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Posts Tagged ‘raccoglimento’


“Ieri la mia vita andava in una direzione. Oggi va verso un’altra. Ieri credevo che non avrei mai fatto quello che ho fatto oggi. Queste forze che spesso ricreano Tempo e Spazio, che possono modellare e alterare chi immaginiamo di essere, cominciano molto prima che nasciamo e continuano dopo che spiriamo.”
(lo scienziato Isaac Sachs)

E se non va in nessuna direzione?
L’Atlante delle nuvole questo non lo spiega. Certo, incantevolmente spreme sulla tavolozza immagini e suoni, parole ed emozioni e le impasta sapientemente, perché è fatto con cura e criterio e rimane un bellissimo film.
In qualche modo, anche io percepisco questo panteismo invisibile, questo susseguirsi di situazioni e di emozioni, che si intrecciano in figure impossibili attraversando le dimensioni conosciute e sconosciute nelle quali siamo immersi.
Viene solo da chiedersi, piuttosto egoisticamente, che cosa me ne freghi del continuum bioemozionale della specie, della vita o dell’universo se la parte che dovrò recitare nel mosaico sarà modestamente penosa.
Non inutile, perché ovviamente non esiste una tessera in questo mosaico che non debba esistere e che non abbia una specifica collocazione preposta alla funzione del tutto alla quale dovrà appartenere.
Ma tristemente pietosa, può benissimo esserlo.
L’uomo fallito, dai cui fallimenti verranno spersi i potenziali germi di nuove folgoranti vittorie non solo non avrà coscienza, essendo inserito nel tempo e non ad esso parallelo, ma non ne avrebbe nemmeno consolazione pur avendone conoscenza.
In termini utilitaristici che questo flusso di vita e coscienza e memoria e materia possa portare a qualche disarmante conclusione rivelatrice….. non fa la minima differenza per la vita della singola entità che ne fa parte.
La sveglia di domattina mi fracasserà i coglioni comunque, a prescindere dal fatto che l’umanità possa ritrovare tra centinaia di anni le stronzate che ho scritto in rete e trovarle salvifiche.
Non è che me ne possa fregare molto di salvare il mondo stasera, tra centinaia di anni non può assolutamente fottermene alcun che di quanto accadrà.
In fin dei conti a nessuno frega niente del grande rivoluzionarsi ed evolversi del cosmo intero quando la persona amata non se lo caga.
Ed è qui, sull’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo che la mente umana vacilla.
La sveglia, la persona amata, il conto in banca, il mal di denti.
Questi, sono forse questi i demoni che avvelenano l’anima di noi incarnazioni dell’eterno?
Questo ci riporta ad uno stato mortale e materico tale da piegarci alle pastoie del tempo e dello spazio fino a cancellare ogni singulto di divinità dalle nostre essenze….
…oppure in certi film dicono un sacco di stronzate ed è tutto qui?
Forse è una domanda antica quanto l’uomo stesso. Lo stesso dilemma che pone quasi ogni culto misterico religioso, il suo potere (quasi impensabile) di spingere le singole esistenze addirittura al sacrificio, che è quanto di più avulso al normale svolgersi di desiderio ed aspirazione si possa ipotizzare.
L’annientamento dell’ego in favore del progetto.
Forse amo Cloud Atlas perché non pontifica su questo punto e non getta una risposta alle fauci della più beota scontatezza.
Come è auspicabile i personaggi, pur essendo ignare tessere, combattono per se stessi, per immediati bisogni, nella maggior parte dei casi. E quasi per caso, in fondo, lo svolgersi della storia li sfiora, rendendo ancora più marcata la loro funzione così fondamentale all’interno della loro essenza quasi trascurabile.
E se ogni intersezione, ogni contatto, ogni confronto con altre entità fa tremare tempo e spazio, creando bolle, vesciche rigonfie di universi potenziali e potenziali svolgimenti….
…perché sento questo universo così bloccato?
Sono io che sono troppo veloce….?
E’ la mia mente, la mia mente e la mia anima che sono come mastini denutriti lanciati sulla traccia invitante di una preda grassa e troppo lenta.
Esse vorrebbero, esse bramerebbero che si spalancasse un abisso, un gorgo di destini di fronte ad ogni nuovo contatto, perché per maledizione di nascita… io ho la capacità di percepirlo questo fenomeno.
E mente ed anima, alleate, iniziano a vomitare fiumi di immagini, di possibilità intersecate, di intrecci possibilistici e parabole vertiginose di situazione.
In questo circo deviante non c’è spazio nemmeno per il sonno, quando la notte questi demoni interni mi torturano e mi lacerano con i loro universi potenziali. Occhi sbarrati sul fioco lume dei numeri digitali di una radiosveglia, maledicendo la notte e l’alba che la tallona.
E poi anch’essa si presenta, radiosa ed immota come il cadavere di un martire. Il nuovo giorno costringe il mio io a rallentare, frena, schiaccia e blocca.
Si infrangono come macchine di lusso durante un crash test i miei universi notturni all’apertura del sipario giornaliero. Esplodono e mestamente ricadono come petali appassiti sul fiume del tempo reale.
Un fiume maestoso, possente… ma lento. Lento come un’agonia.
Mi accorgo sempre di più di avere vissuto mille vite, di avere amato, ucciso, costruito e distrutto.
Cose che non saranno mai. Con persone che non sapranno mai quali meraviglie abbiamo vissuto insieme.
Quali orrori o quali piaceri hanno condiviso con me solo perché un loro sguardo accendeva un desiderio o una loro frase stimolava una possibilità.
Quanto potenziale divino sprecato….
Rimarrà tutto in un universo mai visitabile?
La dove dormono i miei draghi su immensi tesori?
Credo di si.
La mia condanna è questa creatività inutile, questa velocità mentale inapplicabile, questa armonia quasi cinematografica che ho con le immagini, la musica e le parole.
Sono una tessera che non sembra trovare posto, che non sembra VOLER trovare posto.
In mezzo al mosaico io non riesco a sentirmi a mio agio.
Devo sempre allontanarmi da esso, per vederlo, per gustarlo.
Perché non mi consola la coscienza di essere parte di una meraviglia della quale io non possa percepire la bellezza.
Non mi consola…non me ne frega proprio un cazzo della funzione…
..voglio godere la bellezza.

