un prete automatico. Ma i veri mangiacacca lo sanno, che l'autogiustificazione è una masturbazione per gli incoscenti.
Bello sarebbe, saper godere quando è il momento di farlo e pensare che il domani sia solo ipotetico. Un vizio di gioventù che guarisce con il tempo. Per chi non sia mai stato giovane solo una leggenda, tramandata oralmente da altrui voci.
In realtà, come dice Cohen, ho provato ad essere libero alla mia maniera, anche ferendo chi sia entrato nella mia tana.
Innocente come un animale, il più delle volte sono riuscito a ferire. Ma non ho mai posseduto tanta innocenza bestiale da riuscire a godere.
Il personaggio, alla fine, ha ingoiato l'essere umano. Questa armatura è una vergine di Norimberga, ed è anche di qualche taglia troppo piccola. Per quanto scinitlli all'esterno, dentro è un carnevale di sangue e carni lacere.
Non poserò mai il culo sulla sella di un drago, questo è certo. Ma la mia pelle è un arabesco di cicatrici. Forse l'unico sospetto di cavalierato ritrovabile in questo mondo. Ho rinunciato sempre per il bene dell'equilibrio, perchè dopotutto ho un pensiero Asimoviano:
per quanto sia tremenda una situazione di equilibrio, il caos che conseguirà alla sua rottura sarà persino peggiore e molto più duraturo. Quindi, alla fine, tengo le cose in equilibrio. Il più delle volte con lo scricchiolio di muscoli e nervi, e come unica ricompensa il sospetto di fare la cosa giusta.
Malati di eroismo quotidiano….
Potevo mentire e tutto sarebbe stato molto più facile. Ma non è nella mia natura, e volendo proprio essere oggettivi, è più lacerante essere sinceri. Questo crea tutto il dramma e la tensione drammatica di cui abbisogni un mostro come me per esistere.
Mentre guardavo il piatto finalmente ricolmo di tutto ciò che avrei voluto mangiare mi sono accorto che quei piccoli oggetti bianchi sparsi per il tavolo erano i miei denti.
E così mi sono limitato ad annusare, senza dare alla vita la soddisfazione di lasciare cadere una lacrima di rabbia sul piatto più ricco. Forse pregando che arrivasse un animale affammato a fare sparire tutto. Davanti ad un piatto vuoto, essere senza denti, non è poi così importante.
Lo dissi tanto tempo fa che non mi sentivo a mio agio, che non avevo le zanne od il fiuto del mastino randagio. Io sono un cane da casa, non da caccia. Un essere imbecille come un Alano, che sembra un animale da ranch, invece è una bestia da salotto.
Un soprammobile di due metri. E come un Alano devo poter uscire a pisciare, regolarmente. Non veramente da casa, non veramente da esterno….
Così ho brandito la verità come una spada, senza ricordarmi quanto fosse più affilata di quest'ultima. E alla fine sanguinavano un pò tutti, io compreso. Forse perchè è meglio sapere di sanguinare e cercare una benda, piuttosto che fingere di non essere feriti, e morire stupidamente sorpresi.
Io sono il figlio delle mie scelte. Le strade che mi sono precluse portano cancelli sbarrati con lucchetti forgiati da me. Quindi non ho volgia di lamentarmi di me stesso, questa volta. Ne della vita, ne degli altri.
Non c'è altro da fare che sorridere ironicamente e sperare di essere immune, quando sei una vipera e ti mordi la lingua. Ma nessuno è realmente immune a se stesso.
Non morirò per i miei veleni, ma mi gusterò ugualmente l'agonia. In attesa di un attimo di nuova distrazione in cui mordermi la lingua.
Ho rinunciato, e nemmeno come si deve. Perchè nemmeno a fare il martire, in fin dei conti, brillo o primeggio.
Ha ragione De Gregori, ognuno è fabbro della sua sconfitta, ognuno merita il suo destino. E tutto quello che non farò e non sarò, in parte l'ho anche scelto. Molte cose nella maggior parte, se non totalmente.
Mi sono chiuso sulla cima di una torre ed ho buttato via la chiave, per essere sicuro di star dentro. Se arriva qualcuno con le ali, allora ringraziamo gli Dei e non stiamo a volere anche un particolare colore di penna.
Mi è stato chiesto se è attraverso queste decisioni così apparentemente autodistruttive e tragicamente difficili che si diventa adulti. Io ho risposto che in fondo, io sto cercando proprio qualcuno che non voglia crescere. Che rimanga con me a giocare.
Ma credo di essere l'ultimo dei bimbi sperduti. Gli altri prima o poi decidono di crescere.
Io mi tengo stretto alla mia armatura di stagnola ed alla mia spada di legno. Imbraccio il mio scudo di coperchio di pentola e scendo in guerra contro draghi di pelouche e cartone.
E cerco di fare ciò che sia giusto più degli adulti. Perchè solo un bambino può credere a tal punto di poter essere un cavaliere.
Non pensare di esserlo. Non cercare di esserlo.
Ma esserlo e basta.
Le ferite però sono uguali per tutti, adulti e bambini.
Oh Dei…come diventa faticoso giocare, con il tempo…….

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Piove di nuovo.
Sono appoggiato allo stipite della porta, guardando il giardino flagellato dai rovesci celesti e gli alberi scompigliati dal vento.
E' umido, quasi freddo.
Dovrei essere felice, e non lo sono.
Un attimo di lucidità riporta sempre il punto di vista ad una comprensione più ampia di quella ristretta della soggettiva umana. Se fossi li fuori, sarei bagnato, infreddolito e piuttosto incazzato.
Dovrei essere felice, e non lo sono.
Ho una casa spaziosa, asciutta.
