Feeds:
Articoli
Commenti

Posts Tagged ‘me’

Gustav Dorè – Paradiso perduto


Strano, ma anche sorprendente.
Come ogni momento di abisso già assaporato in passato, anche questo sembra giungere al termine.
Non mi abbandonerà mai, la tenebra, ma alla lunga riesco ancora a contrastare i suoi attacchi, i quali si fanno sempre più violenti, più profondi e laceranti.
E’ dannatamente difficile contrastare gli attacchi di una forza che viene dall’interno, una forza così subdola e raffinata nel suo stringere la morsa e avvinghiare ogni senso.
Per la prima volta in vita mia persino la carne ha risposto al suo attacco.
Tremori, scatti nervosi, nevrosi e disturbi dell’equilibrio.
Ed il primo blando ansiolitico, per sentirsi volenti o nolenti finalmente uomini moderni.
Ma c’è un fondo anche alla tenebra. Forse con l’aiuto del primo sole primaverile qualcosa in me ha cominciato a ribellarsi.
Non come fece un tempo, con la ferocia, con l’azione, con la materia.
Non sono più così “giovane”, anche se si parla di pochi anni fa in realtà.
Questa volta è una presa di coscienza più profonda e meno rabbiosa. Una sorta di accettazione (assolutamente non compiaciuta, ovviamente) di ciò che sono e di ciò che mi compete.
Una sorta di risveglio spirituale che non chiede una cambiamento nell’azione, ma nell’atteggiamento.
Doversi inchinare alla propria essenza è in definitiva il più faticoso esercizio concepibile per le articolazioni del ginocchio.
Io detesto inchinarmi, persino a chi reputi superiore, figurarsi a me stesso, che tra tutti sono certamente il soggetto più estraneo alle mie grazie.
Una sorta di orgoglio rimane, nonostante ( o forse grazie anche) le continue accuse che ho ricevuto ultimamente: superficialità, disimpegno, scarsa autostima e una sorta di tenebrosità autoinflitta e compiaciuta.
A parte quest’ultima, che trovo più che veritiera ma mi da più piacere di ciò che potrei fare senza di essa, sono sempre imbarazzantemente compiaciuto nel nettarmi le natiche con l’altrui giudizio, che il più delle volte è sputato da denti colanti invidia o da fauci bramose di raggiungere il proprio scopo.
In realtà sarei molto più mostruoso e spietato di quanto chiunque dei miei accusatori potrebbe anche arrivare ad immaginare, perché è questa la vera discriminante: Io immagino di più e meglio.
Non indosso personaggi, io divento personaggi. Almeno quelli in cui posso entrare.
Posso anche mordere i cuscini la notte perché alcuni personaggi molto divertenti e affascinanti non saranno mai miei… ma quelli che mi appartengono li considero quasi ineccepibili.
Certo, a volte mi chiedo se sia stato io a scegliere loro o mi siano stati imposti, ma non c’è risposta, nemmeno in molte vite a questo quesito, figurarsi in una vita sola.
Non credo otterrò nulla di ciò che vorrei assaporare nel reale, perché alla fin dei conti io sono metaforicamente un vampiro. Mi nascondo dalla luce pur rimpiangendola, e sono assetato del sangue degli altri, dei loro segreti, della loro vita, delle loro esperienze.
Forse per sopperire alla mia mancanza di amore per la vita mi struggo perché la vita stessa non mi investe come un’onda oceanica, per martellarmi con una potenza divina, finché io stesso non avrò scusa, non avrò alcuna scappatoia che dichiararla forza vincente e somma. Finché non sarò preso con la forza la dove non posso essere preso con la fede.
Lentamente, dopo un ennesimo viaggio nella mia bara di solitudine ed oscurità ritrovo l’unica cosa che un’ anima sola e dannata da se stessa possa trovare nel proprio sepolcro: di nuovo se stessa e niente altro.
Sarò sempre un perdente, non agli occhi del mondo (con il quale, nuovamente, mi netto le natiche) ma ai miei occhi. Ma un perdente spiritualmente vittorioso.
Non mi tradisco e non mi forzo a mutazione. Non sono indulgente con me stesso, per quanto riguarda i sensi quanto per ciò che riguarda la filosofia.
Non mi perdono ma quando occorre vorrei lasciare che io possa essere premiato.
Certo, saranno medaglie visibili solo a me, ed anzi, per molti saranno macchie sui panni della festa.
Ma poco importa. Se fossi meno cauto (ed è quasi impossibile essere saggi senza essere cauti, ed essere cauti è ben diverso dall’essere timorosi) avrei potuto ottenere molte delle cose di cui ora patisco la mancanza. Anche se fossi stato meno onesto.
Dopotutto chi possiede la chiave dello scrigno di dolcezze che bramerei aprire appartiene ad una genia stupida e superficiale, ben contenta di farsi ammaliare per essere raggirata.
I miei desideri sono posti tra le mani di creature che trovo per lo più miserevoli, ma spesso anche scostantemente odiose. E anche questa è una forma di dannazione.
Non posso cambiare la natura altrui e non intendo cambiare la mia solo perché i miei avversari sono più numerosi di me e su di me possiedono un forte ascendente, in grado di farmi perdere la mia “verovisione” che tanto idolatro.
Non solo contro le forze altrui si ingaggiano lotte per tutta la vita, ma anche contro le nostre stesse debolezze. E questa lotta senza tregua su ogni fronte è un massacro interiore, una carneficina grandguignolesca dalla quale solo i più determinati e i più incrollabili potranno uscire con ancora un brandello di ciò che furono in origine intatto.
Sostanzialmente un frammento non più funzionale, ma vestigia di un’originale purezza; per nutrire almeno la nostalgia, la quale sarà l’ultimo sentimento ad abbandonarci tutti.
Striscio quindi verso un sole nascente ma preparando nel cavo orale uno sputo pronto all’uso, che la luce è una forza piena di promessa e si bea del suo potere di attrazione, ma conosco la sua capacità di accecare e i suoi scherzi illusori.
Non più felice, perché la felicità è un lusso che solo i giovani possono permettersi di voler raggiungere, ma un po’ più sereno, giacché alcune cose non posso ottenerle perché non mi è permesso, perché non è destino, non è la dimensione giusta. Non sempre è una vittoria delle mie debolezze a concedermi una sconfitta, a volte è una trionfo di forze esterne che si oppongono con protervia e non vi è alcun modo per far cambiare il loro modo di agire.
Non mi sento assolto e non vedo alcuna promessa per il futuro, non per me.
Ma mi sento più tranquillo.
Non riesco ancora a sorridere con entrambi i lati della bocca, ma con uno alla volta, prudentemente, ce la faccio…..

Read Full Post »