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Il Sabato sera è passato sudando e bestemmiando sull’ennesimo drago.
Questa volta è un Rosso. Il primo rosso che imprimo su pixel.
Ci sarebbe veramente da chiedersi perché un giovane vitello quale sono passi la più famosa serata della settimana per sballare un po’ di fronte al monitor, anzi ai monitor.
Avendone due posso con piacere tenere un disegno sul monitor principale ed utilizzare il secondario per le palette degli strumenti di Phothoshop e l’irrinunciabile finestra di Youtube.
Di solito in quel piccolo spazio girano documentari  su alieni e fantasmi, voci che mi raccontano cose prive di qualsiasi dimensione reale ma grondanti di scoppiettanti fantasia.
D’alta parte io sto disegnando draghi….
Non c’è nessuno scopo, nessun perché nessun fine.
E questo fa sbroccare tutti.
Non posso dire di non avere dei “fans” (peccato non si possano fare virgolette più grandi, magari colorate  e lampeggianti), ma non credo di avere un singolo fans che capisca il motivo che mi spinge a disegnare.
La mia vita è piena di domande alle quali rispondo con battute acide o risate volutamente fasulle.
Mi chiedono quale sia il progetto, a cosa stia lavorando, se collabori con qualcuno o qualcosa….
No.
Disegno le mie cose perché mi piacciono. Sento il bisogno di farle e basta.
Forse mi ha fatto male guardare l’ennesimo Zeitgeist mentre lavoravo al mio disegno. Ma credo veramente che ormai la mia civiltà sia irrecuperabile.
Non c’è niente che abbia valore se non è in grado di produrre valore.
Le cose diventano reali solamente se possono essere scambiate per denaro. Altrimenti non esistono nemmeno realmente.
I miei draghi non hanno mai prodotto denaro, non credo ne produrranno mai e… anche se lo facessero non sarebbe quello lo scopo per cui vengono creati.
Creo draghi perché in questo mondo è IMPOSSIBILE incontrare un drago.
Io mi sento chiamato a questa “missione”. Devo visualizzare ciò che non c’è.
Non mi è mai interessato disegnare un motoscafo, una motocicletta o una città.
Esiste la fotografia… perché devo fare tutta quella fatica?
Un drago non può essere fotografato, allora io che ne ho la predisposizione devo essere il fotografo dell’impossibile. E il motivo non esiste.
Sono nato così. Fatto male o fatto bene sinceramente questo punto me ne frega assai poco.
Fatto così.
Ho passato molti Sabati nella mia vita e non potrei dire che questo, speso a lumeggiare scaglia per scaglia il mio bestione inesistente sia stato peggiore di altri.
Anche di altri in cui ero, sulla carta, in condizioni di sballarmi.
Certo io mi sballo più che altro con potere e socialità, non sono nemmeno un tipo da droghe o alcol, ma poco cambia.
Non avrei voluto essere con qualche donna, nemmeno in qualche festa, nemmeno in qualche glorioso momento di autoaffermazione.
Ero li con il mio drago, in un appartamento vuoto di umani e pieno di gatti.
In realtà ho sempre deciso di rischiare la solitudine piuttosto che la rottura di coglioni, e sono piuttosto fiero della mia scelta.
Ormai la nausea che mi crea l’intero mondo degli uomini è arrivata ad un livello in cui non è più rilevabile alcun punto di ritorno. Il teatro delle bassezze di noi schiavi consenzienti o delle oscenità dei nostri padroni non mi fa nemmeno più soffrire, è come un prurito fastidioso.
Non mi interessa più nulla di nulla di  nulla.
Vedo amici che si sposano a grappolo, amici intenti nei loro progetti più o meno folli, amici che ormai sono già volati a capofitto nel gorgo della propria impresa.
Io non gioisco ne per le cadute dei nemici ne per i trionfi degli amici. La temporaneità di tutto questo mi è così manifesta da sapere che lo spazio di un sorriso è più lungo di quello di una vittoria. Mentre esulti è già passata.
Allora forse ho sbagliato tutto, o in parte mi hanno fatto sbagliare tutto, o meglio: ho DECISO di sbagliare tutto.
Mi sono aggrappato all’inesistente e sono caparbiamente convinto di potere ancora migliorare le mie capacità con l’unico scopo di migliorare.
Cerco la scaglia perfetta, tra un colpo di lumeggiatura, una maschera di livello, un colpo di pennello semitrasparente e un occhio sulla raccolta di draghi del mio mastro Elmore.
L’inesistente, irremunerativo, inutile e fantasioso bestione prende corpo, realtà, tridimensionalità.
Ad un certo punto mi sembra quasi di sentire il suo respiro, sotto la tavoletta grafica, che alza ed abbassa ritmicamente la mia penna ottica.
Siamo solo io e lui, in questo Sabato sera. Ed in effetti il mondo non esiste.
E mi pare proprio di non sentire alcun senso di perdita……