Posso scaldarmi quando è freddo, posso stare asciutto quando diluvia. Non sono lussi da poco.
Eppure….
Tutto questo tende sempre a scomparire.Tutto ciò che sia assodato tende camaleonticamente a prendere il colore impastato dello sfondo, diventando ininfluente, ridondante e scontato.
Il mio culo all'asciutto è un lusso sfrenato, per qualsiasi organismo terrestre, ed anche per molti esseri umani come me.
E non riesco a pensare ad altro, mentre osservo le fronde scosse dal vento, se non alla mia immane ed onnipresente tristezza.
Dietro il mio culo asciutto un frigorifero pieno di ogni ben di dio ronza placido, a pochi centimetri da un altro frigorifero pieno di ogni ben di dio.
Ed io sono l'essere più infelice dell'universo.
A volte, veramente, mi consumerei i piedi a forza di prendermi a calci nel culo.
Mi parevano scontate tante altre cose, divenute poi così importanti, una volta sepolte o abbandonate. Ci sono cose che mi mancano, quasi tutte abbandonate da me, alcune delle quali assolutamente irrecuperabili.
Ormai la mia vita si divide tra la noia e fatica del lavoro e la noia e basta del mio tempo libero. La vita mi risulta insopportabilmente noiosa. Ed insensata.
Sto aspettando il Mago, qui sulla porta dle giardino, davanti alla pioggia. Il Farmacista ha figliato, la Torcia Elfica ha espulso la creatura.
Il primo dei nostri amici, della nostra compagnia, a diventare padre.
Il Mago si è sposato.
Forse che sia questo ciò che dovrebbe dare un senso alla vita? Che io non riesca a desiderare tutto questo mi condanna ad lunghissimo nastro di giorni srotolati di fronte, tutti ugualmente grigi e bidimensionali?
Che le sole cose che donerebbe biologicamente un senso di pace e utilità mi siano così invise?
Io detesto i nascituri e aborro i matrimonii.
Certo, sono felice della felicità dei miei amici, ma non a livello profondamente empatico. Non è condivisone della passione. E' solo un rallegramento.
Ma in quel piccolo, piccolo, essere appena vivo io vedo la promessa di un nuovo umano sfacelo. Come se ogni volta potessi vedere me, come ero in quel momento, ed un io del futuro mi potesse urlare quanto sarebbe stato più saggio impiccarsi con il cordone ombelicale.
Allora non lo sapevo, ma per i nuovi venuti…. perchè correre il rischio?
Tutti allegri perchè arrivato qualcuno nuovo. Io già triste per lui.
Forse io sono solo questo: un essere orribilmente triste.
Un essere completamente legato all'essenza di un concetto. A Rocco è toccato il sesso, a me, la tristezza.
Che culo…
Dovrei essere felice. Almeno un pò. Come il minimo di un motore.
Perchè ho il culo asciutto, il frigo pieno e un letto comodo.
Ho una casa piena di libri computer, matite, fogli, miniature, colori, chitarre, canzonieri…. e voglia di far niente.
Niente.
Vado a cagare il cazzo agli altri, per far finta di essere vivo. O alle altre, più spesso.
Come un mendicante che cerchi un'emozione.
Ma la verità è che sono il sottoprodotto di un mondo del cazzo, che ci ha dato tutto senza darci la gioia di averlo.
Sono ancora lo stesso bambino dell'era industriale, dopo trent'anni. Mi serve un giochino nuovo o mi annoio. Oppure tutto ciò che ho mi sembra inutile e brutto.
Parlo sempre male dei ricchi e del loro mancante senso del limite, senza spostare proporzionalmente il punto di vista.
Io non sono diverso nei confronti di qualcun altro.
Non ho pace perchè non riesco ad averla, non perchè io sia così sfortunato come mi piace sempre ricordare.
Piove. Alla pioggia non frega di niente e nessuno. Cade ugualmente su tutto.
Un giorno di quasi estate che sembra autunno, un giorno come la mia vita.
Poteva essere luminoso e caldo, invece è freddo e zuppo.
Dovrei essere felice.
Ogni tanto.
Stare tranquillo.
Piovere ugualmente su ogni cosa.
Sono troppo egocentrico per spostare il punto di vista, troppo viziato per non avere sempre un nuovo desiderio, troppo stupido per godermi l'attimo.
Domani mi annoierò e faticherò. Oggi mi sono solo annoiato.
I fine settimana non si distinguono nemmeno più dal resto della settimana. Un tempo gioivo per non aver puntato la sveglia e dormire fino a tardi. Adesso mi sveglio mezz'ora dopo, rispetto a quando l'avrei puntata se avessi lavorato.
E inizio a chiedermi cosa fare, per fare venire ora di pranzo……
Alla nuova venuta auguro solo di cuore di non affrontare la vita come ho fatto io.
O subirla…. che mi pare più corretto…..

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E' un coro di oscenità e menzogne, è un coro di oscenità è menzogne.
Tutto è teatro, tutto è teatro.
Scritto male, scritto bene, assurdamente assurdo e comicamente tragico. Appoggiato ad un muro, svaccato su una panchina, seduto ad un bancone… come hai recitato bene la tua parte di pagliaccio triste!
Che intensità, che interpretazione, che immedesimazione. Hai sudato più di una rockstar sotto quel cerone bianco, e sei stato ciò che non sei, per più tempo di quanto dovesti.
Ed ora, chi sei?
Sei salito, arrampicandoti, su palcoscenici altrui. Ti sei inserito in altrui duetti, cercando un controcanto di note gravi alle quali spesso non arrivavi. Perchè la natura ti ha dato talento senza darti abilità.
Non sei destro e non riesci nemmeno ad essere sinistro.
