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Posts Tagged ‘constatazione’

Gustav Dorè – Paradiso perduto


Strano, ma anche sorprendente.
Come ogni momento di abisso già assaporato in passato, anche questo sembra giungere al termine.
Non mi abbandonerà mai, la tenebra, ma alla lunga riesco ancora a contrastare i suoi attacchi, i quali si fanno sempre più violenti, più profondi e laceranti.
E’ dannatamente difficile contrastare gli attacchi di una forza che viene dall’interno, una forza così subdola e raffinata nel suo stringere la morsa e avvinghiare ogni senso.
Per la prima volta in vita mia persino la carne ha risposto al suo attacco.
Tremori, scatti nervosi, nevrosi e disturbi dell’equilibrio.
Ed il primo blando ansiolitico, per sentirsi volenti o nolenti finalmente uomini moderni.
Ma c’è un fondo anche alla tenebra. Forse con l’aiuto del primo sole primaverile qualcosa in me ha cominciato a ribellarsi.
Non come fece un tempo, con la ferocia, con l’azione, con la materia.
Non sono più così “giovane”, anche se si parla di pochi anni fa in realtà.
Questa volta è una presa di coscienza più profonda e meno rabbiosa. Una sorta di accettazione (assolutamente non compiaciuta, ovviamente) di ciò che sono e di ciò che mi compete.
Una sorta di risveglio spirituale che non chiede una cambiamento nell’azione, ma nell’atteggiamento.
Doversi inchinare alla propria essenza è in definitiva il più faticoso esercizio concepibile per le articolazioni del ginocchio.
Io detesto inchinarmi, persino a chi reputi superiore, figurarsi a me stesso, che tra tutti sono certamente il soggetto più estraneo alle mie grazie.
Una sorta di orgoglio rimane, nonostante ( o forse grazie anche) le continue accuse che ho ricevuto ultimamente: superficialità, disimpegno, scarsa autostima e una sorta di tenebrosità autoinflitta e compiaciuta.
A parte quest’ultima, che trovo più che veritiera ma mi da più piacere di ciò che potrei fare senza di essa, sono sempre imbarazzantemente compiaciuto nel nettarmi le natiche con l’altrui giudizio, che il più delle volte è sputato da denti colanti invidia o da fauci bramose di raggiungere il proprio scopo.
In realtà sarei molto più mostruoso e spietato di quanto chiunque dei miei accusatori potrebbe anche arrivare ad immaginare, perché è questa la vera discriminante: Io immagino di più e meglio.
Non indosso personaggi, io divento personaggi. Almeno quelli in cui posso entrare.
Posso anche mordere i cuscini la notte perché alcuni personaggi molto divertenti e affascinanti non saranno mai miei… ma quelli che mi appartengono li considero quasi ineccepibili.
Certo, a volte mi chiedo se sia stato io a scegliere loro o mi siano stati imposti, ma non c’è risposta, nemmeno in molte vite a questo quesito, figurarsi in una vita sola.
Non credo otterrò nulla di ciò che vorrei assaporare nel reale, perché alla fin dei conti io sono metaforicamente un vampiro. Mi nascondo dalla luce pur rimpiangendola, e sono assetato del sangue degli altri, dei loro segreti, della loro vita, delle loro esperienze.
Forse per sopperire alla mia mancanza di amore per la vita mi struggo perché la vita stessa non mi investe come un’onda oceanica, per martellarmi con una potenza divina, finché io stesso non avrò scusa, non avrò alcuna scappatoia che dichiararla forza vincente e somma. Finché non sarò preso con la forza la dove non posso essere preso con la fede.
Lentamente, dopo un ennesimo viaggio nella mia bara di solitudine ed oscurità ritrovo l’unica cosa che un’ anima sola e dannata da se stessa possa trovare nel proprio sepolcro: di nuovo se stessa e niente altro.
Sarò sempre un perdente, non agli occhi del mondo (con il quale, nuovamente, mi netto le natiche) ma ai miei occhi. Ma un perdente spiritualmente vittorioso.
Non mi tradisco e non mi forzo a mutazione. Non sono indulgente con me stesso, per quanto riguarda i sensi quanto per ciò che riguarda la filosofia.
Non mi perdono ma quando occorre vorrei lasciare che io possa essere premiato.
Certo, saranno medaglie visibili solo a me, ed anzi, per molti saranno macchie sui panni della festa.
Ma poco importa. Se fossi meno cauto (ed è quasi impossibile essere saggi senza essere cauti, ed essere cauti è ben diverso dall’essere timorosi) avrei potuto ottenere molte delle cose di cui ora patisco la mancanza. Anche se fossi stato meno onesto.
Dopotutto chi possiede la chiave dello scrigno di dolcezze che bramerei aprire appartiene ad una genia stupida e superficiale, ben contenta di farsi ammaliare per essere raggirata.
I miei desideri sono posti tra le mani di creature che trovo per lo più miserevoli, ma spesso anche scostantemente odiose. E anche questa è una forma di dannazione.
Non posso cambiare la natura altrui e non intendo cambiare la mia solo perché i miei avversari sono più numerosi di me e su di me possiedono un forte ascendente, in grado di farmi perdere la mia “verovisione” che tanto idolatro.
Non solo contro le forze altrui si ingaggiano lotte per tutta la vita, ma anche contro le nostre stesse debolezze. E questa lotta senza tregua su ogni fronte è un massacro interiore, una carneficina grandguignolesca dalla quale solo i più determinati e i più incrollabili potranno uscire con ancora un brandello di ciò che furono in origine intatto.
Sostanzialmente un frammento non più funzionale, ma vestigia di un’originale purezza; per nutrire almeno la nostalgia, la quale sarà l’ultimo sentimento ad abbandonarci tutti.
Striscio quindi verso un sole nascente ma preparando nel cavo orale uno sputo pronto all’uso, che la luce è una forza piena di promessa e si bea del suo potere di attrazione, ma conosco la sua capacità di accecare e i suoi scherzi illusori.
Non più felice, perché la felicità è un lusso che solo i giovani possono permettersi di voler raggiungere, ma un po’ più sereno, giacché alcune cose non posso ottenerle perché non mi è permesso, perché non è destino, non è la dimensione giusta. Non sempre è una vittoria delle mie debolezze a concedermi una sconfitta, a volte è una trionfo di forze esterne che si oppongono con protervia e non vi è alcun modo per far cambiare il loro modo di agire.
Non mi sento assolto e non vedo alcuna promessa per il futuro, non per me.
Ma mi sento più tranquillo.
Non riesco ancora a sorridere con entrambi i lati della bocca, ma con uno alla volta, prudentemente, ce la faccio…..

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“Ieri la mia vita andava in una direzione. Oggi va verso un’altra. Ieri credevo che non avrei mai fatto quello che ho fatto oggi. Queste forze che spesso ricreano Tempo e Spazio, che possono modellare e alterare chi immaginiamo di essere, cominciano molto prima che nasciamo e continuano dopo che spiriamo.”
(lo scienziato Isaac Sachs)