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Non esiste un equilibrio, e l’ordine è solo una forma mentale per contestualizzare volute e schizzi di caos.
Per molto tempo, ho vissuto all’interno di una personalissima forma di ordine mentale.
Quelli sono i miei amici, quella è la mia famiglia, quello è il mio amore, quella è la mia casa, quello è il mio posto, quelli sono i miei talenti. Questo lo posso, questo non lo posso, questo non lo voglio.
Limitante quanto chiarificante. Sicuro come una maledizione, ma solido come una pietra.
Un posto compatto sul quale tenere i piedi, che desse la sensazione di solidità ad un mondo liquido immerso in un mistero gassoso.
Poi, piuttosto velocemente rispetto alla sua lenta costruzione, questo mondo in equilibrio, si è frantumato.
Per questo c’è poco da fare gli spavaldi davanti ad una possibile apocalisse….
La vita ci mette milioni di anni per esprimersi ed una manciata di minuti per venire spazzata via dall’universo.
E’ un fatto.
Non è che i nostri equilibrii siano slegati da questo cosmico retaggio: la distruzione è più veloce della creazione.
Come tutti, ho seguito la strategia del rettilofono.
Il Voldemort della Rowlings, sembra compiere un prodigio oscuro e proibito, dividendo la sua anima in tanti frammenti e nascondendoli dentro ad altrettanti oggetti. Per assicurarsi la sopravvivenza.
Di fatto, è una cosa che fanno più o meno tutti, ed io, da bravo mago egocentrico, ne sono particolarmente capace.
Il rettilofono parcellizza la propria sacra struttura animica attraverso un atto di violenza, una inflizione di dolore, nel suo caso vere e proprie esecuzioni, nel mio semplici delitti o mutilazioni emotive.
Non cambia però l’effetto vero e proprio. L’anima si spacca ed un brandello, per quanto piccolo, rimane ogni volta altrove. Nel mio caso rimane di solito con le persone interessate, fossero esse amici o amori, vivi o morti, lontani o vicini.
Nel caso in cui il brandello dell’anima rimanga fruibile, nelle vicinanze e all’interno di un rapporto nutriente non si riscontrano grossi problemi, anzi, di solito si è piuttosto felici del fatto, essendo che i brandelli impegnati in questo modo tendono a divenire più grandi e potenti di quanto lo fossero in origine. Per assurdo, se si potesse riuscire nell’impossibile impresa di utilizzarli tutti in tale maniera, ci si ritroverebbe con un’anima talmente grande e possente da essere molto di più di quella di un semplice umano.
Dico impossibile riferendomi a me, ovviamente. Qualcuno sembra esserci riuscito o è contento di crederlo.
Il problema di questo processo è però il suo speculare effetto inverso. La lacerazione animica fine a se stessa o addirittura dannosa.
Voldemort compie un atto di follia pura, stracciandosi l’anima e ponendola in luoghi oscuri, nascosti e lontani da se. Nel tentativo di assicurarsi un’immortalità certa quando miserevole.
Credo che un tempo, molto tempo fa, fino all’anno ZERO, io sia stato in grado di proteggere e curare i miei brandelli. Forse in maniera piuttosto manichea e fissa, ma in qualche modo rassicurante.
Poi è arrivato l’ano ZERO, che per me è stato il 2008. L’estate 2008.
Capisco solo ora, dopo quasi cinque anni che in quel momento non dovetti lasciare un enorme brano della mia anima, per non rivederlo mai più, ciò che mi lascio in quel momento era la chiave di volta, il pezzo centrale, ciò che teneva ogni altro frammento unito alla struttura traballante del mio spirito. Traballante ma ancora unitaria.
Poi, tolto quel pezzo, l’esplosione. La mia anima si è frantumata come una vetrata.
Mi sono trovato per lungo tempo, io, il mio io cosciente quantomeno, all’interno di quel freddo spazio senza tempo, al centro di un nulla oscuro mentre i frammenti della mia anima mi volavano attorno in cerchio, come strani pipistrelli erratici ed evanescenti…
Ma in quella condizione, persa ogni percezione dell’anima stessa nella sua unità, se ne andarono di conseguenza anche il suo valore ed il suo significato.
Sulle prime non ci ho fatto caso. Ed ‘ buffo, pensare come si possa vivere senza cognizione, senza considerazione, senza direttiva, senza soprattutto accorgersene o rilevare alcuna conseguenza pratica nella vita.
Credo che la maggior parte degli esseri umani viva in condizioni simili. Lanciando, regalando, relegando e sputtanando i frammenti dell’unica cosa veramente importante.
E l’ho fatto anche io. Visto che quei brandelli svolazzanti erano disgiunti, sparpagliati, non percepivo quanto stessi togliendo dell’anima che erano in origine.
E ne ho sparsi, ne ho applicati attraverso baci e crudeltà, assenze e presenze, rapporti e non rapporti.
Ma lo spazio lasciato libero da quei frammenti non rimane totalmente vuoto.
Lo stralcio luminoso non tornerà mai più, ma al suo posto si insedia una specie di larva, un guscio di energia ridondante ed irragionevole, come un ritratto distorto che ripeta all’infinito la storia di quell’assenza animica.
Ed ormai sono tanti, troppi, gli spazi interni occupati da queste larve. Tanti che ormai creano un coro cacofonico continuo, un’orda di spiriti non malvagi, non violenti, che ripete all’infinito la sua cantilena.
Ciò che si è fatto, all’infinito, di continuo.
Questa volta è successo qualcosa di diverso. Questa volta mentre acquisivo una posizione di potere non mi sono sentito migliore o appagato.
La ridda delle larva mi ha afferrato, chiedendomi per quanto ancora avrei continuato quello strazio.
O forse erano i brandelli residui dell’anima che tentavano di difendere le rovine di un impero sbriciolato.
Non so di sicuro quale fosse la fonte, ma sono sicuro di quale sia stato l’effetto.
Ho chiesto la pace. Anche la Pax romana, quella che si ottiene a furia di legnate, ma comunque pace.
E la realtà come una scossa ha reagito all’urlo interno e i fili dei telefoni, delle connessioni internet sono diventati roventi.
I miei Orcrux mi stavano cercando. E volevano spiegazioni.
Questo è il terzo giorno di silenzio. Silenzio in cui mi sono ritirato, affondando nelle mie linee di grafite e nelle mie macchie di pixel per lasciare che tutta quella materia in sospensione inizi a depositarsi.
Guardo solo fogli, monitor ed occasionalmente il soffitto blu della mia camera.
Non ho cercato una voce, amica o nemica.
Ho bisogno di ricucire i brandelli che rimangono. Ho bisogno di smettere una volta per tutte di buttarli via. Devo smettere di ingannare me stesso e nutrirmi dell’altrui adorazione.
Devo rimanere nella torre.
Solo, con il mio coro di larve. In silenzio.
Pax.

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Ci sarebbe molto da scrivere, molto da raccontare, molto su cui riflettere.
Ma non ne ho voglia, ed ancor meno.. energia.
Imperator Autunno sta accarezzando voluttuosamente le foglie, con quel tocco lieve e deciso che le farà inevitabilmente arrossire.
Attendo con ansia le colate di rame e bronzo sui miei colli brumosi, una delle poche e modeste pillole di sollievo che io possa godermi la mattina, da qualche cavalcavia, mentre mi appresto a cestinare un ulteriore giorno di vita.
Di tanti sentimenti contrastanti che si agitano nelle mie viscere, non potrei nemmeno fare una panoramica, ed ancor meno dipanarli in uno schema.
Le voglie di fuggire e rimanere, di amore ed isolamento, di attività ed ozio, di caduta e trionfo, sono nuovamente troppo indistinte e sfumate tra loro.
Una tavolozza che non vuole divenire quadro, dalla quale traspare però una poetica sottile, quasi impalpabile, simile alla strana musica di un'orchestra che accordi gli strumenti.
Un caos finito, che forse diventa più vita e più realtà dell'ordine al quale siamo stati educati anelare, un paciugo gustoso di gusti diversi in fase di scioglimento nella cialda.
Forse, pur con i suoi violenti conflitti e le improvvise battaglie, mi lega un nodo simile all'amore, o almeno a ciò che più mi ricordi il ricordo dell'amore. Ben diverso dai simulacri brevi e dai sarcofagi marmorei ai quali la vita mi aveva abituato. Una cosa viva, mutevole, pericolosa e desiderabile. Come una caccia continua, un duello danzante di mente e corpo.
Forse faticoso, ma sicuramente stimolante. E per quanto mi riguardi la fatica è nulla, se sostenuta dall'interesse.
Fisico, più fisico di ogni altro prurito carnale che mi sia mai capitato. Capace di fusioni cellulari.
Mentale, più cerebrale e contorto di ogni mio stesso ragionamento labirintico. Capace di orgasmi onirici.
Una nota non sempre lieta, ma sempre tonante, sostenuta, vibrante.
E una strana festa di vecchi compagni di strada nei miei sotterranei casalinghi.
Una festa di colori e giochi, parole e lazzi, un nuovo modo di essere anticamente insieme.
A volte sembra che qualcuno abbia riavvolto il tempo, e subito dopo è di nuovo un futuro senza porte o un presente senza finestre.
Un'altalena continua di sensazioni forti e gioiose ed un piatto grigiore da tabellino ministeriale.
Quasi una schermaglia, tra la vita in quanto essenza ed il suo svolgimento in quanto struttura.
Non ho di che lamentarmi.
Come mi insegna la Principessa ranocchio : Forse non avrò mai ciò che voglio, ma ho sempre avuto tutto ciò di cui avevo bisogno.
In realtà c'è poco su cui riflettere, quando sarebbe tutto da cambiare. E non nella mia vita, che trovo egregia se considerati i miei mezzi, ma nel contesto all'interno del quale essa si muove, che è una morte della morte stessa.
Ma non sono in vena di invettive.
Cambierò la macchina ma non cambierò il mondo. Neanche pagandone a rate uno nuovo.
Imperator Autunno ha da sempre la magica capacità di rallentare la percezione temporale ed allungare la distanza focale.
Sembra che il mondo muoia, ma in realtà ha solo bisogno di una pausa.
Una pausa che non ci siamo concessi, noi umani. Un quarto dell'anno speso a riflettere per poi rinascere non sarebbe tempo sprecato, a mio avviso.
Una pausa che potrò gustarmi solo nella sensibilità, che sempre più spesso mi porta alle lacrime. Lacrime di nostalgia.
Nostalgia dei cavalieri di Rohan sfreccianti sui campi del Pelennor.
Delle foglie di Lothlorien.
Della luce di Earendil.
Vorrei anche io, nel momento più oscuro alzare la testa e gridare "Arrivano le aquile!".
Ma il cielo è una lastra di ardesia o cobalto. Ancora non ci hanno risposto.
Per cui percorro il mio Gorgoroth, aggrappato a quella flebile speranza (o incrollabile determinazione) che fa di me un piccolo hobbit.
Chiunque abbia udito i canti degli elfi e veduto i boschi di Caras Galadhon percorrerebbe mille terre d'ombra pur di salvarne quantomeno il ricordo.
I boschi d'autunno mi ricordano questo.
Pensieri intrecciati come una bordatura celtica, su un campo di rame infiammato.