Perchè non sei inquietante ne minaccioso.
Hai lo stesso carisma di uno scudo umano, di un pupazzo da crash test, come villain.
Ti sarebbe piaciuto…..
…che i riflettori avessero puntato su di te.
Ma non era così. Eri tu che rincorrevi il loro ovale luminoso, sbattendo contro le coppiette che limonavano nell'ombra. Un caprone sudato vestito da giullare che insegue un cerchio di luce in un teatro buio.
E ti piaceva crederlo, di avere delle carte da giocare. Mentre il gioco si svolgeva intorno, sotto , dietro e al di fuori di te.
E dall'ombra ti pervenivano le risatine soffocate, i mugolii, i sussurri dei burattinai.
Il tuo istinto sapeva tutto, come se fosse luce accecante quell'oscurità vellutata. Vedevi e non volevi vedere. Capivi e non volevi capire.
Sai che tutti mentono. Omettono, distorcono, travisano e saltellano sulle semantiche. Il passo doble delle falsità ti circonda con uno scapliccìò soffocato.
Stanno ballando intorno al capocomico, le menzogne in tutù.
Chi, mai, commediografo sano di mente, punterebbe sulla realtà il riflettore?
Tu, solo, cerchi di essere onesto su un palcoscenico. Tu vuoi diventare il pagliaccio che impersoni, mentre tutti gli altri sanno che finito il lavoro il costume cadrà e rimarrà un miserrimo umano qualsiasi.
Ma tu non lo accetti. Tu vuoi essere commedia sempre. Vuoi che il sole sia il tuo riflettore, che il mondo sia una platea intenta ad osservarti.
Ma non è così.
Non una stella guardando verso terra si accorgerà di te. Gli sguardi che hai creduto rivolti a te guardavano le quinte, le seste, i camerini, l'uscita di servizio, i gatti in amore nel vicolo dietro il teatro.
Ogni cosa tranne te.
La verità è che non sei stato scritturato. Sei un debuttante allo sbaraglio.
Perfino ora, segui le tue speranze come l'aroma di una cucina lontana. Ti brontola lo stomaco perchè non mangi da troppo. La saliva offusca la ragione, in molteplici maniere.
Speri e non percepisci, annulli così l'unica abilità che veramente tu possieda.
Il tuo istinto, il tuo intuito, sapevano benissimo quello che stava succedendo. Sapevi il copione prima che gli attori aprissero bocca.
Ma era più bello illudersi che il copione fosse stato riscritto, per permetterti un'entrata trionfale. A sorpresa.
Sorpresa sorpresa:
La realtà è esattamente come l'avevi percepita.
La tua immaginazione l'ha edulcorata. Ed è cancerogena, maligna e tentatrice come un doclificante, la tua speranza.
Ora, visto che ci sei salito a forza, su quel tavolato, o caghi o tiri su le braghe.
L'unica cosa rimasta da fare è il tuo numero migliore, l'unico che ti riesca veramente.
Perchè se osservi attentamente, ti accorgerai di non essere in un teatro.
Sei in un giardino.
Sei su un piccolo piedistallo alto una spanna.
Il tuo sangue è un'arabesco di vene ed arterie di ghiaccio vestroso e fumante.
Le tue carni sono liscia, levigata, compatta e fredda pietra.
La statua.
Il personaggio definitivo, l'eternità del protagonismo.
Il più difficile dei ruoli.
L'eco della menzogna o della scusa giunge ovattato e distorto ai tuoi timpani di sasso. La pioggia non ti raffredda o scioglie.
Il tuo numero ora è fermo, sospeso nel corso del tempo; che tu attraverserai. Silente ed immobile.
Attendi un tentacolo d'erba, che avvinghii un tuo calcagno. Attendi che salga, che ti cinga i fianchi, che ti faccia sentire stretto e portante.
Una piccola cosa viva con la quale farai l'amore con assoluta fermezza e silenzio.
Fin quando non ti sbriciolerà.
Perchè se davvero vuoi fare il cavaliere, allora devi ammettere che l'unica vera funzione del cavaliere stia nel perdere da eroe, non nel vincere.
Egocentrico come sei, vuoi solo ruoli che sfiorino l'impossibile.
Perchè attendi l'unico applauso a te diretto che non sentirai mai:
IL TUO.

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Vorresti essere pulp, ma non sei pulp.
Non lo sei neanche un pò.
Sei troppo poco interessante per esserlo, e non hai il fisico del ruolo. Anche essere un brutto, od un cattivo, richiede un carisma che natura non ti ha concesso.
Guardi quello scorcio postnucleare dietro alla tua ditta. Ci sono ammassi di lamiere e bidoni arrugginiti, contorti e abbandonati come scheletri di organismi antichi, in un museo a cielo aperto.
Dietro di essi un'autostrada per chissà dove, con mostri ancora vivi ed ugualmente metallici che fagocitano asfalto e scorreggiano gas serra.
Il vento di Maggio tormenta un qualche residuo di reticolato mozzo, che suona come un violino urlante, o grida musicalmente, con il suo timbro di ferro cavo, un pò resistente, un pò malaticcio.
Stai vuotando l'immondizia, uomo.
Butti via quei sacchi nel container e ti chiedi come mai il container non ti risucchi, come mai non risucchi tutto.
Tu, furgonato, autostrada, fossili metallici e vento primaverile.
Ti chiedi se il container non sia un destino ineluttabile, e uno ancora più oscuro attenda dopo di esso.
Sei da buttare anche tu, e lo sai. Lo faresti volentieri.
Hai passato l'ennesimo week end a non far succedere niente ed ogni singolo istante a digrignare i denti perchè non succedeva niente.