Il mio peccato principale è sempre stato l’invidia.
Nessuno che io conosca, credo, riesce ad invidiare a livelli talmente epici e raffinati. Se la mia invidia fosse un ago terminerebbe in una punta monomolecolare. Potrei spaccarci i quark.
Eppure, nonostante il suo primato di preferenza, essa non siede su di un trono sicuro e stabile. Un avversario pericoloso ed irragionevole attenta di continuo a quella posizione predominante. Un avversario che sarebbe un alleato nella lotta per la dannazione della mia anima. Ma forse sono così sinergico ai i miei dannatori da concedere loro persino il lusso di abbandonarsi a lotte intestine di potere. Dove mancano loro, continuo da solo. Ecco a cosa è servito fare dell’autonomia il mio baluardo….
L’avversario è un altro peccato capitale: Ira.
Famelico, violento, furioso.
Pessimo elemento. Si nutre a dismisura, perché tutto ciò che mi circonda, prima o poi, in misura maggiore o minore, volontariamente o involontariamente…. non fa altro che accrescere la sua mole e la sua forza.
Ed il suo appetito non si placa.
Quando non attenta al trono di Invidia ne è il fedele mastino, il generale in capo di quell’esercito di negatività che esplode volando fuori dal mio spirito.
Invidia è lo stratega. Sa bene dove e come trovare cibo per Ira.
L’ho sempre immaginato come uno strano Dio Egizio zoomorfo, dal corpo umanoide ma con la testa di una zanzara. Occhi enormi, grandi come quasi tutto il cranio per vedere ogni cosa, per accorgersi di ogni cosa, per rilevare ogni cosa. Ed lungo tubo per bocca, per suggere la linfa altrui o, quantomeno, per l’intenzione di farlo.
Vedere e succhiare. Questo è tutto ciò che fa l’invidia. Desidera e trasforma il desiderio in tormento.
L’Ira non vede, non ha occhi. Ha solo zanne e forse qualcosa di simile a narici, per percepire unicamente una traccia di direzione appetibile per portare caos e distruzione. Non è qualitativa. Invidia lo è.
Per questo è lui che da gli ordini. Ma Ira non conosce ragionevolezza e non ha alcun rispetto delle posizioni. Per cui ogni volta che viene sguinzagliato c’è il serio pericolo che se ne perda il controllo.
Allora non esiste più obiettivo. Esiste solo un cieca furia che odia tutto ciò che esiste. Un odio che ormai si astiene persino da ogni giudizio. Una volontà distruttrice che godrebbe unicamente nel vedere il mondo divorato dalle fiamme, senza precisa ragione ma con tutte le ragioni possibili.
Ad un occhio poco allenato, ad uno sguardo poco profondo verrebbe facile additare Gole o Lussuria come miei peccati principali. Ma non è così.
Essere un ciccione non significa necessariamente essere dominato dalla Gola ed essere un uomo con pulsioni normali non significa essere dominato dalla lussuria. Entrambe queste forze le ho dominate a più riprese, per i miei scopi non certo per i loro, quantomeno per l’egoistico orgoglio di vincere la loro forza.
Che è grande. Solo uno stupido sottovaluterebbe quella potenza.
Eppure Gola riesco a vincerla per Vanità e Lussuria per Superbia.
Adoro rivoltare il male contro se stesso. Così in un modo o nell’altro gli altri peccati vengono tenuti in una posizione di mediocrità. Anche l’Accidia, che in fondo spesso mi prende nei momenti di sconforto, ma grazie all’ira che mi fa passare all’azione spesso viene annientata.
L’Avarizia direi che non so nemmeno cosa sia, non essendo mai stato ricco o tirchio e vedendo come butta la vita, direi che almeno uno dei peccati capitali me lo sono risparmiato….
Eppure non credo sia chiaro a chi mi circonda di cosa io sia così grandemente invidioso.
Gli esseri umani tendono a relegare l’invidia a cose molto pratiche. Si invidia un possedimento, un’abilità, un dono.
Di solito si invidia una cosa, propria della persona o oggetto.
Io non invidio tanto quello. Ovvio, uno che si scopa una gran bella figa mi fa invidia, ma non invidio quella cosa in se.
Quello che invidio io è la POSSIBILITA’.
La possibilità è tutto, è l’unico campo di battaglia e l’unico tribunale celeste.
Solo di fronte alla possibilità possiamo decidere chi siamo realmente. Senza possibilità un mostro può tranquillamente condurre la vita di un virtuoso, ed il più immacolato dei virtuosi può trasformarsi in mostro di fronte ad una singola possibilità.
Quello invidio.
La scelta.
Io sono quasi sempre stato un virtuoso forzato. Come se qualche autorità celeste mi facesse il vuoto intorno per proteggermi o per proteggere il mondo.
Invidia ne è ghiotta.
E forse è vero, forse è la mia Superbia che vorrebbe solo un’occasione per rifiutarla, per illudermi di essere un essere a se bastante, corruttibile ma non sempre.
Un piccolo Dio isterico tutto intento a farsi le regole e giocare a rispettarle.
Ma non si può essere un Dio senza scelta. Gli schiavi sono senza scelta.
I morti sono senza scelta.
Ogni giorno sono senza scelta, in quasi tutti gli aspetti della vita. Non posso decidere quando svegliarmi, mangiare, faticare e riposarmi. E’ tutto già deciso da altri e questo è il sistema.
Lo chiamano libertà. Ed un sacco di imbecilli crede che questa sia veramente libertà.
Io no. So di essere uno schiavo e se invidio qualcuno per ricchezza non è certo perché appagherebbe la mia superbia.
Di certo non comprerei una fuoriserie per pavoneggiarmi.
L’unica cosa che vorrei è decidere ogni giorno quando svegliarmi, mangiare, cagare,dormire o faticare.
Scelta.
E anche nei miei pulciosi affari sentimentali non è mai mia la scelta. Non scelgo io con chi avviare una storia, non entro nel campo delle possibilità reali. Non scelgo io le regole. L’unica scelta che ho è una scelta passivamente attiva. Mi vengono proposte delle cose e io posso rifiutarle o accettarle.
Non mi è data possibilità di proporre cose e prendermene la responsabilità. Le mie richieste sono piscio nel vento.
Mi viene offerta una ciotola, piena più o meno di merda appetibile o rivoltante. Ed io, come un cane, posso solo scegliere se ingoiarla o lasciarmi morire di fame.
Non mi è stata data facoltà di scelta attivamente attiva.
E rifiuto, spesso. E mi lascio morire di fame.
Un’agonia lenta e logorante, tale da far sognare un colpo di spada alla gola quanto un balsamo ristoratore.
Per Superbia rifiuto?
Forse.
Ma è più forte l’invidia. L’invidia per chi mi circonda e non si sa come ha sempre una scelta. Per chi tronca una storia e ne ricomincia una il giorno seguente. Per chi ha tre storia contemporaneamente. Per chi ha qualità migliori e migliori capacità di impiegarle nemmeno tanto, perché dopotutto, rendo onore al merito e tanto di cappello.
Ma ci sono gli inspiegabili. Quelli che prendono la diarrea solo nell’esatto momento in cui il prezzo della merda sale alle stelle.
Invidio la fortuna?
Si. Perché ben poca ne ho conosciuta, giusto quel tanto da salvarmi dallo sfacelo totale in più di una occasione ma mai tanta da rendere la mia vita più eccitante di un elenco telefonico scaduto.
E alcune condanne sembrano impresse nel karma: la povertà, il grasso, la solitudine, l’inadeguatezza, l’odio, la forza maggiore.
Sfaceli che combatto da una vita e rinascono ogni volta come fenici immortali dalle proprie ceneri.
Per mia scelta, per loro abilità, per volontà divina. Ogni volta il motivo può essere differente ma ogni volta il risultato è il medesimo.
combatto contro spiriti intangibili sventolando una mazza di acciaio che li attraversa. E se mai sono stato un chierico il mio Dio mi ha abbandonato. Non ho più energia per esorcizzarli con la volontà… e forse non l’ho mai avuta, perché sono sempre stati qui con me.