 

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La prima pioggia dall’odore vagamente primaverile tamburella sul mio parabrezza, scorre a rivoli lungo il vetro, si insinua nell’impianto di aerazione e gronda come un piccolo Niagara domestico da sotto il cruscotto.
Il posto del passeggero è ormai una specie di cuccia d’animale, col suo tappeto di quotidiani zuppi e il suo onnipresente tabacco sparso ovunque. Vorrei avere un minuscolo elefante pigmeo nel posto del passeggero, da coccolare durante le lunghe file sulla tangenziale. Il fondo del recinto è già fatto….
Mentre mi tormento la gengiva gonfia con la lingua (pensando tediosamente a quanto sia vero che "la lingua batte dove il dente duole") ed attendo che il muro di automobili si sposti di un micron, vengo colto da tutte le assurdità e le nostalgie del mondo.
Non è raro, negli ultimi tempi, che un frammento di serata, una situazione passata, una scheggia di ricordo, mi baleni per la mente e si conficchi acuminata nel mio Io cosciente.
Forse perchè sto vivendo nuove assurdità, o almeno i segni le preannunciano. Sembra quasi che una volontà oscura stia rimettendo a posto i buchi del puzzle passato, senza che io ne abbia volontà coscente.
Io sono un solipsista ed un autarchico.
Faccio tutto da solo. Me le dico, me le insegno, me le condanno, me le assolvo, e in larga misura…me ne fotto.
Cerco il Divino nel profondo buco del culo della mia autodeterminata coscienza, non sopporto le leggi altrui e decido solo io cosa sia giusto o sbagliato.
Non sono un giudice che ci si augurerebbe di avere, nonostante io mi trovi a giudicare me stesso. Non sono mafioso (e questo mi fa molto poco italiano). Il fatto che io sia io… non mi risulta una grande attenuante.
Anzi, spesso è causa di una maggiore ferocia nel giudizio.
Forse sconto un pò sulla pena. Ma per controbilanciare c’è sempre Padre Fato, che con le mie pene non ha mai avuto nemmeno il sospetto di un’attenuante.
Ultimamente, l’acqua vuole dirmi qualcosa……
Mi entra l’acqua nella macchina, il mio ufficio si allaga, la nuova caldaia in cantina mi sfoga acqua distillata sul pavimento.
Che significato avrà tutta quest’acqua che vuole ad ogni costo entrare nella mia proprietà?
Io, cerco sempre di interpretare i segni, da bravo stregone o sciamano tribale. L’acuqa purtroppo ha talmente tanti significati esoterici da poter dare qualunque spiegazione…
Mi si prospetta forse un destino di cose inevitabili, che aggireranno ogni difesa, ogni sigillo per giungere all’interno di me, come fa l’acqua cercando (e trovando) ogni possibile passaggio?
O forse significa solo che dovrei cercare di perdere la mia consistenza terrosa, diventando più duttile, più adattabile, più penetrante?
Probabilmente lo saprò solo troppo tardi, come sempre. Le profezie spesso sono inutili per definizione, le si interpreta correttamente solo a fatti accaduti e , ne convengo, la cosa più probabile è che si tratti di un puro caso.
Non mi sto nemmeno rimettendo in ginocchio, figuriamoci in piedi, ma l’idea che l’inverno svanisca mi ridona una lieve vibrazione energetica.
Negli ultimi mesi ho lasciato andare un pò tutto a puttane. Proprio perchè sono autoreferenziale.
Quando in me scemi l’impulso ogni azione diviene impossibile, il corpo non risponde più.
Non sto più a chiedermi dove io abbia fatto bene o male. So solo che ora è differente il motivo per cui io possa avere fatto l’uno o l’altro.
Un tempo mi occupavo degli altri, ora mi occupo di me.
Sinceramente, sono diventato fatalista. Se stacco la testa a qualcuno, mi dico sottovoce che in fondo doveva andare così. Ma anche quando la staccano  a me, non sto più a gridare tanto all’ingiustizia.
La gente non vuole la verità, la gente vuole quello che vuole. Punto.
Ed anche io, dopotutto.
In fondo, quasi tutti sono autoreferenziali come me, solo che a loro sembra disumano ammetterlo.
Qualche cosa di sacro, per cui patire, lo abbiamo tutti, ma la base da cui partivo io era molto più ampia. Era che tutto doveva essere sacro, o sacrilego.
Ora, ovviamente, trovo che la maggior parte delle cose siano inutili.

La copia di una copia, di una copia,di una copia, di una copia….
Non è da me citare la Bibbia, ma sono incappato in Qoelet: l’Ecclesiaste.
Un libro della Bibbia scritto tre o quattro secoli prima di Cristo in cui si trovano intuizioni assurdamente realistiche e materialistiche, incredibilmente poco adatte ad un fondamento religioso, se decontestualizzate:

"1 Parole di Qoèlet, figlio di Davide, re di Gerusalemme.
2 Vanità delle vanità, dice Qoèlet,
vanità delle vanità, tutto è vanità.
3 Quale utilità ricava l’uomo da tutto l’affanno
per cui fatica sotto il sole?
4 Una generazione va, una generazione viene
ma la terra resta sempre la stessa.
5 Il sole sorge e il sole tramonta,
si affretta verso il luogo da dove risorgerà.
6 Il vento soffia a mezzogiorno, poi gira a tramontana;
gira e rigira
e sopra i suoi giri il vento ritorna.
7 Tutti i fiumi vanno al mare,
eppure il mare non è mai pieno:
raggiunta la loro mèta,
i fiumi riprendono la loro marcia.
8 Tutte le cose sono in travaglio
e nessuno potrebbe spiegarne il motivo.
Non si sazia l’occhio di guardare
né mai l’orecchio è sazio di udire.
9 Ciò che è stato sarà
e ciò che si è fatto si rifarà;

non c’è niente di nuovo sotto il sole.
10
 C’è forse qualcosa di cui si possa dire:
«Guarda, questa è una novità»?
Proprio questa è già stata nei secoli
che ci hanno preceduto.
11 Non resta più ricordo degli antichi,
ma neppure di coloro che saranno
si conserverà memoria
presso coloro che verranno in seguito […]"