Le unghie del tuo gattino ti hanno dato di nuovo l'esatta proporzione tra l'ideale ed il reale. Il piccolo batuffolo candido che caga come un mitragliatore requiem e non ti molla un secondo.
Che ti ha preso per la mamma, per la cassetta, per il tronco su cui farsi le unghie….
Il tuo gatto è come un tuo ipotetico amore.
Passeresti la stessa quantità di tempo a coccolarlo  e strangolarlo.
Perchè l'unica cosa che hai di pulp, tu, uomo dell'immondizia, è la solitudine. E forse quella cazzo di camicia fuori dai pantaloni.
Il tuo computer riflette la realtà di un pensionato che ingrassi piccioni. Sei perfettamente collegato in tempo reale con il vuoto siderale.
In realtà vuoi star solo e sei perennemente male accompagnato, da te.
La ruota della fortuna non gira nemmeno oggi, pensi. E forse sei tu il chiodo che ha fermato tutto il meccanismo. O forse hai finito le tue possibilità di giocare ed ora ti devi trovare un lavoro.
Un lavoro da ragioniere, per fare tornare i conti ogni mese con quei quattro spiccioli del cazzo che hai a disposizione. Sei talmente povero, ormai, che nemmeno puoi sperare in una via d'uscita alcolica.
Che venderai il gatto per comprare il mangime del gatto.
Non sono mai stati tutto, i soldi, per te. Ma ora sono veramente niente.
E mai niente fu così nulla.
Cerchi di darti un tono da orientale animista, e sembri una pentola di fagioli insonorizzata. Bolli lo stesso, dentro, anche senza il consueto brontolìo.
Forse stai pestando davvero i piedi a tutti, anche quelli che ti proteggono.
Nella tua ansia di ottenere di più, ottieni sempre di meno. Sei la statua trionfale del debitore eterno, l'eroe di questo nuovo millennio.
Forse il meccanismo occidentale che tanto disprezzi ti ha infettato in campi della vita al di sopra di ogni sospetto. Anche i tuoi sentimenti sono passibili di critica da status symbol.
Vuoi un rovescio perchè la medaglia mostra un teschio ghignante, e nemmeno caricaturale, nemmeno simpatico. Sembra affamato e sembra che guardi proprio te, uomo.
Da quanto sei nel day after del pattume?
Stai gettando immondizia all'infinito, sopra altra immondizia.
Anche chi sembrava spalare diamanti parla come te.
Allora non c'è un senso…..
Aspettiamo tutti che il container chiami il nostro nome.
E' solo che per te l'attesa è lunga. Ed in fila con gli altri hai ancora l'ultimo guizzo di vergogna, mentre ti senti mal vestito e spettinato.
Non sai più se ti stai comportando bene o male, e con chi. La tua noncuranza deve essere odiosa, subita dall'esterno. Se ti facessero ciò che fai a loro ridipingeresti questo piazzale con l'epidermide delle loro facce.
Ingoi quello che devi ingoiare, anche stoico. Ma una volta nella tua tana rigurgiti ai tuoi piccoli quel bolo putrescente, ben condito con l'acido del tuo abisso gastrico.
Avveleni chiunque sia più debole. Per la rabbia dell'uccelino in gabbia.
Filastrocche da asilo.
Sembra tutta una filastrocca da asilo. Le voci che hai intorno non sono più interessanti.E' un asilo fatto di milioni di adulti, senza educatori.
Non ti va più un cazzo di fare l'educatore. Forse non hai nemmeno niente da insegnare.
Il tuo spirito vola così alto da essere in fuori gioco.
Goditi questo momento di poesia decadente. E' tutto quello che ti rimane.
Il tuo egocentrico spirito, il suo nutrimento di immagini e astrazioni, la tua epica lotta contro te stesso.
Sei un organismo autonomo, sei il padrone assoluto del rusco.
Un altro relitto in un polveroso piazzale di relitti, immobile al fianco di una sfrecciante autostrada.
Non buttarti via. Non ancora.
Troppo facile….
Goditi.
 

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Forse il silenzio è l'unica cosa illuminante rimasta, sia in fase di produzione che di fruizione.
Nel silenzio sono non-presenti tutte le domande e tutte le risposte possibili, mentre nel suono solo alcune sono presenti in ogni momento. Il silenzio ha una sua completezza oscura, è un "tutto al contrario".
Non dire niente nemmeno a me stesso, su queste vecchie pagine, mi è parso più saggio che dire cazzate o lanciare strali, ultimamente.
Strali che sono sempre i soliti, perchè la vita è la solita, le situazioni sono le solite…. e tutto è bloccato in una fase senza tempo, una fotografia in tre dimensioni che scivola lentamente su un piano inclinato verso l'orlo di un abisso.
Tutto il quadro si muove inesorabilmente in quella direzione.
Non c'è illusione di primavere in queste vecchie ossa stanche.
C'è un inverno antico, che si nasconderà sotto le carni e striscerà sotto la pelle, con i modi discreti di un parassita travestito da simbionte. Affronterà il sole della primavera facendo finta di essere svanito, ma sussurrando continuamente il suo requiem senza pause.
Devo scrivere perchè nella settimana in cui rompi tutto, devi scrivere.
Scrivere quantomeno che l'unica pulsione rimasta sia stata quella di imbracciare un possente martello a due mani e spaccare con tutta la forza rimasta l'impalcatura che circondava l'essere.
Pulire con un fuoco inquisitorio le caselle del calendario da tavolo, togliendo tutti gli appuntamenti fissi e anche quelli saltuari.
Anche quelli più piacevoli.
Avere voglia di andarsene, unicamente, di preme un tasto e cancellare ogni cosa.