I peccati capitali sono scherzi della fantasia, sono psicosi religiose se confrontate a questi demoni che mi perseguitano.
Ed ogni mia ripresa, ogni mio contrattacco è sempre più debole e breve.
Non vincerò mai.

Read Full Post »

Mappamuro

Buffo. Anzi fottutamente buffissimo.
L’ultimo mio delirio su questa pagina virtuale verteva sulla metafora dell’affresco e del muro.
Da due giorni sto dipingendo un muro, per la prima volta in vita mia, sto grafeggiando su un muro.
Probabilmente il termine “grafeggiando” non esiste, per questo descrive ancora più coerentemente il concetto.
Ma partiamo dal principio….
Il muro di camera mia, al secondo piano, con tutti i muri esterni che affacciano sul vuoto… fanno la muffa.
Diciamo che fanno la muffa nei punti in cui qualche mobilio vi sia appoggiato. Questo perché nella medesima camera è presente l’escursione termica più alta della galassia e di conseguenza gli stessi sbalzi di umidità. Inoltre dal 1932, credo, nessuno si è mai disturbato a sverniciare i muri. Ci sono vari strati di vernice tra cui una particolarmente fastidiosa : di quelle lavabili, applicabili a spruzzo, texturizzate. Pressochè una camera iperbarica con la stessa traspirazione di un blocco di ghisa.
Risultato: il mio muro, una volta spostato l’armadio sembrava quello di una segreta medievale molto trasandata. In certi punti era più nero della china da fumetti. Nel complesso un buon effetto sfumato, quasi un carboncino involontario e molto drammatico.
Son cose che saltano all’occhio.
La mia reazione è stata: FOTTERMENE.
Per la bellezza di dieci anni sono riuscito a fottermene.
Ogni donna che fosse entrata in quella camera ha alzato proteste di ogni tipo, dalle più timide e consiglianti agli ultimatum edil-sentimentali.
Io me ne sono fottuto.
Si fa male, morirò, mi scioglierà i polmoni, partorirò un alieno, cagherò funghi.
Fatto sta che me ne fotto. L’idea di pelare a spatolate quel muro mi rivoltava, l’idea di cartare la muffa inutile, già provato. In un cassetto ho ancora una brusca di ferro e i prodotti antimuffa che l’unica mia convivente mi aveva fatto pervenire convinta che la materia potesse cambiare il mio svacco in azione.
ERRORE.
Fottersene e coprirla con qualche poster a me bastava. In camera dovevo dormire e fotterci, e visto che la seconda ipotesi non si verificava così frequentemente potevo anche dormirci come preferivo: con la mia muffa.
E’ malsano?
E’ sciatto?
E’ irresponsabile?
Ne convengo.
Non andando io a troie, non drogandomi, non rubando, non uccidendo, non scialando, non maltrattando… beh è difficile trovare anche qualcosa per la quale insultarmi e rompermi i coglioni. Le donne in verità avranno ADORATO la mia muffa. Era una leva.
E io, me ne fottevo.
Ma tutto è cambiato questo Sabato. Stavo sdraiato sul letto verso l’ora di pranzo riflettendo sulla nullità della vita, sullo spappolamento di coglioni quotidiano dovuto alla vicinanza degli altri esseri umani, sulla crisi sociale globale e la crisi molto più preoccupante di tutti ciò che io conosca ed ami….compreso io…
mi sono voltato verso il muro.
L’ho trovato un affronto. Quel cazzo di muro…
Non per tutti quelli che me l’avessero detto, non per la salute, non per la bellezza, non per la “normalità”…
Lì c’era una cosa su cui potevo fisicamente sfogarmi. Potevo spaccare qualcosa di mio, che tanto era simbolo e baluardo delle cose che vanno a puttane solo per romperti i coglioni.
Volevo fare fatica, sudare, muovere i muscoli distruggendo qualcosa.
Per farla breve mi armo.
Mascherina spazzola ferrata, vestiario da lavoro, teli sui mobili e cartare. Cartare.
Spruzzare con i due flaconi di antimuffa, uno per mano, come un pistolero con due pistole.
Gli ho tirato addosso tutto a quel cazzo di muro.
La mia ira, la mia impotenza, la mia dura cervice e l’odio- amore per questa fottuta casa.
Il mio muro e la mia ira. Scontro di titani.
Dopo due ore non sentivo più le braccia, ero ridotto come una cotoletta umana di polvere, sudore e merda e il muro…. Il muro….
Il muro era un’opera d’arte infernale.
Benchè buona parta della muffa fosse venuta via ciò che rimaneva non era certo un muro bianco. Era un affresco di chiazze, colate, una texture da dipinto psicotico, una base gigeriana per incubi post-atomici.
Con un affascinante effetto anticato. Anticato da rovine, non certo da antiquario, e per questo per me ancora più affascinante.
Ho alzato il livello di sfida. Mi disarmo dalla spazzola e imbraccio la spatola.
Duro metallo tagliente.
Ed è in quel momento che la vernice inizia a staccarsi….
Come un stickers … in certi punti. In altri è fusa all’intonaco. Lo decide il caso dove viene via, è la forza del destino impressa sul mio muro nord.
Sotto la vernice che si stacca c’è una vernice verde militare… di cui nessuno ha memoria, ma c’è ed è intatta, pulita. Nessun segno di muffa.
Dopo un’ora ciò che vedo non è più affascinante… ha una sua personalità.
Sullo sfondo anticato-malsano si delineano macchie frastagliate di continenti misteriosi. E’ innegabile sembra la carta geografica di un mondo sconosciuto…..
Lascio passare il Sabato, mentre quell’immagine non mi lascia respiro.
Nel mio salotto campeggia già una mappa della terra di mezzo grande un metro per un metro.
Sarebbe folle. Sarebbe l’opera di un folle. Solo un pazzo farebbe ciò che io ho in mente….
Ma non resisto. Il mattino di Domenica mi vede già armato di pennelli e tempere acriliche.
Devo provare.
E lo faccio. Disegno una cartina geografica fantasy. Di un mondo che posso inventare io. All’interno di quelle macchie posso mettere ciò che voglio: catene montuose, laghi foreste, città, fortezze…
Perché no? Perché non fare una cosa folle???
Ecco la differenza. Una donna non avrebbe mai accettato di vedermi fare quello che ho fatto.
Per una donna il muro è bianco, in tinta unita, lindo, sano, rassicurante.
Per me è un mondo da inventare.
Certo, certo. Molte donne leggendo ciò griderebbero all’ingiuria per questa accusa così superficiale e generalizzata. Si, lo so.
Siete così dolcemente complicate che nessuno può sperare di capirvi.
Ma un fatto solo è inequivocabile, ed è quello che fa sbroccare le donne: il muro è mio e ci faccio il cazzo che voglio.
E se mai entrasse una donna e fosse entusiasmata dalla mia mappa, allora avremmo speranza di dialogo.
Chi mi prenderà per pazzo o per un maiale che si rotoli nella sua stessa merda avrà sicuramente tutta la mia stima, perché ciò corrisponde ad assoluta verità, ma sarà altrettanto superficiale e generalista.. e a me lontana, che tanto basta.
Io voglio che mi stia lontano tutto ciò che intralcia la mia fantasia..
E la mia pigrizia.
E i miei tempi.
Almeno tra le mura di casa
Perché in dieci anni avrei potuto farlo in OGNI momento… ma le cose non accadono quando gli uteri scampanellano o quando qualcuno lo abbia deciso. Le cose accadono quando accadono, se accadono e come accadono.
Magari la muffa si mangerà il mio mondo di fantasia, con il tempo…. E vincerà lei.
Ma mi sto divertendo. Divertirsi con un muro è quasi miracoloso.
Divertirmi da solo è quasi miracoloso.
Disegnare mondi, come essere piccoli dei isterici che si vendicano della propria impotenza.
E ogni sera coricarmi tra le stampe dei miei disegni e la mi mappa inventata.
Per me, d’ora in poi… i muri bianchi saranno solo possibilità. E’ cessata la loro linda funzione delimitante.
Puoi passare attraverso il muro…..