Questo anonimo di due millenni e mezzo fa la pensa stranamente come me….e questo conferma in maniera inquietante la sua stessa intuizione!
Allora forse è sempre stato così. La vita è una specie di disco segnato, che ripete la stessa parola per tutta la propria durata.
Ormai ho provato molte cose, molte cose che nella vita di un uomo avrebbero dovuto essere fondamentali, come la convivenza, l’amore, l’avventura, la condivisione, la solitudine, la libertà, una profonda severità morale e la più completa assenza di regole……
Non c’è nulla che mi abbia indicato una via. Nulla che io trovi migliore, peggiore o illuminante.
Anzi, un tempo, quando non avevo provate molte cose, albergava una latente speranza in me. Mi dicevo, da solo, che ci sarebbe stato ancora qualcosa da scoprire, da provare,da assaggiare, che avrebbe potuto rivelarsi illuminante.
Ma non è così. Tutto sembra la ripetizione di ciò che sia già accaduto. Leggermente modificato, ma comunque un plagio manifesto.
Cosa potrei etichettare come "nuovo" ormai?
Per una mente sempre rivolta la passato, come la mia, inoltre è ancora più difficile trovare speranza nell’avvenire.
Queste schegge di ricordo, sono come l’acqua. Io non risco a fermarle. Si insinuano, imprengano, bagnano, invadono una coscenza che vorrebbe solo stare quieta…..
Il passato è un ferro arroventato nelle reni. Il futuro una nebbia densa come pane.
Il presente è un guazzabuglio, un acquerello cangiante di forme inafferrabili ed in movimento.
Io, non so nemmeno più cosa volere, o cosa augurare a me stesso…..
Lei mi siede di fronte, mentre canto. Vorrei tanto non guardarla. Ma tanto.
Ma è talmente bella che sembra un disegno di Larry Elmore divenuto carne.
Io vorrei che la bellezza non mi facesse questo effetto. E che la non bellezza non mi facesse alcun effetto.
Il canone estetico è una pastoia dal peso incalcolabile per la mia emotività. Perchè tutta la mia vita è una ricerca di armonia, che sia di suoni o di forme.
Davanti ad una tale armonia delle forme mi sento disarmato. Mi sento nudo. Mi sento impotente e debole. Non è un impulso assolutamente sessuale! E’ un profondo stato di commozione. Un pianto interno, per tanta perfezione.
E mi sento spavaldo e bastardo di fronte alla disarmonia corrispettiva.
Vorrei tanto che la forma delle cose non avesse alcun effetto sul giudizio del contenuto, nella mia mente.
Ma non è così.
Alcuni lati di me, che piacciono tanto, devono la propria genesi proprio a questo spietato sistema di giudizio.
La bellezza non è una virtù, per la mia anima logica, è una fortuna o un caso.
Ma per la mia anima emotiva ed illogica è un potere contro il quale non vi è difesa.
Vorrei apprezzare tante persone come loro apprezzano me. Ma il mio giudizio estetico ha una lama dentata tra le mani, e non ha alcuna remora ad usarla.
E di fronte ad ogni specchio, esso non risparmia nemmeno me.
Così mi trovo a pensare di non essere degno di me stesso.
E mi faccio a pezzi, da capo, ogni volta.
Perchè non sarò mai soddisfatto della mia biologia estetica. E non mi accontenterò mai della scarsa armonia estetica altrui. E il fatto di pretendere ciò che so di non possere è come una cannonata nel cardine della mia costituzione morale.
Per questo, continuo ad inseguire il vento….
Non c’è niente di nuovo sotto il sole.
Vanitas vanitatum.

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Ho fatto una cosa che non avrei dovuto fare.
Ho messo di nuovo i concept album di De Andrè nella chiavetta che uso in macchina.
La tangenziale è come sempre un organismo spietato, non importa di quale umore tu sia. Anzi, sembra farlo apposta. Ti inchioda nell’abitacolo in compagnia del cantautore estinto, che ti racconta una vecchia favola.
Talmente vecchia da essere dimenticata, forse.
Allora ti accorgi di esserti dimenticato una parte di te stesso, perchè quella favola non era un ricordo, non era una sfumatura, non era una decorazione. Era uno dei fondamenti.
E’ troppo difficila da spiegare.
E’ una di quelle cose che rendono diversi. Veramente diversi.
Una di quelle esplosioni emozionali che diano l’accordo a tutta una vita, nelle quali si rimanga irrimediabilmente invischiati. Forse qualche anima vi avrà trovato la voce di un Dio, seguendo la strada dei santi e dei profeti.
Altre l’avranno assorbita sotto forma d’ispirazione artistica; componendo capolavori, dando vita ad opere immortali.
Molti, forse i più, non se la sono nemmeno cagata, e sono come buoi al pascolo. Complessi tubi di trasformazione del cibo in merda.
Non so come ognuno la viva, se capiti a tutti, se solo alcuni vengano scelti per sopportane la delizia o la croce.
Io, però, so esattamente quando mi accadde.
Ascoltavo De Andrè, più precisamente "un malato di cuore", con il mio primo walkman cd.
Il brano iniza con un preambolo, il tempo quasi aperto. Gli accordi sono solo accennati, le melodie delle vocalist sembrano provenire da altri mondi (…"lungo i ruscelli d’altri mondi nascono fiori che non so..") la voce narra di un diverso, di un menomato, il cui cuore balordo è nella voce pulsante del basso.
Ma l’impianto musicale non è goffo, non da alcuna idea di menomazione. Da un’idea sublime di leggerezza, di etereità. Non è nemmeno malinconia di un vissuto non ripetibile, è malinconia di sogno irrealizzabile.
Questo forse era il primo fondamento: la leggerezza del sogno.
Non importa quanto sia irrealizzabile o intangibile ciò che si sogni, esso si sostiene da sè. E nessuno sognerà mai quanto chi sia a conoscenza dell’impossibilità pratica della propria visione onirica.
Non sognare. Sii il sogno.
Ma il colpo di grazia arriva nella parte centrale. Quando il protagonista del racconto cardiaco lascia l’anima sulla bocca dell’amata, De Andrè e suoi musicisti riescono a spararmi oltre la materia. Come un proiettile umano.
"..e il cuore impazzì e ora no non ricordo, da quale orizzonte sfumasse la luce.."… e la coperta di velluto avvolgente, che è la voce di Fabrizio,  lascia il posto ad una vocalist potente, che innalza tutta la percezione musicale dell’uditore verso vette inarrivabili di melodia, armonia e perfezione.
La melodia della voce femminile è più di un condimento da ritornello. E’ una guglia gotica, un arco a sesto acuto che cerchi di sfondare la volta celeste, per arrivare in una dimensione di emozione non umana, e sopratutto non terrestre. Una finestra sul Regno dei Cieli (….trovano i cieli da fotografare…?)
Li, proprio in quel punto ho sentito anche io l’anima esplodere, molto tempo fa. 
Era un’energia tale che ci si poteva solo chiedere come potesse essere contenuta in un corpo umano. Non era un sogno, o la visione di un sogno. Era… tutti i sogni insieme.
Potevo sentire le ali del drago sbattere sul vento, i profumi di una foresta elfica, un’alba su un mare alieno, un amore, una divinità consolatrice, una speranza, la liberazione dal peso della materia…
Era un’epifania.
Questo era un altro fondamento: Riuscire a vivere l’estasi del sogno.
Andarsene non con i piedi, dal mondo della materia. Ma andarsene! Essere intangibili, intoccabili, in un signolo attimo di perfezione emotiva.
Poi il brano torna all’accordo aperto, al racconto, lasciando l’immane potenza del picco centrale, come fosse di nuovo atterrato sulla terra. Ma un atterraggio sempre delicato, nobile, come solo De Andrè sapeva essere, e nessuno è più stato.
Ed infine, c’è una chitarra solitaria. Che chiude il tutto con una melodia lieve, qasi timida, ma capace di racchiudere in sè tutte le malinconie di una vita mortale. Non le tristezze, le malinconie; e gli Dei maledicano chiunque continui a confondere le due cose!La malinconia del non compiuto, del non provato, del mondo diluito in un’ emozione, dell’assaporato solo nelle regioni eteree di una fantasia.
Il malato di cuore muore così. La sua anima, letteralmente, si sgancia dal corpo su un bacio.
Da invidiargli la morte….