E se non va in nessuna direzione?
L’Atlante delle nuvole questo non lo spiega. Certo, incantevolmente spreme sulla tavolozza immagini e suoni, parole ed emozioni e le impasta sapientemente, perché è fatto con cura e criterio e rimane un bellissimo film.
In qualche modo, anche io percepisco questo panteismo invisibile, questo susseguirsi di situazioni e di emozioni, che si intrecciano in figure impossibili attraversando le dimensioni conosciute e sconosciute nelle quali siamo immersi.
Viene solo da chiedersi, piuttosto egoisticamente, che cosa me ne freghi del continuum bioemozionale della specie, della vita o dell’universo se la parte che dovrò recitare nel mosaico sarà modestamente penosa.
Non inutile, perché ovviamente non esiste una tessera in questo mosaico che non debba esistere e che non abbia una specifica collocazione preposta alla funzione del tutto alla quale dovrà appartenere.
Ma tristemente pietosa, può benissimo esserlo.
L’uomo fallito, dai cui fallimenti verranno spersi i potenziali germi di nuove folgoranti vittorie non solo non avrà coscienza, essendo inserito nel tempo e non ad esso parallelo, ma non ne avrebbe nemmeno consolazione pur avendone conoscenza.
In termini utilitaristici che questo flusso di vita e coscienza e memoria e materia possa portare a qualche disarmante conclusione rivelatrice….. non fa la minima differenza per la vita della singola entità che ne fa parte.
La sveglia di domattina mi fracasserà i coglioni comunque, a prescindere dal fatto che l’umanità possa ritrovare tra centinaia di anni le stronzate che ho scritto in rete e trovarle salvifiche.
Non è che me ne possa fregare molto di salvare il mondo stasera, tra centinaia di anni non può assolutamente fottermene alcun che di quanto accadrà.
In fin dei conti a nessuno frega niente del grande rivoluzionarsi ed evolversi del cosmo intero quando la persona amata non se lo caga.
Ed è qui, sull’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo che la mente umana vacilla.
La sveglia, la persona amata, il conto in banca, il mal di denti.
Questi, sono forse questi i demoni che avvelenano l’anima di noi incarnazioni dell’eterno?
Questo ci riporta ad uno stato mortale e materico tale da piegarci alle pastoie del tempo e dello spazio fino a cancellare ogni singulto di divinità dalle nostre essenze….
…oppure in certi film dicono un sacco di stronzate ed è tutto qui?
Forse è una domanda antica quanto l’uomo stesso. Lo stesso dilemma che pone quasi ogni culto misterico religioso, il suo potere (quasi impensabile) di spingere le singole esistenze addirittura al sacrificio, che è quanto di più avulso al normale svolgersi di desiderio ed aspirazione si possa ipotizzare.
L’annientamento dell’ego in favore del progetto.
Forse amo Cloud Atlas perché non pontifica su questo punto e non getta una risposta alle fauci della più beota scontatezza.
Come è auspicabile i personaggi, pur essendo ignare tessere, combattono per se stessi, per immediati bisogni, nella maggior parte dei casi. E quasi per caso, in fondo, lo svolgersi della storia li sfiora, rendendo ancora più marcata la loro funzione così fondamentale all’interno della loro essenza quasi trascurabile.
E se ogni intersezione, ogni contatto, ogni confronto con altre entità fa tremare tempo e spazio, creando bolle, vesciche rigonfie di universi potenziali e potenziali svolgimenti….
…perché sento questo universo così bloccato?
Sono io che sono troppo veloce….?
E’ la mia mente, la mia mente e la mia anima che sono come mastini denutriti lanciati sulla traccia invitante di una preda grassa e troppo lenta.
Esse vorrebbero, esse bramerebbero che si spalancasse un abisso, un gorgo di destini di fronte ad ogni nuovo contatto, perché per maledizione di nascita… io ho la capacità di percepirlo questo fenomeno.
E mente ed anima, alleate, iniziano a vomitare fiumi di immagini, di possibilità intersecate, di intrecci possibilistici e parabole vertiginose di situazione.
In questo circo deviante non c’è spazio nemmeno per il sonno, quando la notte questi demoni interni mi torturano e mi lacerano con i loro universi potenziali. Occhi sbarrati sul fioco lume dei numeri digitali di una radiosveglia, maledicendo la notte e l’alba che la tallona.
E poi anch’essa si presenta, radiosa ed immota come il cadavere di un martire. Il nuovo giorno costringe il mio io a rallentare, frena, schiaccia e blocca.
Si infrangono come macchine di lusso durante un crash test i miei universi notturni all’apertura del sipario giornaliero. Esplodono e mestamente ricadono come petali appassiti sul fiume del tempo reale.
Un fiume maestoso, possente… ma lento. Lento come un’agonia.
Mi accorgo sempre di più di avere vissuto mille vite, di avere amato, ucciso, costruito e distrutto.
Cose che non saranno mai. Con persone che non sapranno mai quali meraviglie abbiamo vissuto insieme.
Quali orrori o quali piaceri hanno condiviso con me solo perché un loro sguardo accendeva un desiderio o una loro frase stimolava una possibilità.
Quanto potenziale divino sprecato….
Rimarrà tutto in un universo mai visitabile?
La dove dormono i miei draghi su immensi tesori?
Credo di si.
La mia condanna è questa creatività inutile, questa velocità mentale inapplicabile, questa armonia quasi cinematografica che ho con le immagini, la musica e le parole.
Sono una tessera che non sembra trovare posto, che non sembra VOLER trovare posto.
In mezzo al mosaico io non riesco a sentirmi a mio agio.
Devo sempre allontanarmi da esso, per vederlo, per gustarlo.
Perché non mi consola la coscienza di essere parte di una meraviglia della quale io non possa percepire la bellezza.
Non mi consola…non me ne frega proprio un cazzo della funzione…
..voglio godere la bellezza.

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Mi illudo che ci sia un motivo. Nella grande tradizione della dabbenaggine degli ingenui o nella disperazione dei consapevoli decido scientemente di illudermi….

Illusione, grande attrazione
mio faro e mia ragione
stella polare dei dementi
ultimo scacco dei perdenti
regina somma dell’irreale
causa, ristoro e germe del male.

Non mi interessa più niente. Di necessità si fa virtù, ma soprattuto di necessità si fa necessità. Se niente conta più niente, se nulla ha mai avuto senso, se non vi è entità che governi il caos, se l’entropia è l’unico destino, se niente ha valore e ogni azione sia possibile, allora preferisco cedere all’illusione. Applicabile al punto più sensibile, alla più erogena delle zone irritabili della delicata pelle animica, come un balsamo scottante, un effetto di fuoco ghiacciato che accenderà ogni recettore nervoso di fastidio, dolore e pericolo.
Un piccolo istante di piacere, un accenno di estasi, può far crollare miseramente il castello di maligna autocertificazione edificato in anni di fatiche, progettato sulla rabbia, assemblato con malta d’odio e ben trincerato dietro le sue mura di diffidenza. Cosa si penetrato, mio malgardo, non posso nemmeno io conoscerlo. Sento solo lo scricchiolio delle fondamenta, mentre una nuova illusione si espande come ghiacchio tra le crepe, gonfiando gli spazi e corrodendo la strutturalità del mio impero di vuoto.
Una singola, fastidiosa, sottovalutata goccia di pieno cerca di espandersi per occupare tutto lo spazio immaginabile.
Io non volevo alcun nuovo bisogno.
Avevo solo biosgno di non aver più bisogno.
Volevo che l’illusione cessasse di crepitare, come una brace quasi spenta ma ancora pericolosa. Volevo che rimanesse inerte, morta, tumulata nelle proprie ceneri. Non volevo alcun potere su di me. Non volevo il riflesso di quel potere su alcun viso umano, che potesse in qualche modo sentirsi investito di sovrumane qualità.
Volevo nulla condito con nulla, rosolato nel nulla e insaporito con nulla.
Ma non sopporto il nulla.
Nemmeno quello. Basta un soffio anche lievissimo di brezza e la brace apparentemente spenta avvampa di nuovo della sua rossa ferocia, e spalanca i suoi appetiti rinvigoriti e risorti.
Perchè il fuoco mangia.
Consuma.
La sua trasformazione di materia in energia richiede un immenso dolore ed un estremo sacrificio.
Ed energia non ce n’è più intorno. Illusione aveva fame, voleva carburante, voleva cibarsi. Ha fatto un salto, ha scavato, si è cammuffata…. ma qualcosa ha fatto per essere ing rado di nuovo di poter piantare le sue fauci su qualcosa. Vittime e carnefici intente a massacrarsi. Indistinti nella danza di sangue membra e acciaio. Non ho lasciato aperto alcun passaggio. L’ho aperto di proposito.
Perchè senza una sola illusione, per quanto folle, per quanto idiota, per quantoassurda, per quanto autolesionista… ..nulla aveva più significato. Mangiar fango, respirare nebbia, dormire tra sudari e altalenare noia e disgusto. Questo è diventato vivere, senza almeno una singola illusione.
L’illusione che ti distruggerà, ma non puoi evitarlo, perchè senza di essa saresti già distrutto.
Detesto abbandonarmi alla necessità.
Detesto illudermi.
Detesto: unica mia azione quando non sia occupato ad illudermi.