Riavviarsi come un computer impallato.
Accorgersi da soli di quanto ci si sia impiccati con i lacci delle proprie scarpe, chiedersi perchè e come si sia riusciti in un'impresa così colossale senza accorgersene…..
Viene il momento di chiedersi cosa cazzo si stia facendo. In molteplici campi della vita.
Non che debba esserci un progetto salvifico o un'impresa eroica o la vita stessa sia sprecata, ma anche continuare a reiterare il nulla nelle medesime modalità è assolutamente diabolico. Almeno si deve cambiare perdita di tempo, ad un certo punto!
Così giunti alla massa critica, l'epurazione è partita da sola. Non con cattiveria, ma con rabbia sicuramente.
Non una rabbia verso gli altri, però. Una rabbia contro me stesso, contro la mia controreazione che mi ha portato a buttare energie ai quattro venti, nella vana speranza di fare almeno un centro tirando un intero secchio di frecce.
Una rabbia per le cose che non possono essere cambiate, perchè la struttura stessa della vita le blocca. E l'odio ancora più bruciante verso ciò che sia rinunciabile, ma rimanga li, inalterato e vampirico per i miei stessi sensi di colpa.
Perchè un tempo facevo fatica ad accettare di fare le cose, ora faccio fatica a declinare l'invito.
Nella furia terrorizzante delle occasioni perdute mi sono gettato fra le braccia di tutte le possibilità limitrofe, dove il mio cavalierato ottuso e compiaciutamente martirizzante si trovavo poi incatenato, senza poterne uscire.
Non sono stato saggio a tal punto da valutare prima, cosa stessi facendo, e ancora meno saggio nel non tirarmene fuori, quando ormai ogni fibra del mio essere fosse consapevole della rottura del rapporto.
Alcune cose non posso romperle, al momento. E mi vessano ogni giorno, per quasi tutto il giorno, che sembra sempre di più un inferno da colonia penale, che cede il passo ad un ritorno mesto alla mia bara a tre piani, dove i morti contano di più dei vivi, e se la passano notevolmente meglio.
E la paura, la squallida paura del deserto. Di trovarmi nel vuoto, dopo tanta distruzione, e di scoprire che non c'è nulla da ricostruire, nulla da vedere nascere.
La morte, intesa come fine delle cose, fa paura a tutti, porta a lacrime e disperazione. Ma io non ho mai versato una lacrima per ciò che muore, come è naturale che ogni cosa faccia.
Io verso lacrime sanguigne quando mi accorgo che nulla stia più nascendo.
La non-vita è ben peggiore della morte. Tutto morirà, anche la stracazzo di galassia, un giorno.
Questo nostro correre contro il tempo non può avere vittoria, e l'illusione somma pare che stia nel futuro. Mentre dovremmo curare, e molto bene, il presente.
Il mio presente è di nuovo arrivato ad una morte-rinascita. Uno di quei cicli della vita, fatti di eventi, cambiamenti, rotture e costruzione che interessano tutti. Il mio, da ormai tre o quattro anni, è in questo periodo.
Non so per quale motivo, ne suppongo mi verrà svelato….ma comunque arriva da solo e non gli si sfugge.
Ora vorrei di nuovo mischiare le carte.
Perchè non sono triste o depresso, ma nemmeno ottimista. Sono pronto. Che è molto, ma molto differente.
Non mi faccio illusioni per il bene o per il male, ma sono reattivo, e sopratutto sono molto protettivo nei miei confronti.
Nel senso che cercherò di tagliare le gambe a qualunque situazione che si riveli una sacrosanta rottura di coglioni.
Perchè vivo immerso in rotture di coglioni tutto il santo giorno. Dal lavoro ai problemucci spiccioli della vita, come una gomma che si buca o un tubo che perde.
Vorrei che almeno il mio poco e sacrosanto tempo libero fosse affollato di cose piacevoli, o piuttosto di UN GRAN BEL CAZZO DI NIENTE.
Tanto c'è sempre qualche videogioco a salvarmi, male che vada. Che a videogiocare non mi sono mai sentito di sprecare tempo e non me ne fotte niente della realtà, se il videogioco si rivale più stimolante (non che ci voglia molto..).
Io sono fortemente convinto di essere stimolante, a quanto pare. Lo dice la legge di mercato che vede torme di persone intente a rompermi i coglioni per godere della mia compagnia.
Ma ben poche di esse si sono mai preoccupate di essere stimolanti per me. Come se io fossi un servizio celeste, uno spettacolino vivente per diluire la noia dell'esistenza.
Ma su una cosa ora devo riflettere: sul mio valore.
Perchè svendermi o regalarmi è una mia abitudine, che ho impressa nel DNA, che scorre nelle vene della mia famiglia da sempre. E che io, per indole, ho sempre coltivato.
Ma è ora di chiedersi perchè tutti mi esaltino più di quanto faccia io, tutti mi stimino più di quanto faccia io, tutti mi credano più di quanto faccia io.
In parte, mi stanno convincendo.
E se c'è un qualche dono raro in questo spirito…. beh allora come tutte le cose rare avrà un valore alto, ed un prezzo conseguente.
Ed è ora di finirla con chi lo voglia gratis, con chi l'abbia da così tanto tempo da crederlo ormai dovuto ed assicurato.
Pretendo fatica nei miei confronti, pretendo sforzo e lavoro, perchè il mio essere è tale proprio perchè è continuamente sotto sforzo.
Uno sforzo volta a capire, ad elaborare, a relazionare, e a rendere tutto questo fruibile e divertente per tutti.
Uno sforzo che tiene spesso le cose insieme e che le vede crollare appena cessi un attimo.
Pretendo qualcosa.