Mentre ascoltavo la voce di Fabrizio, a molti anni di distanza, sulla tangenziale, mi chiedevo dove fosse finita quell’esplosione emotiva che mi aveva reso differente.
Pensavo che ormai, anche io, avessi perso la capacità di sognare. Io non le sogno più le cose… le penso.
Ci passa tutta la differenza del mondo.
Dicono che solo nei sogni gli uomini siano realmente liberi.
Ma nei pensieri no. Nemmeno un pò.
Se esiste un carceriere che non mi augurerei mai di avere è proprio il cerebro umano.
Quindi ho ingabbiato la mia emotività, come penso facciano tutti, sul lungo termine.
Questo non mi autocertifica una giustificazione, però. Io me ne fotto di "tutti".
Forse proprio per quello fui toccato dall’ispirazione e non mi sono mai sentito come la maggior parte delle persone, mentre oggi ormai, mi sento un bue al pascolo come gli altri.
Almeno fino all’attacco della vocalist…..
Sentivo il naso fremere, la gola contratta, ma non lo reputavo possibile.
Invece mi sono messo a piangere. Come un bambino. Con singhiozzi e lacrimoni, mentre cercavo di vedere la strada di fronte alla macchina. Per un attimo l’ho quasi rivissuta.
Mi ha sfiorato, non mi ha certo colpito in pieno come in adolescenza, ed era mista a molte altre cose.
Molte altre cose avevano un volto, ora, un nome, una storia. E a quella sensazione commovente che conoscevo si è aggiunta una nota vibrante e scura.
Non lo ricordavo. Non ricordavo affatto che oggi fosse l’anniversario della sua morte.
Incredibilmente, lui era li con me, in macchina, che mi cavava via la corazza con le pinze e faceva uscire ciò che egli stesso aveva scatenato tanto tempo prima.
Pazzesco……e intimamente commovente.
Ma la domanda, nel caso assurdo in cui riuscissi a recuperare quel fondamento perduto… è la stessa di vent’anni fa: Cosa ci faccio con questa roba?
Nessuno la vuole. Non ci si fa niente di pratico (o almeno io non ci sono mai riuscito).
Nessuno la vuole….ma tutti ne parlano.
Sembrano cercarla tutti, eppure nessuno la vuole. Cosa vorranno loro?
Se non ci sono riuscito con lei… come potrò riuscirci con loro….??
Io, non rriesco a ricordare bene quale fosse quella visione… 
Io….. non ricordo nemmeno più da quale orizzonte sfumasse la luce…..
..e la mia anima, d’improvviso, prese il volo.
Ma non mi sento di sognare con loro.
No.
Non mi riesce….
                                di sognare… 
                                                        con loro…

Mi pare di avere già fatto questo discorso, molto tempo fa.
Sarò ripetitivo, ma alla sbarra degli imputati, prima di me, voglio LA VITA in persona.
E forse è caso che io continui a ricordarmi questa cosa, prima che vada perduta per sempre.
A forza di toccarle le ali, la farfalla… non riesce più a sollevarsi da terra….

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Siedo sul divano.
La mia mente è un incessante meccanismo sferragliante che non si concede mai riposo.
Eppure sento solo bisogno di quello.
Riposo.
Gli Watchman dal televisore mi rigurgitano addosso una saga di eroi caduti, di angeli cinici, di feccia intenta nel proteggere la merda. Eppure hanno potere. Alcuni di loro almeno.
Altri lo possedevano, come me.
No,sul divano nessun potere, non più.  La corsa è finita, il ciclo è concluso.
Dopo tanto sudore e fiato corto, qualcosa si è fermato, se n’è andato con l’estate, e anche il suo ricordo comincia lentamente a svaporare.
Niente più corse, niente più fame, niente più da dimostrare a me stesso.
Squassato dai brividi mi accorgo che i termometri elettronici hanno un difetto di fondo, che i buoni vecchi vetri al mercurio non possedevano. La pila.
La pila si scarica, prima o poi.
Non saprò se io abbia la febbre o meno, il bastardo resta spento.
Il bastardo che misura la temperatura è finito, come il bastardo che desidera provarsela.
Due bastardi su di un divano da tre… c’è ancora posto.
Avrei avuto cose da fare, le avrei avute.
Ma le sto ignorando. Inespressivo ed immobile come un dipinto fremo sul divano. Non so se sia il tempo.
Non so se sia ciò che ho fatto, se siano le regioni per cui l’ho fatto, ma in qualche maniera la mia anima ne è rimasta lacera. Più che se avessi ucciso un uomo.
Sono diventato un mostro stupido e ignorante, preda dei proprii appetiti. Uno di quei  mostri che ho sempre deriso.
Sarei diventato demone, se avessi potuto. Ma vestire la pelle gommosa e maleodorante di un ottuso troll è il colmo.
Che genere d’uomo posso mai essere?
Ascolto le voci pressanti di chi mi chiede preoccupato se io stia bene, se non stia impazzendo.
Un pazzo, che scrive sulla rete le bestialità teatrali con cui si droga, per non pensare alla vita.
Perché ogni singola droga serve per dimenticarsi della vita.
E visto il successo che hanno, il giudizio sulla vita non lo sto dando io.
Lo da il mondo intero.
L’unica differenza è che io non mento, anzi, dipingo.
Dipingo le frasi perché, a volte, il dipinto di un orrore è molto più incisivo di una foto dello stesso.
Quando si debba pensare a ciò che si veda, ricostruirlo all’interno, il messaggio penetra ogni barriera. C’è chi ha talento nel dipingere soli e campi di grano. C’è chi imbratta le tele solo di interiora ed ossa.
Sono un uomo preoccupante. Ma non da poco.
Da tanto, forse da sempre.
Avrei cose da fare, ma non voglio farle.
Perché fatalmente non mi importa più di nulla.
Da ormai quasi mille giorni terrestri non mi sono dato pace. Ogni attimo di solitudine, ogni momento di pausa, ogni panorama senza occasione mi sono sembrati sconfitte. Tempo perso.
Uccidi il tempo, pazzo?
Ma se è l’unica cosa che hai….
Non mi importa nemmeno di lui. E’ una stanchezza infinita, un dolore per ogni attimo di veglia.
Una richiesta d’oblio, per una volta unanime, di anima e corpo.
Hai sbagliato tutto, sapendo che niente può essere sbagliato. E questo è un pensiero ancora peggiore, perché almeno stare dalla parte del torto definirebbe una posizione.
Questo…. questo è altro.
E’ un turbine di sensi di colpa, di cose inadempiute e brandelli di cose fatte, di cose morte. E’stare sul divano, avere freddo, tanto freddo, sapendo che non è così bassa la temperatura. Mi chiedo se il meglio non sia già venuto, se abbia bevuto il calice dolce fino in fondo. Tanto dolce non è mai stato, ma quello amaro è veramente indicibile.
No, ho avuto altre pause, anche durante le corse. Le conosco.
Questa è altro. Questa non è una pausa.
E’ il segnale che il combustibile è finito, lo spirito chiama dalla sala macchine e manda cordialmente tutti a fare in culo. Il corpo si ferma, che lo voglia o meno.
Hammer, o come diavolo si chiama, è d’accordo con la mia teoria (o io con la sua, ma.. chissene..).
Il grande morbo che miete vittime e non si ferma parte all’interno di noi, da qualcosa che scava, come un tarlo rodente. Secondo i miei calcoli dovrei averne già tanti.
Poveri Watchman. I supereroi banditi dal mondo, nascosti, perseguiti da loro stessi, dall’ombra di un passato glorioso.
Io, credo che molti pensino cose del genere. Molti le scrivano meglio di me. Ma almeno a me devo scriverle io.
Per ricordarmi che una corsa non sempre porta più lontano, o in posto migliore. L’unica certezza di una corsa è il fiatone.
Striscerò nel letto, a chiedermi di nuovo quanti demoni travestiti da umani io abbia incontrato, e quanti ne abbia impersonati.
A volte le lame calano contemporaneamente, mentre affetti qualcuno altri ti affettano.
Non ho tempo per avere la febbre.
Non ho tempo per la depressione.
Non ho tempo per gettare la spugna e rimuginare.
Fanculo.
Me lo prendo.
Uccidetemi, abbandonatemi, torturatemi. Non mi alzo più da questo divano!
Anche mentre passeggio al vostro fianco, in realtà, io sono la…..