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Mi è capitato uno scambio di battute sul faccialibro che mi ha fatto riflettere.
Ordunque, vi è questa pulzella che ripescammo dal gorgo del tempo, la quale già dai tempi di scuola brillava in quanto bellezza e (a quanto mi dicono) anche in simpatica follia.
Essa guadagnasi da vivere in quel del litorale mescendo i vari ammazzacristiani liquidi sulla linea costiera, godendo, io suppongo, di ottima vista marittima e gavotta sociale per me assolutamente inconcepibile.
Essa, devo dire, con il tempo parmi ancora più bella, anche se non so se gentile ed onesta, ma sul paragone filosofale ipotetico con altre cerebroglandi incontrate parmi assai sulla linea della virtù tiepida, dopotutto.
Essa affolla spesso i miei mesti sogni di vegliardo, nonostante l’impossibilità ben conosciuta di qualsiasi contatto autentico, il quale d’altronde, potrebbe essere unicamente disastroso per quanto riguardi qualsiasi mia pulsione onirica.
Vi è gran quantità di immagini della soggetta in questione sul libro delle facce, e per un esteta rinchiuso nel proprio delirio la visione di tal luminosa bellezza è sempre dardo ferente, gocciante di clamoroso corrosivo veleno (alè!).
Vedendo le recenti immagini delle di lei frequentazioni notai un simpatico riquadro in cui erano rappresentati due uomini di maschile schiatta, entrambi giovani manzi ben in saluta, con la differenza principale nelle fattezze fisiognomiche, in particolar modo ventrali.
Lo primo, in sfondo avea poggiata sulla piastra addominale una testuggine perfetta, quasi di scultorea proposizione e oltretutto un viso da Apollo che avrebbe fatto innamorare persino le defunte, anche se da alcuni decenni.
Lo secondo, poggiante sul primo piano, esibiva le rotondità della sua zona ventrale con furbesca espressione canzonatoria, ben sapendo, suppongo, che nell’immagine digitale il contrasto delle due forme ravvicinate sarebbe risultato ancor più evidente all’umano apparato oculare.
Or mi venne, come sempre per mia disgrazia, di porre mia voce nel commentario sottostante, proprio sotto quella dello amico Bardo il quale poneva questione sulla veridicità materiale dello soggetto tartarugato sul fondo.
Ed io dissi così che se quello dietro era finto, quello davanti era felice.
Mentii, sapendo di mentire.
La pulzella, che io avrei giurato ignorar lo mio blaterale ribattè con piglio giustiere che la stessa energia da me posta nel ripulir piatti di pasta e boccali di birra dallo soggetto in questione era posta nell’esercizio fisico che tanto scultorea rendeva la di lui figura.
E se la sua era scultorea sicuramente, la mia era di merda.
Ancor lo feci, o mia disgrazia ed infamia.
Tanto e tale è la mia boria che ignorar li fanti per stuzzicar li santi mi è pane quotidiano, pur se raffermo.
E allor dichiarai lo silenzio, che tale e tanta era la mia vergogna per aver messo mano a ciò che più non posso da dover posar l’armi immediatamente e vestire di nuovo i miseri panni sacerdotali.
Mi chiedo, pur con grande interrogazione, quanti e quali e quanto scultorei e, ovviamente ben più di me, esteticamente  regolari organismi essa dovrà ogni vespertino marittimo momento conoscere e frequentare.
Che a volte me li vedo, nelle immagini del libro delle facce e non mi paion così tristi e mesti per nulla, che anzi, oltre che luminosi fisicamente mi par tale anche l’angolo preso dal di loro apparato labiale o lo lume oculare che si affaccia dalle digitali riproduzioni….
Così ho ficcato la penna nella bocca dello drago che sempre mi perseguita, nella fornace orale dello demone vermiglio, nell’antro della doglia: lo senso estetico.
Già esso per me è fonte di quotidiana pena e crocifissione al solo rapportar me stesso con l’orrido speculo latrineo, ma anche tarlo corrosivo per alcuni rapporti che dopotutto stavano sui piedi loro.
Allor che devo dire?
Ben mi sta. Mi fu bacchettata la mano stessa con la quale recido spesso i cardiaci lacci della felicità, perché io stesso entrai in territorio sacro. E sacro ha ben specifico significato:
“La radice di sakros, è il radicale indoeuropeo *sak il quale indica qualcosa a cui è stata conferita validità ovvero che acquisisce il dato di fatto reale, suo fondamento e conforme al cosmo.[3] Da qui anche il termine, sempre latino, di sancire evidenziato nelle leggi e negli accordi. Seguendo questo insieme di significati, il sakros sancisce una alterità, un essere “altro” e “diverso” rispetto all’ordinario, al comune, al profano.”
In tal senso, come ricordami lo traduttore giudaico che aliena il Signore nostro Dio, Sacro è ciò che è messo da parte, che toccato non può essere mai dalle mani de li mortali, che è riservato cioè alle superiori stirpi che dalli cieli giunsero e che è ovviamente tanto desiderabile quanto inarrivabile per lo popolo plebe.
Poscia che questo scambio verbale fu risolto, molto in me crebbe il senso di plebe inferiore, quasi di induistica affiliazione, nello senso ben specifico di nascita escrementizia senza possibile rivoluzione di stato, in quanto lo cammino animico ciò richiede per gli scopi oscuri che si prefigge.
Tanto poco cambia, tale mia mole cerebrale di sferraglianti rotelle allo stato delle cose sullo globo terracqueo, che vedrà nel sole cocente del giorno incombente le medesime posizione sulla grande scacchiera.
La bella ha ricordato alla bestia la sua posizione.
Ella sta nei poemi e nelle poesie cortesi, io sto nelli bestiari e nelle favole scagazzainanti.
Tanto è possibile che le nostre pagine si mischino quanto che li primati escano dallo mio anale orifizio fischiettando arie verdiane.
Non aveva dubbi il cosmo di cotanta veridicità. Li ebbi io, ebbro di onirici fallici costrutti.
Mentre fuggo cerco, mentre cerco fuggo.
Per le bestie vi son li antri e le caverne, e castella et ricchezza per le dame di bello aspetto.
Non vi alcuna tragedia nel nascer orco.
Almeno finchè non si sognino le dame di altri cavalieri.
La realtà è lo stocco più spietato. E maledetto sia Apollo signore delle arti che tanto mi fece amar ciò che mi lacuna.
Su questa digital pergamena vergo tal mia lamentazione, che i miei contemporanie potranno così ben dire che tal trattazione distrugge l’apparato genitale maschile e che la mia parola benvenuta è come eczema.
Ma quando li secoli passati saranno, qualcuno leggendo i miei caratteri sospirerà e languirà d’amor vibrante, che tanto doveva esser bello quello cavalier di penna graffiante.
Ed era orco.

Si, insomma, mi sto annoiando…..