Read Full Post »

9717984_2

La stanza è in penombra. Una penombra greve, in realtà; una tenebra trasparente, azzurrata, rischiarata solo dalle fredde lame di luce bluastra della lampada friggistronzi.Il mondo spinge rumorosamente dall’esterno, con la sua testa d’idra di suoni scomposti, grida e televisioni bercianti.Particelle di estraneità che penetrano tra le griglie antiche degli scuri, insieme al caldo, denso ed appiccicoso.
Sono steso, seminudo, senza lenzuolo. Lascio che la tenebra azzurra copra pudicamente l’orrido spettacolo del mio corpo.Lei è stesa sul fianco, vicino a me.
E’ mora, snella come una silfide, silenziosa. I suoi enormi ed espressivi occhi verdi sono chiusi, ma so bene che i suoi sensi sono comunque vigili. Non sta mai realmente dormendo.Il suo corpo affusolato si allunga sul lenzuolo in cerca di un pò di refrigerio e mi chiedo come faccia, dopo il secondo parto, ad essere ancora così longilinea.
E’ piccola, minuta, rispetto alle precedenti o alle tante che ho incontrato.Ma è più potente, più arcana, più misteriosa di qualunque altra.Nel suo sguardo c’è un mistero profondo e tranquillo, punteggiato da piccole sfumature di sufficienza per tutti noi. Lei è divina, si concede ai mortali, ma si percepisce il suo disprezzo bonario nei loro confronti.
Sta spingendo quasi inconsapevolmente, innocentemente, ma il fatto è incontrovertibile… mi sta espellendo dal letto.
Le sfioro la base del collo con la punta dell’indice d immediatamente i suoi occhi sono spalancati, attenti, fissi.
Spietati.
Occhi di predatore.
Una frazione di secondo.
Lo sguardo si rilassa, gli occhi si fanno di nuovo saracinesche mezze abbassate da ora di chiusura.
“Meeow”
“Morwen, capisco che tu abbia caldo, ma tra un pò io cado dal letto!”
“Trrrr, frrr prmè”
Ha la bocca semiaperta, sembra affannata.
“Ti da fastidio il caldo eh?”
“tbrrrrrrr” risponde lei cercando il dorso della mano per strusciare il muso.
Lo fa con voluttà più che sensuale. E’ addirittura erotica.
E’ energica in quel gesto, lascia percepire tutta la forza di un’amante che inarchi la schiena e afferri le natiche del partner per rivendicare tutto la carne possibile in se.
Una golosità senza freno e vergogna.
“lo so… tu sei una gatta nera. Una gatta nera da Autunno. Uno di quegli spettri che incontrano nelle notti fumose di nebbia, che tagliano la strada tra mura di mattoni suburbane. Sei una di quelle regine dei corvi che presiede alla stagione delle zucche, una sacerdotessa di Ognissanti. Una gatta da streghe o una strega mascherata in forma animale.
Non sei fatta per l’ Estate più di quanto lo sia io. Siamo fuori stagione Mor…
..certo anche l’inverno non ti si addice molto. Sulla neve perdi buona parte del tuo fascino mimetico.”
“Mrrrreow”
“Già, già. Alla fine siamo tutti e due qui. Io e te a dividerci il letto.
Sai, non vorrei dividerlo con nessun’ altra stasera. Veramente.”
“Mé mè?!” Si alza, si stiracchia  e mi passeggia sulla pancia.
“Lo vedi? Vedi quanto diverte a te ciò che disgusta le altre?”
“mowhh..” giro di ritorno, recupero posizione ufficiale modello “Maya desnuda”.
“Peccato che io sia dalla parte delle altre….Ma sono contento che ci sia tu qui.
Se dovessi dare ascolto al mio superficiale istinto da umano direi che sono un coglione che parla con un gatto. Un coglione che in tutta la sua vita è rimasto da solo con un gatto.Se non fosse che da-solo-con-un-gatto è un periodo grammaticalmente scorretto. E semanticamente.
Non si può essere da soli, con un gatto.
Nemmeno con un cane, forse. Ma solo-come-un-cane ha senso. Il cane VUOLE qualcuno intorno, ne ha bisogno. Il gatto no.
Il gatto non ha bisogno di QUALCUNO. Se ti sta di fianco è perché ha bisogno di te. Proprio di te. Altrimenti no, non ci sta. Ed in questo, sorella mia, siamo felini entrambi.”
“proowl mè mè!” Finisce molte delle sue fonazioni con quelle strane affermazioni acute, simili ad uno zooclacson. Continua il suo rito di strusciamento, ora sul piede sinistro. Quale epico grado di accettazione dell’altro…. strusciarsi conto al mio piede…
Persino alcuni terribili rettili preistorici avrebbero forse preferito la fuga agli afrori nervini che si spandono da quelle polpette sanguinolente che ho alla fine delle gambe.
” Tu sei qui, a strusciarti su di me. Eppure la porta è aperta. La porta del piano è aperta, la finestra in cucina è aperta. Potresti andare a fare scorribande, in questo momento. Non sei più un gatto d’appartamento, sei libera. Potresti anche non tornare mai più.
Alcuni felini lo hanno fatto, anche quel cretino di tuo “fratello” Solinari.
Ma tu sei qui. Forse sta tutto qui il significato dell’affinità. Stare insieme per scelta, ogni giorno, senza porte che si chiudano per imprigionare. Senza patti. Noi umani usiamo le parole come porte, come sbarre, come saracinesche. Per essere sicuri che il gatto non scappi. E non per protettività nei confronti del felino, ma per paura di essere abbandonanti, lasciati soli. Rifiutati da chi amavamo.”
“trmwprrrrmè..”
“Non sapresti eh? Beh, sarai contenta della tua libertà? Indubbiamente sei qui per scelta ed io posso senza dubbio avere la percezione che tu voglia essere qui. Questa è l’unica certezza in grado di restituirmi il mio senso di adeguatezza.
Adeguatezza….”
Assaporo l’ultima parola come fumo aromatico di un sigaro cubano, mentre il mio sguardo si perde nella nota oltreblu del mio soffitto. La gatta si sposta sulla mano sinistra, medesima operazione di strusciamento facciale, suoni trillanti e acuti le sfuggono durante il contatto. Musica contemporanea stridente sul basso continuo delle fusa.
Potrebbe essere Bach rivisitato da Stravinsky….
“Adeguatezza….
Sono contento che tu sia qui con me, perchè sei l’unica femmina con cui condivida il letto e che mi faccia sentire adeguato. Le femmine umane sono terribili Mor.
Dio, sono terribili. Non puoi essere adeguato, nemmeno quando ti hanno cercato e scelto….
Per loro sono una bacheca, un puntaspilli, una lavagna. Si divertono ad appiccicarmi tutte le loro frustrazioni ed inadeguatezze finché non sembro un golem di post-it. Sono una discarica vivente, un mostro con la faccia di specchio su cui vomitano le loro ansie, le loro paure, i loro fallimenti. E sta sempre a me metterci una pezza, è sempre compito mio.”
“trprowlll”
“Cazzo Mor non comincerai anche tu con la storia della vittima?! Le cose stanno così. Io non so cosa faccio di terribile nei loro confronti, magari non me ne rendo conto. Ma so cosa loro fanno a me. E’ il linguaggio il problema, Mor. Tu parli in gattese, io in italiano. Non possiamo prenderci per il culo con i discorsi. Sono solo le azioni che contano. Il fatto che adesso siamo qui per scelta. Io ho aperto la porta, tu hai deciso di stare dentro. Insieme abbiamo deciso di coccolarci. Fatti.
Non metafore nascoste tra le righe di discorsi metaforici che facevano da paravento a seghe mentali inconfessate. Fatti. Pelo e ciccia.”
In un impeto di passione l’agguanto e cerco di abbracciarla. Lei è un’artista dell’evasione. Sembra che possieda mille piccoli arti per puntellarsi e divincolarsi.
E’ impossibile tenerla in braccio, è inutile tentare di contenerla. Non graffia, mai. Ma è incredibilmente forte per la sua microscopica stazza.
“Trrrmamao!”
“Si, questo era un vaffanculo. Frutti di cui ho quasi sempre il cesto pieno. Sarai idiota? E ‘ mezz’ora che sembri una cagna in calore a forza di strusciarti e guardarmi lasciva, ma bisogna coccolarti solo come decidi tu. Adattamento da parte altrui sempre livello 0. Richiesta di adattamento da parte mia sempre livello infinito +1.
La massima accondisciendeza che ho provato sulla pelle è stato un tiepido pietismo per ciò a cui mi sarei dovuto adattare… si, io sono una forma di plastilina per voi femmine. Adattati a me o fottiti da solo, l’ultimatum dell’amore.”
“meremeremè!”
“No non ti sto offendendo dandoti dell’umana! Ma anche tu hai dei punti su cui non puoi transigere, eppure non ti sparo fuori di casa per questo…. Piacerebbe anche a me una gatta capace di centrare la cassetta quando caga, ma tu sei tu, per avere te sono disposto a pulire la cacca. Ma se mi chiedi di mangiarla non ti stupire se cerco di farti alla cacciatora….”
Stavolta non risponde. Si è liberata dalla presa del tutto. Gira sulla testata del letto ed attacca lo strusciamento sulla mano destra. Comincio a pensare che ci sia un metodo in quello che sta facendo…
“Somigli alla Signora dei Gatti. A volte penso che tu sia lei, ha sempre detto che si sarebbe reincarnata in un gatto. Sarebbe stato un modo come un altro per tornare qui a darmi quel suo strano alchemico intruglio di grattacapi ed affetto. Anche lei smaniava per starmi vicino, ma bisognava coccolarla come diceva lei, altrimenti scappava. Ma chi le sa queste cose? D’altra parte ti ha portato una Strega. Poi la strega se ne è andata.. e sei rimasta tu. La strega è andata e venuta, la Signora dei gatti non tornerà mai più. Tu sei ancora qui. Mai una cosa normale per me….si fa poco sesso con te, ma a livello di affetto contro incomprensione devo ammettere che l’equazione fila anche più liscia…
E’ andato tutto storto Mor. Sempre. Un giorno mi ritroverò ad aspettarti e non arriverai nemmeno tu. E forse non saprò mai cosa ti sia successo, se tu mi abbia abbandonato o ti sia trovata impossibilitata a tornare. Ma non fa differenza rispetto a chi mi abbia notificato le proprie ragioni…
Buone o cattive, stupide od inossidabili che fossero le ragioni non hanno mai cambiato lo stato dei fatti. Loro non sono tornate…
La ciccia ed il pelo dicono questo”.
“Frrmeè!”
“Si, mi sento solo. Ma non perché mi manchi una donna. Mi sento solo e basta. Solo nel cosmo. Alla deriva. Persino i miei più affini congiunti mi sembrano così lontani, ora. Sono tutti partiti per il futuro o per il nulla. Alcuni sono affogati nel passato. Non mi sembra che il presente venga mai preso in considerazione da nessuno. Progetti dentro ad altri progetti. Testa china come arieti verso l’avvenire.
Per concretizzare qualcosa. Che impresa….
Io guardo te che pigli lucertole e cervi volanti e caghi figli come fossero caramelle.
Nessuna impresa. Tutto molto naturale. Ogni tanto li mollavi pure per farti gli affari tuoi. Qua sembrano tutti degli Dei creatori intenti nella materializzazione del capolavoro dei capolavori. E fanno una cosa piuttosto modesta e naturale. C’è quasi più da lavorare per evitarla che per farla accadere….”
Mi guarda per un attimo con quei grandi fanali scuri, le sue pupille sono pozzi di cosmo profondo, in questa penombra. Si sposta verso il fondo del letto. Il piede destro. Poi ho finito gli arti. Mi chiedo quale possa essere la mossa successiva.
“Ti ho aiutato con due cucciolate tesoro. Sempre con i figli degli altri devo avere a che fare. Comoda per i gatti maschi: fanno solo la parte divertente….
Un altro si diverte, io pulisco la cacca, la piscia, sgrido, spiego al faccenda della cassetta, mi faccio distruggere divani e soprammobili… e poi do i gatti a qualcun altro. Lo so che mi consideri una specie di marito. E non sei l’unica a considerarmi un marito a cui viene riservata solo la responsabilità ma non il divertimento. Chi mi riservava solo la parte divertente non riusciva a capire la mia funzione. Essere divertenti non è una funzione con voi….
Vedi perché mi sento solo? Nessuno ha più voglia di stare bene. Devono tutti stare facendo qualcosa. Qualcosa di importante, qualcosa che abbia uno sviluppo, un seguito.Devono darsi significato. Nemmeno si chiedono se il significato per me sia già in loro. Se veramente io li consideri come te, come la mia gatta. Non sei una funzione, sei bellezza. E tanto basta.”
“trupurrr!”
“Si ti ho annoiato, lo faccio con tutti. Sapessi quanto mi annoio da solo… ”
Si volta e lancia un ultimo miagolio secco e scende dal letto. Se ne va trottando nell’oscurità con la coda ritta come un’antenna….
Chissà quali dimensioni sconosciute potrà captare con i suoi sensi…
sulle frequenze di altri mondi vivono radio che non so???!
Ma soprattutto…. che cosa significava il suo rito notturno??
Io sono steso come l’uomo di Vitruvio, è vero, e lei ha compiuto uno strano rituale fisico strusciandosi su ogni arto, in senso circolare antiorario.. e poi se ne è andata.
E’ la gatta della Strega… chissà quale maledizione mi ha lanciato?
La tallonite ce l’ho già, quella non è….
Speriamo che fosse per guarirmi. Non è detto che la gatta della strega debba per fora essere perfida a sua volta……
Mentre il suo culo trotterella nel corridoio penso alla Signora dei Gatti.
Non so se sia lei, se sia in lei o se abbia qualunque cosa a che fare con lei.
Per me lei è una Signora dei Gatti.