Mentre metto l’ultimo punto entra mia sorella.
Dice che alcune belle ragazze con cui è uscita mi aspettano di sotto, per salutarmi.
Le dico di salutarmele. Rimango con piagiama e Word.
E’ una scelta di campo. Anche non combattere è una scelta di campo.

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Ormai la faccenda è conclusa, tutti sanno, tutti sono in fila con me imbottigliati nel medesimo vicolo cieco. Il riserbo ha perso ogni senso….


Io quasi balbetto i respiri.
La Drudia se n’è andata. Ha lasciato questa fogna intasata di mondo.
Un mondo che non amava, perchè alla Druida piacevano le cose fatte bene e in questo mondo è veramente difficile trovarne.
Per quel che mi riguarda l’ho amata con tutto me stesso, con tutto ciò che possedevo, con ogni singola molecola di corpo ed ogni scintilla di spirito.
Passare dodici anni insieme a lei mi ha regalato tutta la gamma di emozioni concepibili da un essere umano.
Dalla più idilliaca pace e serenità, all’ira più funesta, tutta la passione ed il coinvoglimento nel quale possano cantare i sensi così come la noia e l’incomprensione.
Forse non è possibile chiedere di più. Non è possibile chiedere altro ad un rapporto tra due esseri mortali se non questo altalenante ed elettrico cozzare di sentimenti ed emozioni.
Tutto questo amare, odiare, desiderare e rifiutare così simile alla vita…
In effetti abbiamo passato quasì metà delle nostre esistenze insieme.
Tutto quello che mi circonda porta il marchio del suo gusto e del suo stile, porta l’inconfondibile impronta del suo passaggio.
La sua calligrafia sulle canzoni scritte a mano, la sua abilità nei quadri, persino la disposizione dei mobili nel mio appartamento mi parla di lei.
Dopo tanta strada fatta insieme è stato duro separarsi, ma incomprensibilmente frustrante rimane l’idea che il suo cammino si si interrotto così bruscamente e prematuramente.
La vita continuerà…..
Lei avrebbe voluto così dopotutto.
Il ricordo che ho di lei sarà sempre troppo complesso per essere analizzato sotto ogni aspetto.
Non sarà mai un ricordo unicamente positivo, ma sarà un ricordo che non riuscirò mai a cancellare, per tutta la mia vita.
Mi mancherà per sempre, molto di più di prima.
Le nostre strade si erano divise da qualche tempo, e la fatica fatta per dimenticarla allora non è nulla se confrontata alla fatica per ricordarla adesso.
La Druida amava le creature pelose, le cose buffe, l’arte, la natura, le coccole, la libertà e la giustizia. Amava le canzoni, le bevute, le follie, le zingarate e le cose belle.
Sono felice di averla incontrata per l’ultima volta anche se brevemente, dove i nostri sguardi in una frazione di secondo si sono perdonati tutto.
Assolti nel finale, se non altro.
E l’ultima parola che mi ha detto è una parola che mi aveva detto mille volte, ma questa volta suonava veramente di addio.
"Grazie."

Anche io ti ringrazio Druida. Ti ringrazio per aver capito, sopportato ed amato quello strano animale che avevi scelto per compagno durante tutti quei lunghi anni.
Ti ringrazio per ogni premura, ogni dolcezza, ogni singolo pensiero che sia stato rivolto a me in così tanto tempo.
Ti ringrazio per avermi fatto svegliare in qualche mattino di vacanza con il suono di un bacio, di aver riso e giocato tra gatti e piumoni e di avermi sempre guardato con quell’espressione così fiera di me.
Io non dimentico nulla.
Nel profondo della mia anima, dietro le ali aperte del Grande Drago ora sorge il santuario della tua memoria, sigillato con il nodo della Dea.

Voglio pensarti sulla prua della grigia nave elfica, voglio pensarti mentre mi regali quel sorriso che Frodo regala ai suoi amici alla fine del film. Quel serafico, sereno e leggermente malinconico sorriso che tanto amavamo.