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Quel tizio nella televisione mi piaceva. Non sapevo se fosse un prete, ma aveva un grosso crocifisso-spilla sul bavero della giacca, qualcosa a che fare con i palestinesi e le vergini doveva averla..
Parlava delle sette, le quali in realtà sono molto più di sette, sono centinaia e a quanto pare preoccupano molto la chiesa apostolica, dopotutto anche quello è un mercato nel quale le lotte sono senza esclusione di colpi.
Ma ciò che mi ha colpito è stato il suo affermare che il calcio e le tifoserie da stadio sono divenuti il sostitutivo della fede religiosa, in questo paese. Un'intuizione che io sostengo da anni, ma che non avevo mai sentito esprimere
in contesti ufficiali come quello televisivo. Mi sono un pò sentito orgoglioso delle mie percezioni, ed un pò triste per il fatto in se.
Ma la spiegazione del tizio-forse-prete si è soffermata su un punto ancora più interessante. Egli affermava, infatti, che la religiosità umana (intesa come istinto, non come organizzazione) non sia altro che l'espressione di un bisogno di "infinito".
Non di "immortalità", specificava appunto, in quanto l'essere umano è consapevolmente mortale, e verso la fine tende ad accettare in qualche modo la propria dipartita. Piuttosto un bisogno di un infinito circondante e compenetrante. Un bisogno che ovviamente
non può essere soddisfatto da nulla di terreno, e per questo l'uomo ricerca il divino.
Certo, io ho le mie teorie sull'argomento. Sono e resto chierico nell'anima, anche se caparbiamente antireligioso. Ma ostinatamente spirituale.
Sono poiuttosto certo che vi siano insondabili forme di energia nel cosmo, alcune delle quali saranno forse solo vibrazioni intenzionali, probabilmente onde di diversa lunghezza, che mettono in ordine il caos e creano struttura dalla poltiglia. Forme di intelligenza probabilmente inconcepibili
per la mente a cassettoni degli umani. Forze che la nostra mente traduce in qualcosa di simile a noi, ma più potente ed immortale pur mantenendo i nostri difetti di fabbricazione, e da qui i divi antichi, i luminosi, i più o meno onnipotenti Dei.
Benchè io sia tendenzialmente politeista, in quanto credo che vi siano vibrazioni specifiche per ogni campo dell'esistenza, credo proprio che gli Dei siano totalmente inconsapevoli delle singole soggettività umane. In questo risiede il mio fondamentale stupore per la religiosità isntintiva della mia razza, fatta di adorazioni, formulette,
raccomandate e lettere a babbo Natale spedite a forze che nemmeno avranno possibilità di intenderci, gravide di richieste per qualche miglioria a quei letamai che chiamiamo vite terrene.
Questo però non esclude la fede, a mio avviso. La modalità è secondo me idiota, ma l'intenzione è comunque una comunione con una vibrazione superiore, che niente ha che vedere con la cieca fiducia nell'inspiegabile, in quanto ciò che ci circonda è già di per se inspiegabile, occore una minima dose di fede per non impazzire già guardando le nuvole o i fiori….
Ma ovviamente, il famoso "bisogno di infinito" di cui parlava il telechierico ha effetti piuttosto scostanti sulla vita e sull'intreccio delle vite umane. Io stesso, per lunghi anni, sono stato morbosamente ossesionato da tale bisogno.
Tutto ciò che costruivo doveva essere eterno. Credo vi siano stati pochi nemici della mutazione agguerriti quanto me. Ma la vita ha sempre la meglio, e se il cosmo è in perenne trasformazione non si fermerà di certo di fronte ad una piccola moleca quale sono io, per quanto convinto potessi essere….
Quindi ad un certo punto la mutazione non solo è entrata trionfalmente nelle mie percezioni, addirittura ha surclassato l'immobilità.
Poi sono entrato in una nuova fase della mia vita, dovuta all'età, e qui è avvenuto il vero scontro con l'altrui percezione di "infinito". Ovviamente io sono sempre in controtempo, avevo biosgno di infinito quando tutti i coetani mutavano ed ho bisogno di mutazione ora, mentre tutti cercano disperatamente la loro tessera immortale del mosaico.
Per l'umano medio, se non è impegnato in progetti sconvolgenti per cambiare il mondo, il bisogno di infinto si traduce solo ed esclusivamente in un concetto: la progettualità.
Gettare avanti la visione, pensando sul lungo termine, allunga la focale umana, lo fa vedere oltre. Imbrigliando tutto ciò in una serie di obiettivi da raggiungere l'uomo sente allungarsi il proprio scopo, si motiva e tende all'infinito.
E ovviamente tutto questo progetto ha il suo fondamento nella procreazione.
Il figlio è, ovviamente, l'unico modo possibile di consegnare qualcosa di se all'infinito.
E qui sono state legnate. Perchè non diventa più possibile creare legami sentimentali con una bomba ad orologeria di questo calibro stretta fra le chiappe.
Tra chi l'aveva già e chi lo voleva mi sono trovato a sposare unicamente il mio isolamento, con la coscienza spietata di avere vissuto situazioni emblematiche, che altro non sarebbero se non il manifesto di quello che succederebbe ugualemente con altri soggetti.
Ma trovo poco di cui lamentarmi, in questo. Piuttosto mi trovo piuttosto perplesso di fronte alla mio non-bisogno di infinito.
Per assurdo potrei anche stare con una persona qualche mese, o anno, godere quanto ci fosse da godere, e lasciarla andare a riprodursi al momento decisivo. Ormai credo di essere così compenetrato dalla mutazione continua della vita, da non avere più alcuna pretesa di duttilità. Io non esigo una vita lavorabile,
non mi interessa sentirmene padrone (anche se spesso preferirei non esserne schiavo) e l'unica cosa che mi interessi ormai è il piacere. Il piacere e l'attimo. Quell'attimo che per lungimiranza ho sempre perso.
Come in una focale fotografica, per mettere a fuoco cose lontanissime si perdono completamente di vista quelle vicine. Il bisogno di infinito proietta il punto di vista in una regione possibilistica lontana, mentre quella reale sotto i piedi rimane irrilevabile.
Ed io sono stanco di mettere i piedi tra rovi, paludi, nidi di serpi e burroni perchè sto puntando il nido delle aquile. Credo che il nido delle aquile sia inarrivabile, il più delle volte, oppure un destino che favorirà se stesso, senza bisogno di uccidersi nel compierlo.
Benchè sia un periodo orribile per la maggior parte degli aspetti, non mi sono mai sentito così accordato con l'universo. Perchè non ho progetti, non ho in mano nessun piccone o martello. Ho le mai libere. Può succedere ogni cosa.
Non mi piego ai bisogni altrui e non pretendo che nessuno si pieghi ai miei non-bisogni. Non voglio costruire una famiglia, non voglio figli. Perchè non voglio nessun infinito fittizio. L'infinito non esiste.
Anche il sole esploderà, la terra arderà, la galassia intera sarà in qualche modo distrutta. Non credo che il frutto del mio seme limiterà tutto questo. E non ho bisogno di nessuno da educare perchè ho passato la vita ad educarmi ed educare. Non ho bisogno di qualcuno da amare incondizionatamente, perchè io non ho mai provato amore incondizionato per alcun essere vivente.
Solo per le astrazioni l'ho provato e lo provo. Gli esseri viventi devono meritarlo il mio amore, non mi interessa se siano madri padri o figli. Io faccio i disegni e poi li accartoccio e li butto nel cestino se non vengono come vorrei. E assicuro tutti gli increduli che non tratterei la carne della mia carne in maniera differente.
Preferirei fare da mentore ad una bella ventenne che ad un bambino, se proprio dovessi scegliere. E non è cinismo, credo. Credo sia una profonda conoscenza di me. Un lavoro che la maggior parte degli umani evita accuratamente, e mette su famiglie a cazzo perpetrando il trauma e l'odio insiti nella nostra razza verso quell'infinito che tanto vorrebbe assaporare.
Non potendo essere certo di creare quelcosa di perfetto, non lo creo. Per le merdate mi occupo di scritti, musica e disegno. Ma sono piuttosto sicuro che queste cose moriranno con me e saranno servite unicamente a tenermi compagnia. Ma non perpetro la vita imperfetta, non per un mio bisogno egoistico di sentirmi infinito.
Su una cosa io e l'umanità non ci capiremo mai. L'umanita considera la procreazione l'atto di generosità sommo. Per quanto mi riguardi è l'esatto contrario.
Come cantavano gli "Avanzi Suond Machine": "La vita è preziosa, chi lo ha mai negato? peccato che non ci sia niente più a buon mercato".
Cerco di non sopravvalutare la vita, per non perdermi nell'infinito. Forse io sono il più egoista degli esseri viventi, perchè mi interessa lavorare unicamente sulla mia, di esistenza.
E se è così…beh… chi se ne frega…..