Perchè io non smetto mai di pretendere da me stesso, perchè trovo che sia l'unico modo di porsi con coscienza pulita e presenza stimolante.
Chi mi da per scontato mi perderà. E come molti già hanno fatto, scoprirà che la vita senza di me può essere perfino più insopportabile (n.d. Lestat).
Sono sfinito dall'essere trattato come un panchinaro, come un oggetto da dispensa utile ma solo alla bisogna, come una seconda ipotesi, come la parte mancante del proprio partner, come il pagliaccio canterino o il baby-sitter degli imbecilli, come il comico senza lacrime, come l'idiota buffo e divertente.
Mi adoperano come una chiave inglese già per tutto il giorno.
 Alla sera, chi vuole il chierico….. CHE PREGHI!

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Caro amico sconosciuto,
getto tra i flutti della rete la mia moderna bottiglia telematica, non sapendo dove questo mare indefinito la possa portare, ma questo, in fondom non è importante. Ciò che importa è che vi sia una piccola testimonianza vagante del pensiero umano o, quantomeno, di ciò che per me è considerabile come tale. Se questo messaggio sia in grado di attraversare lo spazio ed il tempo non mi è dato sapere, l'unica cosa a me nota è il bisogno di lanciare ad una immensità ignota ciò che nella mia limitatezza sia conosciuto.
Ho trentatrè anni e vivo in Italia.
Il mio paese è stato patria e genitura di menti illustri e geniali, ha conosciuto imperi, guerre, divisioni continue ed infinite lotte intestine, è stato grande a volte, piccolo per la maggior parte del tempo e quasi sempre schierato a favore di chi lo favorisse.
E' abitato da esseri umani, come me e te, e questo non può certo giovargli, ma ciò che mi rende atterrito, ultimamente, è la connaturata abilità di tali esseri nell'esercizio delle più basse e controproducenti attività sociali.
Non è facile, posso assicurartelo, tentare di mantenere un pensiero civile ed il più possibile oggettivo all'interno di una trincea in fiamme.
Mi è stato insegnato, sotto la possente cupola ideologica dell'aura cristiana che avvolge la cultura generale di tale paese, ad essere attentamente rispettoso delle altrui libertà, il più possibile giudizioso negli atteggiamenti personali e assolutamente critico nei confronti di me stesso. Questo avrebbe dovuto portare, nella favola che mi venne narrata in infanzia, alla mia realizzazione come abitante del mondo, alla condanna di una fatica incessante ma ben ricompensata per la crescita della mia collettività e ad un riposo meritato nell'ora del mio stesso tramonto.
Posto che io non sia mai stato d'accordo nemmeno su tale favola, non ho mai trovato motivo di preoccupazioni generali, additando me stesso quale entità inadatta, ma facendo salvezza del sistema costituito; il quale, pur con numerosi attriti ed inceppamenti, sembrava funzionare.
Ma tutto questo, sempre che sia stato, non è più.
Nel mio paese regnano unicamente sogni distorcenti, incubi stordenti e chiacchiere invadenti.
Non vi è alcuna prospettiva per alcuno, non vi è alcuna evoluzione, non vi è alcuna luce che segnali l'uscita dall'ipotetico tunnel. In questa dimensione viene a mancare ciò che più di ogni altra passione mantenga in vita i membri della nostra razza: la speranza.
Io non so, caro amico ipotetico, in quale paese tu viva. Potrebbe essere persino peggiore del mio, ma stento a crederlo.
Pur sotto il giogo delle peggiori dittature, delle forze più stritolanti e totalitarie o dei regimi più spietati ed invasivi rimane ben visibile la traccia del potere ed il suo effetto.
Rimane allo schiavo l'unica vera occasione di salvezza rimastagli: la visione della propria catena.
Nel mio paese è stato possibile travestire da libertà la costrizione e da libera scelta la coercizione.
Siamo immersi in un liquido, il quale non conosce porte o finestre. Esso trasuda, gronda, gocciola, persino con lentezza esasperante, attraverso le pur minime fenditure, arrivando ad attaccare il cuore più profondo dell'umana coesistenza: l'empatia.
Senza empatia non può esistere civiltà, perchè essa è il veicolo principale della compassione, nel suo vero significato di "condivisione della sofferenza", non nel significato snaturato oggi in uso di "pietà per il più sfortunato".
E' possibile avere compassione solo se si possiede la capacità di condividere il sentimento. Quando noi esseri umani vediamo un altro umano soffrire ci sentiamo subito disgustati e spaventati, perchè l'identificazione è automatica.
In questo paese, di norma, non è molto in voga tale identificazione.
Per natura l'italiano trova più realizzazione nel sentirsi superiore agli altri, per furbizia o per possibilità, trasformando appunto l'empatia in antipatia.
Sebben sia un termina dall'accezione negativa, l'antipatia è divenuta oggigiorno il vero stendardo sotto cui si raduna la valorosa ciurma dei vittoriosi, in questo paese. Più il livello di inciviltà si innalza, più il disprezzo delle regole diviene manifesto, più la barocca manifestazione del potere diviene oscena e plateale, più si viene innalzati.
Questa perniciosa capacità degli italiani è rilevabile ad ogni stato di aggregazione civile, non solo nei macrosistemi enumerati in milioni di soggetti. Ho sempre rilevato questo arrivismo bieco e macchiavellico in ogni gruppo sociale a cui abbia aderito. Non ho mai rilevato una maggiore capacità di guida, da parte di coloro che ambissero a posizioni superiori, ma unicamente il fregio stesso dello status ottenuto. Nessuno che io abbia visto guidare una collettività lo faceva per merito di capacità. Guidava perchè sapeva di essere al comando, non era al comando essendo in grado di guidare……
Questo ha generato ovviamente un'idiosincresia, nei confronti del potere che avrebbe dovuto governare.