Read Full Post »


“Ieri la mia vita andava in una direzione. Oggi va verso un’altra. Ieri credevo che non avrei mai fatto quello che ho fatto oggi. Queste forze che spesso ricreano Tempo e Spazio, che possono modellare e alterare chi immaginiamo di essere, cominciano molto prima che nasciamo e continuano dopo che spiriamo.”
(lo scienziato Isaac Sachs)

E se non va in nessuna direzione?
L’Atlante delle nuvole questo non lo spiega. Certo, incantevolmente spreme sulla tavolozza immagini e suoni, parole ed emozioni e le impasta sapientemente, perché è fatto con cura e criterio e rimane un bellissimo film.
In qualche modo, anche io percepisco questo panteismo invisibile, questo susseguirsi di situazioni e di emozioni, che si intrecciano in figure impossibili attraversando le dimensioni conosciute e sconosciute nelle quali siamo immersi.
Viene solo da chiedersi, piuttosto egoisticamente, che cosa me ne freghi del continuum bioemozionale della specie, della vita o dell’universo se la parte che dovrò recitare nel mosaico sarà modestamente penosa.
Non inutile, perché ovviamente non esiste una tessera in questo mosaico che non debba esistere e che non abbia una specifica collocazione preposta alla funzione del tutto alla quale dovrà appartenere.
Ma tristemente pietosa, può benissimo esserlo.
L’uomo fallito, dai cui fallimenti verranno spersi i potenziali germi di nuove folgoranti vittorie non solo non avrà coscienza, essendo inserito nel tempo e non ad esso parallelo, ma non ne avrebbe nemmeno consolazione pur avendone conoscenza.
In termini utilitaristici che questo flusso di vita e coscienza e memoria e materia possa portare a qualche disarmante conclusione rivelatrice….. non fa la minima differenza per la vita della singola entità che ne fa parte.
La sveglia di domattina mi fracasserà i coglioni comunque, a prescindere dal fatto che l’umanità possa ritrovare tra centinaia di anni le stronzate che ho scritto in rete e trovarle salvifiche.
Non è che me ne possa fregare molto di salvare il mondo stasera, tra centinaia di anni non può assolutamente fottermene alcun che di quanto accadrà.
In fin dei conti a nessuno frega niente del grande rivoluzionarsi ed evolversi del cosmo intero quando la persona amata non se lo caga.
Ed è qui, sull’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo che la mente umana vacilla.
La sveglia, la persona amata, il conto in banca, il mal di denti.
Questi, sono forse questi i demoni che avvelenano l’anima di noi incarnazioni dell’eterno?
Questo ci riporta ad uno stato mortale e materico tale da piegarci alle pastoie del tempo e dello spazio fino a cancellare ogni singulto di divinità dalle nostre essenze….
…oppure in certi film dicono un sacco di stronzate ed è tutto qui?
Forse è una domanda antica quanto l’uomo stesso. Lo stesso dilemma che pone quasi ogni culto misterico religioso, il suo potere (quasi impensabile) di spingere le singole esistenze addirittura al sacrificio, che è quanto di più avulso al normale svolgersi di desiderio ed aspirazione si possa ipotizzare.
L’annientamento dell’ego in favore del progetto.
Forse amo Cloud Atlas perché non pontifica su questo punto e non getta una risposta alle fauci della più beota scontatezza.
Come è auspicabile i personaggi, pur essendo ignare tessere, combattono per se stessi, per immediati bisogni, nella maggior parte dei casi. E quasi per caso, in fondo, lo svolgersi della storia li sfiora, rendendo ancora più marcata la loro funzione così fondamentale all’interno della loro essenza quasi trascurabile.
E se ogni intersezione, ogni contatto, ogni confronto con altre entità fa tremare tempo e spazio, creando bolle, vesciche rigonfie di universi potenziali e potenziali svolgimenti….
…perché sento questo universo così bloccato?
Sono io che sono troppo veloce….?
E’ la mia mente, la mia mente e la mia anima che sono come mastini denutriti lanciati sulla traccia invitante di una preda grassa e troppo lenta.
Esse vorrebbero, esse bramerebbero che si spalancasse un abisso, un gorgo di destini di fronte ad ogni nuovo contatto, perché per maledizione di nascita… io ho la capacità di percepirlo questo fenomeno.
E mente ed anima, alleate, iniziano a vomitare fiumi di immagini, di possibilità intersecate, di intrecci possibilistici e parabole vertiginose di situazione.
In questo circo deviante non c’è spazio nemmeno per il sonno, quando la notte questi demoni interni mi torturano e mi lacerano con i loro universi potenziali. Occhi sbarrati sul fioco lume dei numeri digitali di una radiosveglia, maledicendo la notte e l’alba che la tallona.
E poi anch’essa si presenta, radiosa ed immota come il cadavere di un martire. Il nuovo giorno costringe il mio io a rallentare, frena, schiaccia e blocca.
Si infrangono come macchine di lusso durante un crash test i miei universi notturni all’apertura del sipario giornaliero. Esplodono e mestamente ricadono come petali appassiti sul fiume del tempo reale.
Un fiume maestoso, possente… ma lento. Lento come un’agonia.
Mi accorgo sempre di più di avere vissuto mille vite, di avere amato, ucciso, costruito e distrutto.
Cose che non saranno mai. Con persone che non sapranno mai quali meraviglie abbiamo vissuto insieme.
Quali orrori o quali piaceri hanno condiviso con me solo perché un loro sguardo accendeva un desiderio o una loro frase stimolava una possibilità.
Quanto potenziale divino sprecato….
Rimarrà tutto in un universo mai visitabile?
La dove dormono i miei draghi su immensi tesori?
Credo di si.
La mia condanna è questa creatività inutile, questa velocità mentale inapplicabile, questa armonia quasi cinematografica che ho con le immagini, la musica e le parole.
Sono una tessera che non sembra trovare posto, che non sembra VOLER trovare posto.
In mezzo al mosaico io non riesco a sentirmi a mio agio.
Devo sempre allontanarmi da esso, per vederlo, per gustarlo.
Perché non mi consola la coscienza di essere parte di una meraviglia della quale io non possa percepire la bellezza.
Non mi consola…non me ne frega proprio un cazzo della funzione…
..voglio godere la bellezza.

Read Full Post »

Quanto scricchiola questa tastiera….
Da quanto tempo batto sui suoi tasti le invettive e le facezie di una mente mestamente anormale, che nulla avrà mai a che fare col genio quanto con la normalità….
Batto su tasti neri scricchiolanti, che si lamentano e gemono come puttane ben addestrate, perché al pari di loro sono perfettamente funzionali quanto graniticamente insensibili a ciò che li aspetta.
Scricchiolano perché i loro diastemi, i loro interstizi, sono grondanti di tabacco e sudore, di sperma e yogurt, di sporco e lacrime.
Questa vecchia tastiera del cazzo è una buona amica, una di quelle che ti sopporta comunque, anche se il compito che l’aspetta è così ingrato, così noioso.
Dover subire i miei pensieri. Ed essere complice del mio veicolarli tra le anonimità della rete, sentirli cadere in pozzo di tutti, dove verranno letti da nessuno.
Perché in fondo, non potrebbero interessare a nessuno.
Nemmeno a chi li imprime su carta telematica, in fondo, importano, questi fantomatici pensieri.
Ci si può sforzare di essere spaventosi, ma è solo una guittezza da dilettanti, una maschera troppo grottesca per poter realmente spaventare. La linea di confine che separa l’orrorifico dal comico è fin troppo sottile, ed in questo spazio angusto senza quasi dimensione si muove da sempre la mia esistenza.
La musica barocca viene vomitata dall’ennesimo filmato di youtube e riempie questa stanza piuttosto fredda di sonorità tiepide. La lampada da tavolo fa molto scrittore, i fogli sparsi, le matite, i bozzetti, il posacenere sporco…
La tastiera scricchiola perché forse è offesa dalla farsa.
In fondo, nel cuore gravido di questo inverno gelido, trovo una lussureggiante grotta di cristalli di ghiaccio, dove posso sedere su un trono di ossa per respirare l’aria calma della mia nullità.
Non produco niente che mi illumini un minimo l’esistenza.
Le mie stupide scritture, i miei stupidi disegni, le mie stupide elucubrazioni non mi rendono migliore ne soddisfatto.
La rete gronda di centinaia e centinaia di persone che fanno ciò che io vorrei veder fare da parte di me stesso, ma occorre arrendersi all’evidenza, non ne possiedo la capacità.
Sono stato un quasi artista in molteplici campi, un arruffone nella maggior parte di essi, un pretenzioso illuso in tutti.
Vorrei dispiacermene, ma in realtà non mi frega più di nulla, nemmeno di questo.
Non per essere platealmente Gucciniano, ma stare a letto il giorno dopo è davvero l’unica mia meta.
Forse è l’inverno, forse sono le prime settimane di lavoro dopo le ferie, forse è davvero una rottura di coglioni reiterata, che risorge ogni volta dal proprio cadavere, sempre ugualmente aggressiva ed irragionevole.
In fondo, l’unica cosa che faccio con piacere è arrotolarmi nel piumone  e leggere della Contea o delle stravaganti usanze di qualche Hobbit.
La fuga, anche se onirica, rimane l’ultimo meccanismo di difesa di ciò che molti chiamano “perdenti”, ma io mi limito ad appellare più morbidamente con “inadatti”.
In fondo il fatto di non essere la fuori al freddo è quasi una gioia concreta. Molte cose scontate sono sempre più da rivalutare.
Ma alcuni esercizi emotivi ormai non mi riescono più.
Considero ancora l’amore una specie di zimbello, considero la fiducia un suicidio premeditato, considero lo sforzo vano, qualunque sforzo.
L’impegno chiede una ragione per esistere, perché involve fatica. Ed io non più alcuna illusione, alcuna favola da raccontargli per dargli ragion d’essere.
Questa tastiera del cazzo mi morderebbe con i suoi letterati denti neri, se potesse.
In fondo è come la mia amante più fedele. Ho fatto più sesso di fronte a lei che di fronte a qualunque essere umano, mentre mi aiutava a districarmi tra le parole chiave di ricerca dell’ennesimo sito porno.
In fondo, come diceva Lester in American Beauty “si… mi sto masturbando sotto la doccia! Questo sarà il CULMINE della mia giornata, il resto è un disastro.”
Confesso di tendere alla masturbazione verso sera, alla mattina non concepirei nemmeno la doccia, figuriamoci la sega….
E forse è una sega anche questa, ascoltare l’ennesima versione del Messiah di Handel mentre scrivo delle mie intime masturbazioni. Credo che l’estinzione di qualche ragno a venti gambe su un pianeta sconosciuto al lato diametralmente opposto della galassia potrebbe essere più interessante……
In fondo trovo che non vi sia niente di intimo e mi fanno incazzare quelli che fanno i sostenuti, come non fossero anch’essi fatti di umori colanti, gas nauseanti e carni tremanti.
E forse è questo il dolore più grande….
Capire che non trovando più un significato nello sfogo artistico, nell’illusione emotiva e ripugnando con ogni forza la procreazione di altri umani….l’eternità si fa assai lontana, e si arriva ad una comprensione più che lapidari della nostra condizione materica.
In fondo, non mi interessa niente.
Darei organi interni ed ucciderei senza battere ciglio, in questo momento, se solo questo mi permettesse di non abbandonare il mio piumone domani mattina.
Ma devo buttare nel cesso l’ennesima giornata per sopravvivere. E la sopravvivenza è il limite che ci  stato dato per concepire la vita.
Siamo nati in un’epoca grassa che ci ha quasi illuso che potessimo vivere, qualche fortunato c’è riuscito, magari ci riesce ancora. Ma a noi non è toccato.
Non è toccato a me.
Vorrei poter essere di nuovo innamorato, per un giorno, anche di una menzogna….
Ma non ho più la capacità di abbandonarmi alle falsità rassicuranti.
La verità è che in trentacinque anni non sono riuscito mai a disegnare come avrei voluto, quindi è assai oggettivo supporre che non riuscirò mai.
Tantomeno a scrivere un libro, anche mediocre.
Tantomeno…tante altre cose.
Sembro quasi un intellettuale, con la mia lampada da tavolo, il mio computer incassato nella libreria, la ia musica barocca, la mia gatta acciambellata, i miei disegni sparsi….
Ma c’è lei a smascherarmi….
Tengo le dita proprio su di lei, in questo momento….
Lei mi conosce. Conosce ogni carattere che ho battuto, conosce ogni pensiero che sia stato spedito nel gorgo della rete, conosce i miei sogni segreti, i miei mali oscuri, l miei deliri melodrammatici, i miei momenti di solitudine forzata ed autocompiacente.
Se solo potesse parlare, quale abominevole ritratto traccerebbe del suo digitale sovrano…
A volte mi nega la funzione di un tasto, quasi amorevole, per salvaguardarmi, forse per scoraggiarmi dallo scrivere ancora le medesime meste banalità rimasticate e rivomitarle senza chiedere il permesso ma provando ogni volta la leggera puntura della vergogna.
Lei mi conosce, e mi sbeffeggia.
In lei è già scritto ogni libro, ogni racconto, ogni possibile personaggio o storia.
Ma non è nelle mie capacità armonizzarmi a lei al punto da estrarre da quel caos potenziale un ordine concreto.
Michelangelo affermava di conoscere già la forma che si celava in ogni blocco di pietra, ed il suo lavoro in fondo consisteva solo nel rimuovere le parti non necessarie.
Io di fronte ad un blocco di pietra, ormai, rivedo solo me stesso… e le parti inutili, mi sembrano….
…tutte.
&*$%&^ +[#§  un po’ di caratteri che non uso mai, così a caso, giusto per darle un po’ di soddisfazione ogni tanto.
Povera, povera tastiera nera…..