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Vorresti essere pulp, ma non sei pulp.
Non lo sei neanche un pò.
Sei troppo poco interessante per esserlo, e non hai il fisico del ruolo. Anche essere un brutto, od un cattivo, richiede un carisma che natura non ti ha concesso.
Guardi quello scorcio postnucleare dietro alla tua ditta. Ci sono ammassi di lamiere e bidoni arrugginiti, contorti e abbandonati come scheletri di organismi antichi, in un museo a cielo aperto.
Dietro di essi un'autostrada per chissà dove, con mostri ancora vivi ed ugualmente metallici che fagocitano asfalto e scorreggiano gas serra.
Il vento di Maggio tormenta un qualche residuo di reticolato mozzo, che suona come un violino urlante, o grida musicalmente, con il suo timbro di ferro cavo, un pò resistente, un pò malaticcio.
Stai vuotando l'immondizia, uomo.
Butti via quei sacchi nel container e ti chiedi come mai il container non ti risucchi, come mai non risucchi tutto.
Tu, furgonato, autostrada, fossili metallici e vento primaverile.
Ti chiedi se il container non sia un destino ineluttabile, e uno ancora più oscuro attenda dopo di esso.
Sei da buttare anche tu, e lo sai. Lo faresti volentieri.
Hai passato l'ennesimo week end a non far succedere niente ed ogni singolo istante a digrignare i denti perchè non succedeva niente.
Le unghie del tuo gattino ti hanno dato di nuovo l'esatta proporzione tra l'ideale ed il reale. Il piccolo batuffolo candido che caga come un mitragliatore requiem e non ti molla un secondo.
Che ti ha preso per la mamma, per la cassetta, per il tronco su cui farsi le unghie….
Il tuo gatto è come un tuo ipotetico amore.
Passeresti la stessa quantità di tempo a coccolarlo  e strangolarlo.
Perchè l'unica cosa che hai di pulp, tu, uomo dell'immondizia, è la solitudine. E forse quella cazzo di camicia fuori dai pantaloni.
Il tuo computer riflette la realtà di un pensionato che ingrassi piccioni. Sei perfettamente collegato in tempo reale con il vuoto siderale.
In realtà vuoi star solo e sei perennemente male accompagnato, da te.
La ruota della fortuna non gira nemmeno oggi, pensi. E forse sei tu il chiodo che ha fermato tutto il meccanismo. O forse hai finito le tue possibilità di giocare ed ora ti devi trovare un lavoro.
Un lavoro da ragioniere, per fare tornare i conti ogni mese con quei quattro spiccioli del cazzo che hai a disposizione. Sei talmente povero, ormai, che nemmeno puoi sperare in una via d'uscita alcolica.
Che venderai il gatto per comprare il mangime del gatto.
Non sono mai stati tutto, i soldi, per te. Ma ora sono veramente niente.
E mai niente fu così nulla.
Cerchi di darti un tono da orientale animista, e sembri una pentola di fagioli insonorizzata. Bolli lo stesso, dentro, anche senza il consueto brontolìo.
Forse stai pestando davvero i piedi a tutti, anche quelli che ti proteggono.
Nella tua ansia di ottenere di più, ottieni sempre di meno. Sei la statua trionfale del debitore eterno, l'eroe di questo nuovo millennio.
Forse il meccanismo occidentale che tanto disprezzi ti ha infettato in campi della vita al di sopra di ogni sospetto. Anche i tuoi sentimenti sono passibili di critica da status symbol.
Vuoi un rovescio perchè la medaglia mostra un teschio ghignante, e nemmeno caricaturale, nemmeno simpatico. Sembra affamato e sembra che guardi proprio te, uomo.
Da quanto sei nel day after del pattume?
Stai gettando immondizia all'infinito, sopra altra immondizia.
Anche chi sembrava spalare diamanti parla come te.
Allora non c'è un senso…..
Aspettiamo tutti che il container chiami il nostro nome.
E' solo che per te l'attesa è lunga. Ed in fila con gli altri hai ancora l'ultimo guizzo di vergogna, mentre ti senti mal vestito e spettinato.
Non sai più se ti stai comportando bene o male, e con chi. La tua noncuranza deve essere odiosa, subita dall'esterno. Se ti facessero ciò che fai a loro ridipingeresti questo piazzale con l'epidermide delle loro facce.
Ingoi quello che devi ingoiare, anche stoico. Ma una volta nella tua tana rigurgiti ai tuoi piccoli quel bolo putrescente, ben condito con l'acido del tuo abisso gastrico.
Avveleni chiunque sia più debole. Per la rabbia dell'uccelino in gabbia.
Filastrocche da asilo.
Sembra tutta una filastrocca da asilo. Le voci che hai intorno non sono più interessanti.E' un asilo fatto di milioni di adulti, senza educatori.
Non ti va più un cazzo di fare l'educatore. Forse non hai nemmeno niente da insegnare.
Il tuo spirito vola così alto da essere in fuori gioco.
Goditi questo momento di poesia decadente. E' tutto quello che ti rimane.
Il tuo egocentrico spirito, il suo nutrimento di immagini e astrazioni, la tua epica lotta contro te stesso.
Sei un organismo autonomo, sei il padrone assoluto del rusco.
Un altro relitto in un polveroso piazzale di relitti, immobile al fianco di una sfrecciante autostrada.
Non buttarti via. Non ancora.
Troppo facile….
Goditi.
 