Abbiamo sempre vissuto in un paese che giudicava lo "stato" come un nemico, un cancro alieno che attentasse al nostro benessere. Ben pochi hanno mai parlato dello stato utilizzando l'unico pronome che avrebbe spiegato tutto: "NOI". Ognuno era "stato", in uno stato che era percepito come "altro" ed "opposto".
La volontà quindi di aggirare lo stato, è sempre stata manifesta ed ottimamente perseguita, persino quando questo stato non fosse altro che la comunità in cui si vivesse. Tutti hanno pensato di fregare un'entità superiore, aliena e terribile, mentre fregavano il mondo che preparavano per i propri figli, e se stessi.
L'attaggiamente italiano è del tutto basato sull'invidia.
Ci si oppone o si tenta l'emulazione unicamente di chi generi sentimento d'invidia.
Chi ha capito tale effetto non ha perso tempo nell'allungare le mani sullo scettro del potere, facendo dell'invidia una nuova religione. Ha creato nuovi santi e divinità decadenti, per guidare i desideri e tenere le menti impegnate in faccende senza alcuna conseguenza od importanza per l'evoluzione umana.
Mentre ti scrivo, le mie orecchie grondano di parole ridondanti, che sento vomitare dagli schermi e dagli altoparlanti senza tregua. In questo paese il chiecchiericcio idiota e pettegolo è ormai considerato la più alta forma di dibattito civile.
La confusione, che è sempre stata l'arma più affilata di chi si trovasse alle leve del comando, è divenuta un vero caos primordiale, un brodo indistricabile in cui galleggiano frammenti di tutto e nulla, alla deriva.
Su questo brodo c'è chi sfreccia con barche di lusso e chi affonda annaspando, ma non è nemmeno questo l'importante, perchè così è sempre stato in ogni società umana ed ho perduto ogni illusione che possa essere differente il destino della mia (mio malgrado) razza.
Ciò che mi toglie ogni speranza è che persino la più piccola cellula di questa entità-stato sia stata attaccata e contaminata da questo virus.
Ormai vi sono solo due tipi di codardi: chi non riesca a frenare il proprio impulso di soverchiamento e chi non faccia altro che frenare il proprio impulso di sovversione.
Io appartengo alla seconda categoria. Non perchè io sia un santo, ma semplicemente perchè ho vissuto e sono stato educato in maniera differente.
Ho sempre creduto che la modesita fosse la prima chiave d'accesso alla simpatia. Non ho mai fatto vanto dei miei successi, ed ho sempre messo ben in evidenza i miei fallimenti.
Ho sempre creduto, e credo ancora, che gli esseri  umani si misurino sulla coerenza nei confronti delle proprie idee, comunque e qualunque esse siano. Ho sempre creduto che la  realizzazione di un essere umano passasse non solo attraverso ciò che egli ottenesse, ma sopratutto attraverso ciò a cui rinunciasse.
In questo stato, rinunciare a qualcosa in favore di un'idea, è un concetto talmente avulso da sconfinare nella pazzia.
In questo paese colui che rinunci spontaneamente a qualcosa di desiderabile perchè eticamente o moralmente scorretto viene etichettato come "coglione".
Vi è una forma di adorazione, nemmeno troppo sotterranea, per chi borseggi con stile ed un disprezzo piattamente retorico per chi si opponga con l'astensione. (Nel mentre si chiede di rinunciare ancora un pò a chi abbia sempre dovuto farlo, mantendo ben alto il livello di allenamento.)
Il potere, in questo paese è fatto unicamente di forma, non di sostanza. E' fatto di immangine, non di contenuto.
Il potere deve essere mostrato e dimostrato, senza freno all'atavica fame di possessione del "tutto".
Caro amico lontano, non so come funzioni il tuo paese, non so chi tu sia e come tu viva.
Vorrei solo dirti che non credo affatto che le mie idee fossero sbagliate. Credo che in questo paese sia sbagliato principalmente avere delle idee, perchè si è condannati ad una sofferenza senza fine e senza colpa.
Vorrei solo un attimo di verace compassione, da parte tua. Vorrei poter credere che il pensiero di una mente libera, anche in un mare virtuale, possa arrivare un pelo più vicino alla linea di orizzonte di quanto potrò mai fare io.
Vorrei che qualcuno si ricordasse che non esiste un mondo di luci, colori, piaceri ed irresponsabilità.
La responsabilità è il vero lavoro dell'uomo, non costruire bulloni o copertoni.
La responsabilità di sentirsi parte, non al di sopra delle parti.
Quello è un sogno che tutti noi umani abbiamo di tanto in tanto. Ma deve rimanere limitato al proprio fumoso universo onirico, che è sacrosanto e va difeso strenuamente. Ma la linea di confine deve essere ben chiara.
Chiunque ci racconti che siamo tutti piccoli imperatori sta cercando di ottenere schiavi consenzienti.
Io non cambierò mai il mondo, e probabilmente nemmeno un'idea. Come codardo posso solo lanciare la bottiglia ad uno sconosciuto. Perchè se per caso trovasse giuste le mie idee, potrebbe chiedermi di guidarlo.
Io non posso guidare nessuno, però. Nessuno può guidare nessuno. Ma tutti dovremmo avere il coraggio di guidare noi stessi, attraverso le anguste fenditure tra gli spazi un cui si muovono tutti gli altri.

P.s.
Non ho fatto alcun nome. Nemmeno il mio. Perchè noi umani ci aggrappiamo troppo ai nomi. Pensiamo che eliminato un nome sia elimato un problema. Ma il problema è nelle nostre menti, nelle nostre cellule, nella nostra storia.