E poi tutto diventa vetro argentato…

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Eus.
Voci.
Non so perchè me ne sia reso conto in una gelida domenica di Gennaio.
Erano tutte li, le voci.
Forse perchè in una particolare domenica le voci si sovrappongono più del solito. E non sono le voci a cui sei abituato.
Sono voci anche lontanissime, che non hanno nulla da perdere o guadagnare a dire quello che dicono.
Non c’è conflitto di interessi.
Ad alcune non potrei nemmeno attribuire una bocca, sembrano sussurri di vento.
Le voci mi dicono chi io sia.
In qualche modo, non so come, mi dicono cose che so da sempre.
Mi ha colpito come uno schiaffo, la mia immagine ribaltata allo specchio.
E’ arrivata di colpo, ricompostasi come un mosaico intelligente, in una frazione di secondo, fatta di frammenti di azioni, parole e di intenzioni che mi appartengono.
Per un secondo ho provato un incommensurabile amore per quell’immagine.
E con lei mi è stato chiaro dove sia il mio blocco.
Come in tutte le diagnosi difficili, la soluzione era la più idiota. Era semplice, ma ho dovuto trovare un corrispettivo dall’altro lato della barricata per riuscire a sciogliere i miei sigilli.
Sigilli che avevo forgiato con pazienza e determinazione.
Per un attimo tutto il vorticante destino di rovina e sfacelo che continua a velarmi la visione del mondo si è dissolto.
In qualche modo il dolore si è staccato dall’essere che stava divorando e per un fugace istante ho potuto vedere quell’essere.
Quell’essere era fragile, era dolce, ma di una dolcezza maestosa.
Era piccolo, ma luminoso. Nemmeno si ribellava al dolore che lo divorava,e reprimeva anche le urla.
Soffriva con dignità, con una rabbia enorme ma silente.
Il blocco era semplice da individuare.
Sono stato amato per ciò che veramente ero. E sono stato amato tanto, per quanto non voglia ammetterlo.
Quando quell’amore si è dimostrato una spira fatale intorno al collo, qualcosa si è automaticamente nascosto.
Ora si, capisco.
Io non posso più concepire di essere amato per ciò che sono. Anzi, lo detesto perchè nel subconscio lo reputo la causa primaria del danno.
A livello inconscio qualcosa si è scottato, e del fuoco non vuole più saperne.
Cerco di essere amato per la mia recita, il più delle volte.
E per questo non vengo amato.
Anche se la recita è una variante minima di ciò che sono in realtà…non riesco ad essere veramente DIVERSO.
Ma indiscutibilmente sono fottuto.
Non so più se volere ciò che otterrei se fossi me stesso. So già cosa accadrebbe.
I relitti cercherebbero un altro relitto, e troverebbero me.
Ed non so più chi mi cerchi per spolparmi della propria luce mancante o chi si innamori semplicemente di quella luce……e voglia godersela.
Allora ognuno di noi nasce già schedato?
Immutabilmente legato al proprio essere?
Ciò che può essere ottenuto è limitato e dipendente da ciò che si sia?
Le voci non rispondono alle domande. Rispondono a gli stimoli.
Le voci non mi disturbano, anzi, mi comunicano un grande senso di dolcezza e riconoscenza. Una goccia di stima, perchè nel bene o nel male continuo ad assomigliare a ben poco di ciò che si trovi normalmente in giro.
Non sono proprio orgoglioso di ciò che normalmente è per me fonte di vergogna, ma stasera non mi disturba.
In qualche modo suona come una promessa fasulla, ma meno fasulla del solito.
Potrebbe anche essere difficile per un essere come me trovare un corrispettivo.
Non molti capiscono, eppure la base di ciò che offro è semplicissima.
Verità e semplicità.
Le cose per quelle che sono. E ironia, per spezzare il potere di quelle cose.
Cosa ho scelto in passato?
Scelsi qualcosa di bellissimo, ma in qualche modo involuto in se stesso, talmente stagno da essere impenetrabile, talmente complicato da risultare stagno.
Dovrei essere più accurato la prossima volta.
Dovrei scegliere qualcosa di semplice innamorato di qualcosa altrettanto semplice.
Forse sono io che sbaglio, sopravvalutando le pretese altrui.
Sentire che qualcuno c’è, a volte, è l’unica cosa importante.
Vale più un imbecille presente di un genio assente.
Questo mi ha detto una delle voci.
Vale più uno scoiattolo allegro di un leone morente.
Questo mi ha detto un’altra voce.
Vale la pena di vederci.
Questo mi ha detto un’altra voce.
Forse la voce che per tutto questo tempo è stata la più importante di ogni altra mi avrà detto queste cose centinaia di volte.
Ma c’era conflitto di interessi, sono voci a cui credi sempre con mezzo orecchio.
Sono le voci esterne quelle di cui ho bisogno.
Ringrazio le voci. Alcune anche provenienti da questa precisa sede.
Perchè non era loro dovere, ma era loro cura, e hanno fatto qualcosa senza saperlo o aspettarselo.
No, non sono un illuso.
Le voci non hanno potere sul mondo ed i suoi eventi. Non ne hanno alcuno.
Per quello occorrono i fatti.
Ma le voci mi hanno ricordato una cosa che il mio languore di inizio anno aveva spazzato via.
I fatti che mi competono non saranno mai ordinari. Possono farsi attendere, possono farmi penare, possono ingannarmi con mille falsi allarmi.
Ma quando arrivano sono I MIEI FATTI.
E ciò che è legato a me è legato alla mia particolarità.
Stasera non mi sento di aver fallito.
Mi sento come un drago che annussi il vento ed attenda la corrente giusta.
Mi sento come mi vede il Bardo….credo.

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Non è credibile a raccontarlo, che mi revochino i due giorni di ferie pattuiti lo stesso giorno in cui dichiarino la cassa integrazione…
Se non sapessi che la mia ditta è quasi più assurda della vita mi incazzerei.
Ma ormai ci ho fatto il callo. Ti gratti le palle fino ad addormentarti, ed appena manca un uomo chiave arrivano valanghe di lavoro.
La sfiga, una potenza con il mirino laser….
Comunque la giornata è stata tutta in salita. Verso mezzogiorno tocco l’apice del furibondo.
 Mentre addentavo il panino ed il Mago mi ascoltava paziente sbrodolavo i peggiori sentimenti concepibili da un essere umano (e pochi alieni, ma pochi).
Poi il mio fratello-di-.vita se ne esce con una frase che quasi mi fa cadere il boccone di bocca.
Non la riporterò qui. Dirò soltanto che era la frase che volevo sentire.
Magari sussurrata all’orecchio da un Dio consolatore nel buio della notte, o da una mamma affetuosa.
Una frase che forse suonava anche un pò forzata, con una puntina di falso per i miei cinici gusti.
Però era la frase che volevo sentire. E forse volevo sentirla proprio da lui, che sento sempre più distante con il passare del tempo, da quell’intimità che fu il nostro crogiuolo.
Nè io ne lui siamo più quei delicati esseri di ipersensibilità relazionali.
Eppure, quella frase mi ha consolato. Davvero.
Mi ha dato la forza di prendere di petto il pomeriggio, di accettare una dolcissima cioccolata offerta da una splendida creatura della quale ormai faccio sempre più fatica a fare a meno.
Mi dato la forza di non impazzire in tangenziale fermo come al solito.
Mi ha dato l’ispirazione per mettere tutto me stesso nella prova corale e soprattuto nel dopoprova…
Grazie Mago.
Forse nemmeno lo hai fatto apposta, nemmeno te ne sei accorto, ma hai ribaltato il karma della giornata.
A volte non facciamo caso a quanto un nostro semplice gesto possa sconvolgere le vite altrui.
A volte le migliori manifestazioni di affetto e generosità avvengono spontaneamente, senza premeditazione.
Grazie alla Signora del cioccolato, per avermi scelto come compagno di chiacchiere e dolcezze, ed avermi fatto sentire speciale per una donna, anche se per pochi minuti.
Grazie al Bardo, che è sempre attento, sempre presente, sempre pronto a sostenermi quando cedo e sempre pronto a mischiare la sua entusiastica energia con la mia mesta malinconia.
Grazie al Drago. Per le poche cose che mi son rimaste, che sembrano poche solo prima di averle perse.
Il tetto sulla testa, il bacio di una sorella, i tortellini in famiglia, la musica, gli amici, il blog per sfogarmi, qualche sostenitore spuntato dal web….
…..e la speranza.
La speranza che sempre uccido e sempre risorge.
Perchè è indistruttibile, anche di fronte all’evidenza.
Ed è l’ultimo filo che mi tenga appeso al cielo.

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