Read Full Post »

Qualcuno ha detto che sembro Gandalf da giovane. Lo ringrazio molto, non potrei concepire complimento più lusinghiero per quanto può riguardare la mia sensibilità. Qualcuno ha detto Mosè… che in un suo modo medio-orientale e arcaico può essere considerato una specie di Gandalf, molto più fascista e integralista, ma con una dose ragguardevole di leadership.
A me questa foto ricorda Bud Spencer. Un po’ per l’aspetto trasandato e pienotto, un po’ per quel sorriso da grande orso buono.
Ma forse, chi mi ha paragonato al Drugo de “il Grande Lebowsky” è andato più vicino alla realtà di tutti quanti.
In fondo non sono forte come Bud, non sono saggio come Gandalf e non sono cagacazzi come Mosè.
Quello che sono, e lo sono in ogni aspetto della mia esistenza in maniera più che professionale, è UN CAZZONE.
Appunto, il Drugo risulta quintessenziale in questa strana verifica notturna. Uno nemmeno può immaginare che il cambio di immagine sul profilo dei facebook possa scatenare un lieto coro di minchiate serali che sfociano però nella inevitabile riflessione notturna. Ovviamente proprio quando dovrei andare a letto il cervello si riattiva…..
Comunque del Drugo ho appreso l’arte più raffinata e più difficoltosa da mettere in pratica, per le mie inclinazioni naturali: Fottermene.
Il Drugo è un pigro ed un fancazzista, ma non è stupido. Ha dei gusti, ha delle passioni, ha addirittura una sua strana moralità rigida, all’interno della sua visione del mondo piuttosto singolare.
In quanto a singolarità sulla visione del mondo posso anche mettermi in competizione, ma l’approccio pratico alla realtà del Grande Lebowsky è assolutamente inarrivabile e molto più rilassante del mio.
In effetti, se fossi molto più avanti nel mio cammino spirituale, potrei anche io andare a comprare il latte in ciabatte e boxer con una vestaglia discutibile buttata addosso.
Diciamo che sull’azione sono ancora piuttosto indietro, sull’intenzione sono già a  buon punto.
Il fatto di non stare nemmeno più a dare una forma alla capigliatura prima di uscire di casa può essere visto dai più come un gesto di pura sciatteria infantile, da altri come un grido ribelle contro il conformismo, da altri come niente perché tanto non si accorgerebbero di me nemmeno se gli pisciassi sulle scarpe….
Il bello è che, nella più pura filosofia Durghesca, il vero motivo non è nessuno dei sovrelencati.
Il motivo è che non me ne fotte una minchia. Non me ne fotte una minchia di come vestirmi, tanto è vero che non ricordo più l’ultima volta che abbia acquistato un qualsivoglia capo di abbigliamento, inoltre la mia operazione base di vestizione mattutina consiste nel mettere le mani nell’armadio e agguantare la prima cosa che capiti. Il fatalismo è come una poltrona gonfiabile in una piscina, una volta che ti ci adagi non c’è più verso di scollare le chiappe…
L’unica variante della vestizione è la comodità o in casi estremi la tenuta termica. Al Drugo andava fatta meglio, a Los Angels ci son sempre 30 gradi fissi……
Inoltre al caro Jeffrey fregava praticamente solo del Bowling e delle droghe. Ognuno compie le proprie scelte, mica posso contestare i gusti altrui. A me il bowling è simpatico ma non ne farò mai una passione e sulle droghe ho teorie tutte mie.
Mettiamo che per me le uniche cose veramente importanti siano il Fantasy e la Musica. In effetti tutto il resto potrebbe allegramente fottersi in una pirotecnica esplosione di fuoco.
Come per il Drugo tutto il resto diventa non solo noioso, ma addirittura irrilevante. Il Drugo non ascolta chi fa le prediche e sfoggia le proprie presunte saggezze sulla vita, il Drugo se ne frega, anzi di più non recepisce. Ma non con la tigna, con l’assoluta asensorialità. Egli non percepisce proprio ciò che non trovi interessante.
Certo, lui da vero figo riusciva a non lavorare nemmeno. Stiamo studiando la faccenda, ma non troviamo grossi sbocchi da questa immane problematica.
Già senza dover lavorare un sacco, ma veramente un sacco, di cose assolutamente irrilevanti che sono costretto a sopportare inizierebbero a fottersi.
Tra cui la noia nauseante dei discorsi tra colleghi…..
Purtroppo Jeffrey mi surclassa in tale categoria e devo ammettere, di avere troppi interessi “faticosi” in piedi.
Per fortuna ho rinunciato a palestre e ricostruzioni fisiche, ho lasciato di nuovo che il lardo mi invadesse il substrato cutaneo, ho lasciato crescere capelli e barba ed ho lasciato anche le mie paure e i miei giudizi altrove.
Sinceramente il mondo mi ha talmente stancato, talmente sfinito, talmente battuto e io l’ho talmente aiutato in questa operazione da non volere più sentire un fiato ne da lui ne da me.
Il Drugo impera, nella sua visione di un futuro che arriva a stento al prossimo tramonto. Il Drugo giganteggia nel suo cazzonare senza senso facendo e disfacendo casini principalmente in maniera involontaria.
Senza averne un’idea, senza pesare su bilance immaginifiche il peso di ogni minima mossa.
Eccolo li, l’aspirante Drugo (volevo scrive il Drugo in erba…ma… mi pareva fosse una battuta involontaria in loop) che esce di casa la mattina con scarpe antinfortunistica di sei anni (di cui una slacciata), una felpa sfomata, una giacca gessata, pantaloni sotto la riga della pancia (quindi con cavallo molto basso), la barba ispida, gli occhiali storti i capelli come serpi da gorgone.
Eccolo li, che va al lavoro non ascoltando la radio. A sorbirsi nove, dieci ore di irrilevante a fronte di quel poco tempo in cui potrà impugnare una matita, battere su una tastiera o far vibrare una corda vocale….
Per lui il mondo è solo uno scomodo ladro di tempo, è solo un inconveniente da aggirare.
Ha amici, ha gusti, ha passioni, ha anche una sua dignità incazzevole se è il caso.
Ma devono esserci buoni motivi per spendere tutta l’energia che occorre per incazzarsi od impegnarsi.
Il mondo gli si para di fronte e lui vede solo draghi e orchi che cavalcano cinghiali. Il mondo gli parla e lui ascolta sinfonie e liriche.
Il mondo lo pungola, e lui non si sveglia.
Un vero camminatore dei sogni sa che il sonno altrui va rispettato e ancora di più il sogno.
Giudicatelo, se volete.
Lui se ne fotte.
Andiamo al Bowling……