Queste righe possono essere state scritte da chiunque, in qualunque epoca. Solo la connotazione geografica è chiara, perchè è l'unica all'autore ben nota.

N.

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Si avvicina silente, lo spirito fragoroso della festività invernale.
Chiasso ne fa molto, di luci, di musiche, di offerte, di riflessi, di colore.
Ma al cuore sordo non vibra più alcun timpano.
Se c'era, in questo guscio, un tempo, una corda vibrante che percepisse l'arrivo di un'onda magica, essa è stata strappata, divelta o si è naturalmente lisa e sfilacciata fino all'inservibilità totale.
Ciò che manca, e non solo a livello Natalizio, è l'incanto.
In tutto ciò che si addensi o rarefaccia intorno al mio animo non vibra un non sordo non suono.
L'immobilità stitica di un gelo in sospensione, che dilata ogni immagine oltre il suo spazio consentito e ferma in fotografie piuttosto scadenti gli attimi anche più fruibili dell'esistenza.
L'incanto è irrecuperabile, io credo.
Compresso, trinciato e maciullato da due enormi chele d'artropode, il troppo ed il troppo poco, mi sento preda ancora viva e dibattente nelle fauci di un destino vorace e assolutamente irragionevole.
Tra girandole di sensazioni scintillanti e lunghe passeggiate nella più oscura assenza da ogni contatto, perdo alla fine la linea di equilibrio e mi sento gigante e nano al contempo. Quindi senza misura di me stesso, e di conseguenza senza misura alcuna del mondo.
Ciò che mi scivola tra le dita ha una consistenza ben conosciuta, ma non ha più quasi forma o colore. E' un testardo aggrapparsi disperato ad elementi in procinto di dissolversi, non è la ristorante bugia di un incanto.
L'incanto è menzogna, ma menzogna nutriente. Ma nella foga di tenersi stretta quella piacevole droga benefica ci si ritrova quasi sempre a sorseggiare liquami di palude, chiamandoli ancora mieli.
L'incanto è come il Natale, o almeno come è considerato il Natale.
E' una bugia necessaria, che sembra dare un senso alla vita e poter correggere la rotta dei vascelli anche più disperati.
Una pausa di carezza in quella che pochi giorni dopo tornerà ad essere la solita tempesta di schiaffi.
L'incanto è simile, nella forma e nella sostanza.
Accade quando vuole e quando vuole se ne va. Può arrivare da qualunque aspetto della vita, e più aspetti della vita si possiedano più è probabile che almeno un incanto sotto mano vi sia sempre. Un incanto a sopperire il vuoto di tutto il resto.
Per questo forse, ho cercato una vita con molte sfaccettature e molte attività.
Aperture, forse. Buchi nella corazza del fato per poter fare entrare più incanti possibili.
Eppure, ad un certo punto, anche l'incanto pare non bastare più a se stesso.
Ciò che un tempo era fonte di magia e meraviglia oggi non è che riflesso di un accaduto già digerito.
Le ossa nei musei non ci restituiranno mai dal vero la maestà ed il miracolo biologico di un dinosauro vivo.
Lo spirito del Natale passato non mi lascia scampo. Ha uncini per dita e inietta con quei pungilioni un veleno crudele, che rimette in circolo tossine letali che ho cercato di purgare per tempi senza memoria.
Lo spirito del Natale presente è assente.
Lo spirito del Natale Futuro non ha nemmeno lasciato un messaggio in segreteria.
L'incanto si perde. Ormai è più la paura di esibirmi che la soddisfazione di averlo fatto. Ormai è più la tristezza del piacere in molti campi.
Non sapre cosa scegliere, se potessi avere dieci kili di tortellini tutti per me in perfetta solitudine, o mezzo kilo in dieci persone.
Non saprei veramente cosa scegliere… è il tortellino che fa la felicità o il sorriso di chi lo mangi con te?
Non sapendo più da che parte stia la felicità, trovo il Natale piuttosto lontano da ogni mio gusto.
E' una festa che celebra principalmente la Natività, la procreazione e la famiglia.
Tutte cose da cui mi tengo ben alla larga, e so (adesso con basi leggermente più solide) che non potrebbero essere fonte di felicità.
Eppure neppure l'isolamento, la solitudine, la disconnessione da tutto potrebbero rendermi sereno.
Prima ero troppo in mezzo alla gente, ora sono troppo lontano. Nell'arco di cinque giorni posso con certezza affermare di avere toccato gli estremi, e non sapere quale preferire, o quale sia il punto di equilibrio.
Cosa chiedere a Babbo Natale??
-Una comune con amici dissoluti e tasso alcolico alpino?
-Una donna matura (bella presenza) completamente sterile in cerca di un quintale di bambino da adottare?
-Un viaggio in Nepal a fumarmi le falde del K2?
-Aprire un Circolo A.R.C.I e vivere e morirci dentro?
-Un ingaggio canoro per feste medievali itineranti?
-Un'espulsione da qualsiasi attività canora?
-Un attacco indiscriminato da parte di forze aliene?
-Un'abduction personale senza reso?
-Scoprire che Babbo Natale è in realtà Lady Natale e trovarsi proprio sotto al caminetto mentre scende di chiappe?
-Trovare un gatto nero con gli occhi verdi?
-Sublimare in gas?
-La quarta Stagione di Boris?
-Che sia l'ultima tosse con raffreddore che mi sorbisco questo inverno?
-Le mie emozioni?
-Una tendina per il bagno blu?

Santa Claws, l'aragosta natalizia, mi fa a pezzi. E non l'ho mai nemmeno assaggiata……

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