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Caro amico sconosciuto,
getto tra i flutti della rete la mia moderna bottiglia telematica, non sapendo dove questo mare indefinito la possa portare, ma questo, in fondom non è importante. Ciò che importa è che vi sia una piccola testimonianza vagante del pensiero umano o, quantomeno, di ciò che per me è considerabile come tale. Se questo messaggio sia in grado di attraversare lo spazio ed il tempo non mi è dato sapere, l'unica cosa a me nota è il bisogno di lanciare ad una immensità ignota ciò che nella mia limitatezza sia conosciuto.
Ho trentatrè anni e vivo in Italia.
Il mio paese è stato patria e genitura di menti illustri e geniali, ha conosciuto imperi, guerre, divisioni continue ed infinite lotte intestine, è stato grande a volte, piccolo per la maggior parte del tempo e quasi sempre schierato a favore di chi lo favorisse.
E' abitato da esseri umani, come me e te, e questo non può certo giovargli, ma ciò che mi rende atterrito, ultimamente, è la connaturata abilità di tali esseri nell'esercizio delle più basse e controproducenti attività sociali.
Non è facile, posso assicurartelo, tentare di mantenere un pensiero civile ed il più possibile oggettivo all'interno di una trincea in fiamme.
Mi è stato insegnato, sotto la possente cupola ideologica dell'aura cristiana che avvolge la cultura generale di tale paese, ad essere attentamente rispettoso delle altrui libertà, il più possibile giudizioso negli atteggiamenti personali e assolutamente critico nei confronti di me stesso. Questo avrebbe dovuto portare, nella favola che mi venne narrata in infanzia, alla mia realizzazione come abitante del mondo, alla condanna di una fatica incessante ma ben ricompensata per la crescita della mia collettività e ad un riposo meritato nell'ora del mio stesso tramonto.
Posto che io non sia mai stato d'accordo nemmeno su tale favola, non ho mai trovato motivo di preoccupazioni generali, additando me stesso quale entità inadatta, ma facendo salvezza del sistema costituito; il quale, pur con numerosi attriti ed inceppamenti, sembrava funzionare.
Ma tutto questo, sempre che sia stato, non è più.
Nel mio paese regnano unicamente sogni distorcenti, incubi stordenti e chiacchiere invadenti.
Non vi è alcuna prospettiva per alcuno, non vi è alcuna evoluzione, non vi è alcuna luce che segnali l'uscita dall'ipotetico tunnel. In questa dimensione viene a mancare ciò che più di ogni altra passione mantenga in vita i membri della nostra razza: la speranza.
Io non so, caro amico ipotetico, in quale paese tu viva. Potrebbe essere persino peggiore del mio, ma stento a crederlo.
Pur sotto il giogo delle peggiori dittature, delle forze più stritolanti e totalitarie o dei regimi più spietati ed invasivi rimane ben visibile la traccia del potere ed il suo effetto.
Rimane allo schiavo l'unica vera occasione di salvezza rimastagli: la visione della propria catena.
Nel mio paese è stato possibile travestire da libertà la costrizione e da libera scelta la coercizione.
Siamo immersi in un liquido, il quale non conosce porte o finestre. Esso trasuda, gronda, gocciola, persino con lentezza esasperante, attraverso le pur minime fenditure, arrivando ad attaccare il cuore più profondo dell'umana coesistenza: l'empatia.
Senza empatia non può esistere civiltà, perchè essa è il veicolo principale della compassione, nel suo vero significato di "condivisione della sofferenza", non nel significato snaturato oggi in uso di "pietà per il più sfortunato".
E' possibile avere compassione solo se si possiede la capacità di condividere il sentimento. Quando noi esseri umani vediamo un altro umano soffrire ci sentiamo subito disgustati e spaventati, perchè l'identificazione è automatica.
In questo paese, di norma, non è molto in voga tale identificazione.
Per natura l'italiano trova più realizzazione nel sentirsi superiore agli altri, per furbizia o per possibilità, trasformando appunto l'empatia in antipatia.
Sebben sia un termina dall'accezione negativa, l'antipatia è divenuta oggigiorno il vero stendardo sotto cui si raduna la valorosa ciurma dei vittoriosi, in questo paese. Più il livello di inciviltà si innalza, più il disprezzo delle regole diviene manifesto, più la barocca manifestazione del potere diviene oscena e plateale, più si viene innalzati.
Questa perniciosa capacità degli italiani è rilevabile ad ogni stato di aggregazione civile, non solo nei macrosistemi enumerati in milioni di soggetti. Ho sempre rilevato questo arrivismo bieco e macchiavellico in ogni gruppo sociale a cui abbia aderito. Non ho mai rilevato una maggiore capacità di guida, da parte di coloro che ambissero a posizioni superiori, ma unicamente il fregio stesso dello status ottenuto. Nessuno che io abbia visto guidare una collettività lo faceva per merito di capacità. Guidava perchè sapeva di essere al comando, non era al comando essendo in grado di guidare……
Questo ha generato ovviamente un'idiosincresia, nei confronti del potere che avrebbe dovuto governare.
Abbiamo sempre vissuto in un paese che giudicava lo "stato" come un nemico, un cancro alieno che attentasse al nostro benessere. Ben pochi hanno mai parlato dello stato utilizzando l'unico pronome che avrebbe spiegato tutto: "NOI". Ognuno era "stato", in uno stato che era percepito come "altro" ed "opposto".
La volontà quindi di aggirare lo stato, è sempre stata manifesta ed ottimamente perseguita, persino quando questo stato non fosse altro che la comunità in cui si vivesse. Tutti hanno pensato di fregare un'entità superiore, aliena e terribile, mentre fregavano il mondo che preparavano per i propri figli, e se stessi.
L'attaggiamente italiano è del tutto basato sull'invidia.
Ci si oppone o si tenta l'emulazione unicamente di chi generi sentimento d'invidia.
Chi ha capito tale effetto non ha perso tempo nell'allungare le mani sullo scettro del potere, facendo dell'invidia una nuova religione. Ha creato nuovi santi e divinità decadenti, per guidare i desideri e tenere le menti impegnate in faccende senza alcuna conseguenza od importanza per l'evoluzione umana.
Mentre ti scrivo, le mie orecchie grondano di parole ridondanti, che sento vomitare dagli schermi e dagli altoparlanti senza tregua. In questo paese il chiecchiericcio idiota e pettegolo è ormai considerato la più alta forma di dibattito civile.
La confusione, che è sempre stata l'arma più affilata di chi si trovasse alle leve del comando, è divenuta un vero caos primordiale, un brodo indistricabile in cui galleggiano frammenti di tutto e nulla, alla deriva.
Su questo brodo c'è chi sfreccia con barche di lusso e chi affonda annaspando, ma non è nemmeno questo l'importante, perchè così è sempre stato in ogni società umana ed ho perduto ogni illusione che possa essere differente il destino della mia (mio malgrado) razza.
Ciò che mi toglie ogni speranza è che persino la più piccola cellula di questa entità-stato sia stata attaccata e contaminata da questo virus.
Ormai vi sono solo due tipi di codardi: chi non riesca a frenare il proprio impulso di soverchiamento e chi non faccia altro che frenare il proprio impulso di sovversione.
Io appartengo alla seconda categoria. Non perchè io sia un santo, ma semplicemente perchè ho vissuto e sono stato educato in maniera differente.
Ho sempre creduto che la modesita fosse la prima chiave d'accesso alla simpatia. Non ho mai fatto vanto dei miei successi, ed ho sempre messo ben in evidenza i miei fallimenti.
Ho sempre creduto, e credo ancora, che gli esseri  umani si misurino sulla coerenza nei confronti delle proprie idee, comunque e qualunque esse siano. Ho sempre creduto che la  realizzazione di un essere umano passasse non solo attraverso ciò che egli ottenesse, ma sopratutto attraverso ciò a cui rinunciasse.
In questo stato, rinunciare a qualcosa in favore di un'idea, è un concetto talmente avulso da sconfinare nella pazzia.
In questo paese colui che rinunci spontaneamente a qualcosa di desiderabile perchè eticamente o moralmente scorretto viene etichettato come "coglione".
Vi è una forma di adorazione, nemmeno troppo sotterranea, per chi borseggi con stile ed un disprezzo piattamente retorico per chi si opponga con l'astensione. (Nel mentre si chiede di rinunciare ancora un pò a chi abbia sempre dovuto farlo, mantendo ben alto il livello di allenamento.)
Il potere, in questo paese è fatto unicamente di forma, non di sostanza. E' fatto di immangine, non di contenuto.
Il potere deve essere mostrato e dimostrato, senza freno all'atavica fame di possessione del "tutto".
Caro amico lontano, non so come funzioni il tuo paese, non so chi tu sia e come tu viva.
Vorrei solo dirti che non credo affatto che le mie idee fossero sbagliate. Credo che in questo paese sia sbagliato principalmente avere delle idee, perchè si è condannati ad una sofferenza senza fine e senza colpa.
Vorrei solo un attimo di verace compassione, da parte tua. Vorrei poter credere che il pensiero di una mente libera, anche in un mare virtuale, possa arrivare un pelo più vicino alla linea di orizzonte di quanto potrò mai fare io.
Vorrei che qualcuno si ricordasse che non esiste un mondo di luci, colori, piaceri ed irresponsabilità.
La responsabilità è il vero lavoro dell'uomo, non costruire bulloni o copertoni.
La responsabilità di sentirsi parte, non al di sopra delle parti.
Quello è un sogno che tutti noi umani abbiamo di tanto in tanto. Ma deve rimanere limitato al proprio fumoso universo onirico, che è sacrosanto e va difeso strenuamente. Ma la linea di confine deve essere ben chiara.
Chiunque ci racconti che siamo tutti piccoli imperatori sta cercando di ottenere schiavi consenzienti.
Io non cambierò mai il mondo, e probabilmente nemmeno un'idea. Come codardo posso solo lanciare la bottiglia ad uno sconosciuto. Perchè se per caso trovasse giuste le mie idee, potrebbe chiedermi di guidarlo.
Io non posso guidare nessuno, però. Nessuno può guidare nessuno. Ma tutti dovremmo avere il coraggio di guidare noi stessi, attraverso le anguste fenditure tra gli spazi un cui si muovono tutti gli altri.