Read Full Post »


Il Sabato sera è passato sudando e bestemmiando sull’ennesimo drago.
Questa volta è un Rosso. Il primo rosso che imprimo su pixel.
Ci sarebbe veramente da chiedersi perché un giovane vitello quale sono passi la più famosa serata della settimana per sballare un po’ di fronte al monitor, anzi ai monitor.
Avendone due posso con piacere tenere un disegno sul monitor principale ed utilizzare il secondario per le palette degli strumenti di Phothoshop e l’irrinunciabile finestra di Youtube.
Di solito in quel piccolo spazio girano documentari  su alieni e fantasmi, voci che mi raccontano cose prive di qualsiasi dimensione reale ma grondanti di scoppiettanti fantasia.
D’alta parte io sto disegnando draghi….
Non c’è nessuno scopo, nessun perché nessun fine.
E questo fa sbroccare tutti.
Non posso dire di non avere dei “fans” (peccato non si possano fare virgolette più grandi, magari colorate  e lampeggianti), ma non credo di avere un singolo fans che capisca il motivo che mi spinge a disegnare.
La mia vita è piena di domande alle quali rispondo con battute acide o risate volutamente fasulle.
Mi chiedono quale sia il progetto, a cosa stia lavorando, se collabori con qualcuno o qualcosa….
No.
Disegno le mie cose perché mi piacciono. Sento il bisogno di farle e basta.
Forse mi ha fatto male guardare l’ennesimo Zeitgeist mentre lavoravo al mio disegno. Ma credo veramente che ormai la mia civiltà sia irrecuperabile.
Non c’è niente che abbia valore se non è in grado di produrre valore.
Le cose diventano reali solamente se possono essere scambiate per denaro. Altrimenti non esistono nemmeno realmente.
I miei draghi non hanno mai prodotto denaro, non credo ne produrranno mai e… anche se lo facessero non sarebbe quello lo scopo per cui vengono creati.
Creo draghi perché in questo mondo è IMPOSSIBILE incontrare un drago.
Io mi sento chiamato a questa “missione”. Devo visualizzare ciò che non c’è.
Non mi è mai interessato disegnare un motoscafo, una motocicletta o una città.
Esiste la fotografia… perché devo fare tutta quella fatica?
Un drago non può essere fotografato, allora io che ne ho la predisposizione devo essere il fotografo dell’impossibile. E il motivo non esiste.
Sono nato così. Fatto male o fatto bene sinceramente questo punto me ne frega assai poco.
Fatto così.
Ho passato molti Sabati nella mia vita e non potrei dire che questo, speso a lumeggiare scaglia per scaglia il mio bestione inesistente sia stato peggiore di altri.
Anche di altri in cui ero, sulla carta, in condizioni di sballarmi.
Certo io mi sballo più che altro con potere e socialità, non sono nemmeno un tipo da droghe o alcol, ma poco cambia.
Non avrei voluto essere con qualche donna, nemmeno in qualche festa, nemmeno in qualche glorioso momento di autoaffermazione.
Ero li con il mio drago, in un appartamento vuoto di umani e pieno di gatti.
In realtà ho sempre deciso di rischiare la solitudine piuttosto che la rottura di coglioni, e sono piuttosto fiero della mia scelta.
Ormai la nausea che mi crea l’intero mondo degli uomini è arrivata ad un livello in cui non è più rilevabile alcun punto di ritorno. Il teatro delle bassezze di noi schiavi consenzienti o delle oscenità dei nostri padroni non mi fa nemmeno più soffrire, è come un prurito fastidioso.
Non mi interessa più nulla di nulla di  nulla.
Vedo amici che si sposano a grappolo, amici intenti nei loro progetti più o meno folli, amici che ormai sono già volati a capofitto nel gorgo della propria impresa.
Io non gioisco ne per le cadute dei nemici ne per i trionfi degli amici. La temporaneità di tutto questo mi è così manifesta da sapere che lo spazio di un sorriso è più lungo di quello di una vittoria. Mentre esulti è già passata.
Allora forse ho sbagliato tutto, o in parte mi hanno fatto sbagliare tutto, o meglio: ho DECISO di sbagliare tutto.
Mi sono aggrappato all’inesistente e sono caparbiamente convinto di potere ancora migliorare le mie capacità con l’unico scopo di migliorare.
Cerco la scaglia perfetta, tra un colpo di lumeggiatura, una maschera di livello, un colpo di pennello semitrasparente e un occhio sulla raccolta di draghi del mio mastro Elmore.
L’inesistente, irremunerativo, inutile e fantasioso bestione prende corpo, realtà, tridimensionalità.
Ad un certo punto mi sembra quasi di sentire il suo respiro, sotto la tavoletta grafica, che alza ed abbassa ritmicamente la mia penna ottica.
Siamo solo io e lui, in questo Sabato sera. Ed in effetti il mondo non esiste.
E mi pare proprio di non sentire alcun senso di perdita……

Read Full Post »

Mi è capitato uno scambio di battute sul faccialibro che mi ha fatto riflettere.
Ordunque, vi è questa pulzella che ripescammo dal gorgo del tempo, la quale già dai tempi di scuola brillava in quanto bellezza e (a quanto mi dicono) anche in simpatica follia.
Essa guadagnasi da vivere in quel del litorale mescendo i vari ammazzacristiani liquidi sulla linea costiera, godendo, io suppongo, di ottima vista marittima e gavotta sociale per me assolutamente inconcepibile.
Essa, devo dire, con il tempo parmi ancora più bella, anche se non so se gentile ed onesta, ma sul paragone filosofale ipotetico con altre cerebroglandi incontrate parmi assai sulla linea della virtù tiepida, dopotutto.
Essa affolla spesso i miei mesti sogni di vegliardo, nonostante l’impossibilità ben conosciuta di qualsiasi contatto autentico, il quale d’altronde, potrebbe essere unicamente disastroso per quanto riguardi qualsiasi mia pulsione onirica.
Vi è gran quantità di immagini della soggetta in questione sul libro delle facce, e per un esteta rinchiuso nel proprio delirio la visione di tal luminosa bellezza è sempre dardo ferente, gocciante di clamoroso corrosivo veleno (alè!).
Vedendo le recenti immagini delle di lei frequentazioni notai un simpatico riquadro in cui erano rappresentati due uomini di maschile schiatta, entrambi giovani manzi ben in saluta, con la differenza principale nelle fattezze fisiognomiche, in particolar modo ventrali.
Lo primo, in sfondo avea poggiata sulla piastra addominale una testuggine perfetta, quasi di scultorea proposizione e oltretutto un viso da Apollo che avrebbe fatto innamorare persino le defunte, anche se da alcuni decenni.
Lo secondo, poggiante sul primo piano, esibiva le rotondità della sua zona ventrale con furbesca espressione canzonatoria, ben sapendo, suppongo, che nell’immagine digitale il contrasto delle due forme ravvicinate sarebbe risultato ancor più evidente all’umano apparato oculare.
Or mi venne, come sempre per mia disgrazia, di porre mia voce nel commentario sottostante, proprio sotto quella dello amico Bardo il quale poneva questione sulla veridicità materiale dello soggetto tartarugato sul fondo.
Ed io dissi così che se quello dietro era finto, quello davanti era felice.
Mentii, sapendo di mentire.
La pulzella, che io avrei giurato ignorar lo mio blaterale ribattè con piglio giustiere che la stessa energia da me posta nel ripulir piatti di pasta e boccali di birra dallo soggetto in questione era posta nell’esercizio fisico che tanto scultorea rendeva la di lui figura.
E se la sua era scultorea sicuramente, la mia era di merda.
Ancor lo feci, o mia disgrazia ed infamia.
Tanto e tale è la mia boria che ignorar li fanti per stuzzicar li santi mi è pane quotidiano, pur se raffermo.
E allor dichiarai lo silenzio, che tale e tanta era la mia vergogna per aver messo mano a ciò che più non posso da dover posar l’armi immediatamente e vestire di nuovo i miseri panni sacerdotali.
Mi chiedo, pur con grande interrogazione, quanti e quali e quanto scultorei e, ovviamente ben più di me, esteticamente  regolari organismi essa dovrà ogni vespertino marittimo momento conoscere e frequentare.
Che a volte me li vedo, nelle immagini del libro delle facce e non mi paion così tristi e mesti per nulla, che anzi, oltre che luminosi fisicamente mi par tale anche l’angolo preso dal di loro apparato labiale o lo lume oculare che si affaccia dalle digitali riproduzioni….
Così ho ficcato la penna nella bocca dello drago che sempre mi perseguita, nella fornace orale dello demone vermiglio, nell’antro della doglia: lo senso estetico.
Già esso per me è fonte di quotidiana pena e crocifissione al solo rapportar me stesso con l’orrido speculo latrineo, ma anche tarlo corrosivo per alcuni rapporti che dopotutto stavano sui piedi loro.
Allor che devo dire?
Ben mi sta. Mi fu bacchettata la mano stessa con la quale recido spesso i cardiaci lacci della felicità, perché io stesso entrai in territorio sacro. E sacro ha ben specifico significato:
“La radice di sakros, è il radicale indoeuropeo *sak il quale indica qualcosa a cui è stata conferita validità ovvero che acquisisce il dato di fatto reale, suo fondamento e conforme al cosmo.[3] Da qui anche il termine, sempre latino, di sancire evidenziato nelle leggi e negli accordi. Seguendo questo insieme di significati, il sakros sancisce una alterità, un essere “altro” e “diverso” rispetto all’ordinario, al comune, al profano.”
In tal senso, come ricordami lo traduttore giudaico che aliena il Signore nostro Dio, Sacro è ciò che è messo da parte, che toccato non può essere mai dalle mani de li mortali, che è riservato cioè alle superiori stirpi che dalli cieli giunsero e che è ovviamente tanto desiderabile quanto inarrivabile per lo popolo plebe.
Poscia che questo scambio verbale fu risolto, molto in me crebbe il senso di plebe inferiore, quasi di induistica affiliazione, nello senso ben specifico di nascita escrementizia senza possibile rivoluzione di stato, in quanto lo cammino animico ciò richiede per gli scopi oscuri che si prefigge.
Tanto poco cambia, tale mia mole cerebrale di sferraglianti rotelle allo stato delle cose sullo globo terracqueo, che vedrà nel sole cocente del giorno incombente le medesime posizione sulla grande scacchiera.
La bella ha ricordato alla bestia la sua posizione.
Ella sta nei poemi e nelle poesie cortesi, io sto nelli bestiari e nelle favole scagazzainanti.
Tanto è possibile che le nostre pagine si mischino quanto che li primati escano dallo mio anale orifizio fischiettando arie verdiane.
Non aveva dubbi il cosmo di cotanta veridicità. Li ebbi io, ebbro di onirici fallici costrutti.
Mentre fuggo cerco, mentre cerco fuggo.
Per le bestie vi son li antri e le caverne, e castella et ricchezza per le dame di bello aspetto.
Non vi alcuna tragedia nel nascer orco.
Almeno finchè non si sognino le dame di altri cavalieri.
La realtà è lo stocco più spietato. E maledetto sia Apollo signore delle arti che tanto mi fece amar ciò che mi lacuna.
Su questa digital pergamena vergo tal mia lamentazione, che i miei contemporanie potranno così ben dire che tal trattazione distrugge l’apparato genitale maschile e che la mia parola benvenuta è come eczema.
Ma quando li secoli passati saranno, qualcuno leggendo i miei caratteri sospirerà e languirà d’amor vibrante, che tanto doveva esser bello quello cavalier di penna graffiante.
Ed era orco.