P.s.
Non ho fatto alcun nome. Nemmeno il mio. Perchè noi umani ci aggrappiamo troppo ai nomi. Pensiamo che eliminato un nome sia elimato un problema. Ma il problema è nelle nostre menti, nelle nostre cellule, nella nostra storia.
Queste righe possono essere state scritte da chiunque, in qualunque epoca. Solo la connotazione geografica è chiara, perchè è l'unica all'autore ben nota.

N.

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Ci sarebbe molto da scrivere, molto da raccontare, molto su cui riflettere.
Ma non ne ho voglia, ed ancor meno.. energia.
Imperator Autunno sta accarezzando voluttuosamente le foglie, con quel tocco lieve e deciso che le farà inevitabilmente arrossire.
Attendo con ansia le colate di rame e bronzo sui miei colli brumosi, una delle poche e modeste pillole di sollievo che io possa godermi la mattina, da qualche cavalcavia, mentre mi appresto a cestinare un ulteriore giorno di vita.
Di tanti sentimenti contrastanti che si agitano nelle mie viscere, non potrei nemmeno fare una panoramica, ed ancor meno dipanarli in uno schema.
Le voglie di fuggire e rimanere, di amore ed isolamento, di attività ed ozio, di caduta e trionfo, sono nuovamente troppo indistinte e sfumate tra loro.
Una tavolozza che non vuole divenire quadro, dalla quale traspare però una poetica sottile, quasi impalpabile, simile alla strana musica di un'orchestra che accordi gli strumenti.
Un caos finito, che forse diventa più vita e più realtà dell'ordine al quale siamo stati educati anelare, un paciugo gustoso di gusti diversi in fase di scioglimento nella cialda.
Forse, pur con i suoi violenti conflitti e le improvvise battaglie, mi lega un nodo simile all'amore, o almeno a ciò che più mi ricordi il ricordo dell'amore. Ben diverso dai simulacri brevi e dai sarcofagi marmorei ai quali la vita mi aveva abituato. Una cosa viva, mutevole, pericolosa e desiderabile. Come una caccia continua, un duello danzante di mente e corpo.
Forse faticoso, ma sicuramente stimolante. E per quanto mi riguardi la fatica è nulla, se sostenuta dall'interesse.
Fisico, più fisico di ogni altro prurito carnale che mi sia mai capitato. Capace di fusioni cellulari.
Mentale, più cerebrale e contorto di ogni mio stesso ragionamento labirintico. Capace di orgasmi onirici.
Una nota non sempre lieta, ma sempre tonante, sostenuta, vibrante.
E una strana festa di vecchi compagni di strada nei miei sotterranei casalinghi.
Una festa di colori e giochi, parole e lazzi, un nuovo modo di essere anticamente insieme.
A volte sembra che qualcuno abbia riavvolto il tempo, e subito dopo è di nuovo un futuro senza porte o un presente senza finestre.
Un'altalena continua di sensazioni forti e gioiose ed un piatto grigiore da tabellino ministeriale.
Quasi una schermaglia, tra la vita in quanto essenza ed il suo svolgimento in quanto struttura.
Non ho di che lamentarmi.
Come mi insegna la Principessa ranocchio : Forse non avrò mai ciò che voglio, ma ho sempre avuto tutto ciò di cui avevo bisogno.
In realtà c'è poco su cui riflettere, quando sarebbe tutto da cambiare. E non nella mia vita, che trovo egregia se considerati i miei mezzi, ma nel contesto all'interno del quale essa si muove, che è una morte della morte stessa.
Ma non sono in vena di invettive.
Cambierò la macchina ma non cambierò il mondo. Neanche pagandone a rate uno nuovo.
Imperator Autunno ha da sempre la magica capacità di rallentare la percezione temporale ed allungare la distanza focale.
Sembra che il mondo muoia, ma in realtà ha solo bisogno di una pausa.
Una pausa che non ci siamo concessi, noi umani. Un quarto dell'anno speso a riflettere per poi rinascere non sarebbe tempo sprecato, a mio avviso.
Una pausa che potrò gustarmi solo nella sensibilità, che sempre più spesso mi porta alle lacrime. Lacrime di nostalgia.
Nostalgia dei cavalieri di Rohan sfreccianti sui campi del Pelennor.
Delle foglie di Lothlorien.
Della luce di Earendil.
Vorrei anche io, nel momento più oscuro alzare la testa e gridare "Arrivano le aquile!".
Ma il cielo è una lastra di ardesia o cobalto. Ancora non ci hanno risposto.
Per cui percorro il mio Gorgoroth, aggrappato a quella flebile speranza (o incrollabile determinazione) che fa di me un piccolo hobbit.
Chiunque abbia udito i canti degli elfi e veduto i boschi di Caras Galadhon percorrerebbe mille terre d'ombra pur di salvarne quantomeno il ricordo.
I boschi d'autunno mi ricordano questo.
Pensieri intrecciati come una bordatura celtica, su un campo di rame infiammato.

 

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agreste

 

Pallido e assorto.
La calura estiva porta sempre con se momenti di grande riepilogazione, nella mia mente. Il che è anche un pò assurdo, ma sottolinea quanto io sia fatto in maniera totalmente diversa dal resto della mia razza, o quantomeno dalla parte più consistente di essa.
Estate, per la maggior parte degli umani occidentali, significa proprio il contrario: spegnere il cervello e cedere all'istinto.
Operazione divertente, in effetti, per chi in fondo il cervello lo accenda assai di rado, o non abbia mai trovato il magico bottone on/off. Piacevole anche per chi decida che per una stagione si possa anche cedere alla biologia o più sempicemente alla follia.
Nessun giudizio, ovviamente. Solo una punta d'invidia sull'affilata lama del "beato chi ci riesca"…..
Forse anche battere la gelateria Mauritius è un rischio di contraccolpo. Al di là del gelato più delirantemente buono del multiverso, è la frequentazione estiva che lascia perplessi.
In parte sembra di vedere i soliti manzi e scemotte con cui tutti noi nerds abbiamo dovuto aver a che fare in adolescenza…in parte… sembrano figurine da album.
Fisici perfetti e scolpiti, facce giuste, vestiti aderenti, non un capello fuori posto, non una sbavatura di genere.
Sembrano tutti diplomati in trucco, tutti fotomodelli provinanti, tutti soldatini di piombo usciti da uno stampo spietato, ipertecnologico, che non ammetta errori.
Io ed il Bardo li fissavamo increduli.
Certo, noi siamo composti da eccezioni, singolarità e qualche particolarità, non abbiamo nulla di classificabile come massificatamente "bello". Ma anche guardando le nostre foto alla loro età…sembravamo tutti dei pezzenti. Anche i più modaiaoli, i più raffinati, i più lustrati e lucidati tra noi…..
Ragionavamo appunto quanto, per assurdo, l'umano abbia superato i proprii miti per fanatismo d'imitazione.
Le stesse rockstar o popstar o dadi Starr che essi imitano, dal vivo…non sono belli e lustrati quanto loro!
E forse è stato guardarli più volte, che mi ha ricordato la mia adolescenza.
Che periodo sanguinario….
Noi nerds rischiamo di non uscirne vivi. Con la testa piena di giochi di ruolo, poesie, film e altre romantiche blaterazioni fuori moda….
Chi aveva troppa pancia (uno a caso..), chi troppi brufoli, chi troppo pochi capelli, chi un fisico troppo gracile….
Un delirio. Con una torma di giudici coetani tutto intorno a infliggere ferri roventi nelle carni ad ogni alba.
Si, credo di essere rimasto traumatizzato. Non è una vergogna.
Non ho mai capito perchè si debbano distruggere le persone. O si accettano, o si epurano dalla propria vita.
Ma non le si tiene per aver un topino con il quale farsi gli artigli. Pratica che molti protano avanti anche durante l'età adulta, facendone sovente un'arte.
Ma il caldo mi ha ricordato anche come reagivo e come reagirei.
Sulle prime mi chiesi come sarebbe stato essere adolescente ora, tra quei grappoli di figuranti per sfilate di moda e fotoromanzi.
Ma poi mi ricordai di come avevo reagito al mio momento.
Con l'isolamento.
Io non sarei stato li alla gelateria.
Semplice.
Sarei stato magari sulla collina vicina, seduto sull'erba, con la muscia nelle orecchie (e probabilmente musica classica) a dipingere i cirri ed i nembi in corsa sulla mia testa.
Il caldo estivo mi ricorda le passeggiate tra i balini di fieno, su sterminati campi mietuti, irti di soppie dorate, croccanti al passaggio come grissini arborei. Il mio isolamento agreste…..
Mi ricorda il ritmico canto del cuculo tra le alture poco distanti, il mormorio delle foglie, il baluginare argenteo delle tele di ragno. I fossi, deserti di rane che tanto inseguivo, gli insetti multiformi, i muschi abbarbicati, come barbe dignitose di rocce antiche e sagge.
Ed ora, più che dell'adolescenza e dei suoi tormenti, mi chiedo perchè tutto quello non avesse un nome.
Non riconosco un albero da un altro, un'erba, una pianta….
Non so a cosa servano, quali siano velenose, quali siano benefiche, come vivano, dove crescano e perchè.
Io, civico cittadino, cresciuto a rombi di motore e inalazioni di smog. Figlio del ferro e del mattone, progenie dell'intonaco asettico, del panno Swiffer, del mocio Vileda. Armato di detergente e disinfettante…mi muovevo allora in un affascinante universo alieno: il mio mondo!
Oggi, mi dispiace più che altro di aver perso i contatti con le cose basilari…
Il passare del tempo, la collettività tribale, il cambiare della luce, delle stagioni. Il ritmo della terra.
Sapere i nomi, le proprietà, le storie e le leggende di ciò che mi circondi, udire i richiami, i canti.
Avere paura e provare meraviglia.
Questo vivere in un mondo per uomini, fatto da uomini, con regole da uomini, scatole dentro scatole dentro scatole…. comincia a sembrarmi… ridicolo.
Ridicolo, più che triste, pericoloso od opprimente.
I miei polmoni cercano un respiro agreste.
Un campo di colori caldi. Le foglie sospese nell'aria, erba punteggiata di fagiani. Crepitìo di brace. Odore di legno bruciato.
Rombo di tuono lontano. Richiamo echeggiante di animale sconosciuto. Folata di vento umido.
Sipario.

 

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A volte lo stimolo più assurdo può provocare la reazione più sorprendente.
Avrei mille motivi per essere agitato, dalla semplice incazzatura giornaliera all'elettrica eccitazione per le cose nuove e gustose.
Dovrei essere esplosivo, nel bene e nel male, ma in modo frenetico e passionale.
Invece, inspiegabilmente, sono pervaso da un misterioso e maestoso senso di calma.
Come se per una volta, senza promessa di mantenimento, tutti i pezzi del mosaico fossero andati a posto e mi avessero fatto vedere, per un attimo, la figura completa.
Nessuno degli elementi in gioco avrebbe avuto il potere necessario per fare tutto questo, ma la loro alchimia, per una volta, ha dato un risultato non preoccupante.
Sono pervaso da un possente senso di fatalità, ma non maligno, come mio solito.
Semplicemente, in questo momento, non vedo più il bene ed il male. Non percepisco più l'errore o l'eccellenza.
Per un momento, non so perchè, si è chetato il giudice che da sempre mi ha smembrato l'anima e la visione del mondo.
Sinceramente, me ne fotto.
Di tutto.
Ma non è un fottersene cattivo e rancoroso, non è un "vaffanculo".
E' semplicemente una sensazione di scivolosità. Le cose mi arrivano e scivolano su una guaina di unto che mi contiene, e non si aggrappano. Non è nemmeno un chiudere le orecchie o gli occhi, perchè sento e vedo tutto….
solo che quello che vedo e sento ha smesso di preoccuparmi.
Sembra quasi che tutte le prove affrontate negli ultimi anni abbiano dato il loro frutto.
Mi sento sereno perchè il mio senso atavico di inadeguatezza si è lentamente dissolto. Qualcuno potrebbe dare tale merito alle palpitazioni del cuore o del pene dell'ultimo periodo, ma niente è più lontano dalla realtà.
Il vero miracolo si è formato nei lunghi mesi di solitudine che ho passato , per mia scelta, dallo scorso autunno.
E' stato rimanere un pò con me stesso, solo, che mi ha cambiato veramente.
Ci sono state serate da cavarsi la testa e gettarla dal balcone, ma non è stato vano.
Lentamente, con un'agonia talmente lenta da far sentire orgogliosi i bradipi, ho purgato i miei demoni.
Mi sono accorto di ogni potere nelle mie mani, dell'effetto che ho su chi mi circonda, della follia che mi pervade, che ogni tanto azzecca anche qualche genialata leggera. E non mi sento "migliore". Mi sento, finalmente mi sento, ed è tutto un altro paio di maniche.
Prova dopo prova il senso di inadeguatezza si è attenuato. E non solo gli uncini da inquisitore hanno smesso di tormentare me, ma hanno smesso di tormentare tutto. Non mi sento più in guerra con il mondo, mi sembra solamente che il mondo non possa farmi proprio nulla…..
Non è che sia un momento in cui le vessazioni della malasorte o le preoccupazioni per il futuro siano più tenui, perchè questo spiegherebbe molte cose. Anzi, ne avrei da imparanoiarmi da camminare sul soffitto.
Invece niente. O è il punto di rottura (di coglioni?) dopo il quale si gettano le armi, oppure c'è una nuova saggezza in me.
Una saggezza nata dalle perdite, principalmente. Come se anche il tragico e l'inevitabile avessero trovato una loro collocazione nell'apparente nonsense della vita.
Come ho detto più volte, ho affrontato quasi tutto ciò che mi terrorizzava. Non mi è rimasto molto, a farmi paura.
Accetto le sfide, o le fatiche o i dolori. L'unica limitazione che impongo è di averli scelti, scientemente.
Di essere stato consapevole.
Molti pensano che ci sia una ferita in me che non guarirà mai. Pensano ad una storia travagliata e finita in tragedia. Perchè è quello che hanno visto, o quello che ho raccontato, visto che sono sempre stato un melodrammatico figlio di puttana. Ma delle mille oasi di paradiso, all'interno di quel macello nessuno credo sospetti, o ricordi. Io ricordo.
Molto bene. E tutto l'inferno che girava intorno valeva quelle chiazze di paradiso, altrimenti non sarei rimansto li.
Non sono un reduce massacrato, sono un veterano. Ho molte cicatrici, ma ancora tutti gli arti a posto.
La mia armatura è ammaccata, ma la mia pellaccia e molto più spessa.
Non mi sento triste, non mi sento indifeso e non mi sento disarmato. Anzi, mi sento molto pericoloso.
Ma non sono per nulla aggressivo.
Tutte le sensazioni si sono fatte più tenui, più rarefatte. Non che un tramonto o una sinfonia non mi commuovano più, mi commuovono in maniera più delicata, meno sconvolgente.
Comincio a pensare che inferno e paradiso siano solo stati dell'anima. Fors el'inferno non è altro che un luogo di passioni violente, potenti e sconvolgenti. Anche positive, per carità. Ma in qualche modo incontrollabili.
Il paradiso dovrebbe esser eun luogo di pace, più che di piaceri. Un luogo di equilibrio, dove tutto divenga più impalpabile, più etereo.
Non mi preoccupo di me, ed anche poco degli altri. Non ho più consigli, se non quello di provare, di cozzare contro il proprio demone e vincerlo o soccombere.
Ma veramente, non credo più che vi siano errori.
Quello che mi circonda è di una bellezza estesiante, e tutto ciò che lo compone è qualcosa che io ho voluto. Tutto ciò che non ho voluto è lontano oppure non mi tange per nulla.
Può sembrare un discorso retorico da new age. Ma provarlo per qualche giorno è veramente un'esperienza nuova, per me.
E' più che sentirsi indistruttibili. E' come essere consapevoli che non ci sia nulla che possa essere distrutto.
Semplicemente, tutto si trasforma.

 

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