Si, insomma, mi sto annoiando…..

Read Full Post »

Non esiste un equilibrio, e l’ordine è solo una forma mentale per contestualizzare volute e schizzi di caos.
Per molto tempo, ho vissuto all’interno di una personalissima forma di ordine mentale.
Quelli sono i miei amici, quella è la mia famiglia, quello è il mio amore, quella è la mia casa, quello è il mio posto, quelli sono i miei talenti. Questo lo posso, questo non lo posso, questo non lo voglio.
Limitante quanto chiarificante. Sicuro come una maledizione, ma solido come una pietra.
Un posto compatto sul quale tenere i piedi, che desse la sensazione di solidità ad un mondo liquido immerso in un mistero gassoso.
Poi, piuttosto velocemente rispetto alla sua lenta costruzione, questo mondo in equilibrio, si è frantumato.
Per questo c’è poco da fare gli spavaldi davanti ad una possibile apocalisse….
La vita ci mette milioni di anni per esprimersi ed una manciata di minuti per venire spazzata via dall’universo.
E’ un fatto.
Non è che i nostri equilibrii siano slegati da questo cosmico retaggio: la distruzione è più veloce della creazione.
Come tutti, ho seguito la strategia del rettilofono.
Il Voldemort della Rowlings, sembra compiere un prodigio oscuro e proibito, dividendo la sua anima in tanti frammenti e nascondendoli dentro ad altrettanti oggetti. Per assicurarsi la sopravvivenza.
Di fatto, è una cosa che fanno più o meno tutti, ed io, da bravo mago egocentrico, ne sono particolarmente capace.
Il rettilofono parcellizza la propria sacra struttura animica attraverso un atto di violenza, una inflizione di dolore, nel suo caso vere e proprie esecuzioni, nel mio semplici delitti o mutilazioni emotive.
Non cambia però l’effetto vero e proprio. L’anima si spacca ed un brandello, per quanto piccolo, rimane ogni volta altrove. Nel mio caso rimane di solito con le persone interessate, fossero esse amici o amori, vivi o morti, lontani o vicini.
Nel caso in cui il brandello dell’anima rimanga fruibile, nelle vicinanze e all’interno di un rapporto nutriente non si riscontrano grossi problemi, anzi, di solito si è piuttosto felici del fatto, essendo che i brandelli impegnati in questo modo tendono a divenire più grandi e potenti di quanto lo fossero in origine. Per assurdo, se si potesse riuscire nell’impossibile impresa di utilizzarli tutti in tale maniera, ci si ritroverebbe con un’anima talmente grande e possente da essere molto di più di quella di un semplice umano.
Dico impossibile riferendomi a me, ovviamente. Qualcuno sembra esserci riuscito o è contento di crederlo.
Il problema di questo processo è però il suo speculare effetto inverso. La lacerazione animica fine a se stessa o addirittura dannosa.
Voldemort compie un atto di follia pura, stracciandosi l’anima e ponendola in luoghi oscuri, nascosti e lontani da se. Nel tentativo di assicurarsi un’immortalità certa quando miserevole.
Credo che un tempo, molto tempo fa, fino all’anno ZERO, io sia stato in grado di proteggere e curare i miei brandelli. Forse in maniera piuttosto manichea e fissa, ma in qualche modo rassicurante.
Poi è arrivato l’ano ZERO, che per me è stato il 2008. L’estate 2008.
Capisco solo ora, dopo quasi cinque anni che in quel momento non dovetti lasciare un enorme brano della mia anima, per non rivederlo mai più, ciò che mi lascio in quel momento era la chiave di volta, il pezzo centrale, ciò che teneva ogni altro frammento unito alla struttura traballante del mio spirito. Traballante ma ancora unitaria.
Poi, tolto quel pezzo, l’esplosione. La mia anima si è frantumata come una vetrata.
Mi sono trovato per lungo tempo, io, il mio io cosciente quantomeno, all’interno di quel freddo spazio senza tempo, al centro di un nulla oscuro mentre i frammenti della mia anima mi volavano attorno in cerchio, come strani pipistrelli erratici ed evanescenti…
Ma in quella condizione, persa ogni percezione dell’anima stessa nella sua unità, se ne andarono di conseguenza anche il suo valore ed il suo significato.
Sulle prime non ci ho fatto caso. Ed ‘ buffo, pensare come si possa vivere senza cognizione, senza considerazione, senza direttiva, senza soprattutto accorgersene o rilevare alcuna conseguenza pratica nella vita.
Credo che la maggior parte degli esseri umani viva in condizioni simili. Lanciando, regalando, relegando e sputtanando i frammenti dell’unica cosa veramente importante.
E l’ho fatto anche io. Visto che quei brandelli svolazzanti erano disgiunti, sparpagliati, non percepivo quanto stessi togliendo dell’anima che erano in origine.
E ne ho sparsi, ne ho applicati attraverso baci e crudeltà, assenze e presenze, rapporti e non rapporti.
Ma lo spazio lasciato libero da quei frammenti non rimane totalmente vuoto.
Lo stralcio luminoso non tornerà mai più, ma al suo posto si insedia una specie di larva, un guscio di energia ridondante ed irragionevole, come un ritratto distorto che ripeta all’infinito la storia di quell’assenza animica.
Ed ormai sono tanti, troppi, gli spazi interni occupati da queste larve. Tanti che ormai creano un coro cacofonico continuo, un’orda di spiriti non malvagi, non violenti, che ripete all’infinito la sua cantilena.
Ciò che si è fatto, all’infinito, di continuo.
Questa volta è successo qualcosa di diverso. Questa volta mentre acquisivo una posizione di potere non mi sono sentito migliore o appagato.
La ridda delle larva mi ha afferrato, chiedendomi per quanto ancora avrei continuato quello strazio.
O forse erano i brandelli residui dell’anima che tentavano di difendere le rovine di un impero sbriciolato.
Non so di sicuro quale fosse la fonte, ma sono sicuro di quale sia stato l’effetto.
Ho chiesto la pace. Anche la Pax romana, quella che si ottiene a furia di legnate, ma comunque pace.
E la realtà come una scossa ha reagito all’urlo interno e i fili dei telefoni, delle connessioni internet sono diventati roventi.
I miei Orcrux mi stavano cercando. E volevano spiegazioni.
Questo è il terzo giorno di silenzio. Silenzio in cui mi sono ritirato, affondando nelle mie linee di grafite e nelle mie macchie di pixel per lasciare che tutta quella materia in sospensione inizi a depositarsi.
Guardo solo fogli, monitor ed occasionalmente il soffitto blu della mia camera.
Non ho cercato una voce, amica o nemica.
Ho bisogno di ricucire i brandelli che rimangono. Ho bisogno di smettere una volta per tutte di buttarli via. Devo smettere di ingannare me stesso e nutrirmi dell’altrui adorazione.
Devo rimanere nella torre.
Solo, con il mio coro di larve. In silenzio.
Pax.

Read Full Post »

Older Posts »