E' un pò come stare di fronte al mare.
Un percorso che non ha percorso, in realtà, di fronte ad una immensità non abbracciabile, che lascia interdetti sui percorsi e confonde tutte le rotte.
In fondo è come avere i piedi sulla sabbia umida, giocherellare piacevolmente con le dita e sentirla scorrere sulle pelli sensibili.
E' lo sciabordìo cullante, il cielo notturno silente. Sono due mari, uno di fronte all'altro, verticalmente. Uno di acqua, uno di vuoto. Ma entrambi non misurabili dai sensi umani.
In fondo è anche logico che io mi trovi qui.
Dal Fantasy venivo e al Fantasy ritorno. Non so se si sia trattato di un cerchio, di una elissi o di una contorta spirale, ma il percorso mi ha riportato nel punto in cui mi trovai a partire.
Mi sembrano passati secoli. Mi sembrano passati molti mondi e molti diversi "IO"; ma forse nemmeno mi sono mai mosso.
So che ora il mio respiro si è fatto di nuovo tranquillo, tutti i demoni e gli angeli sono rientrati.
Sento rabbia, una rabbia letale. Una furiosa violenza di ribellione, che serpeggia in me, lenta, lungo ogni giornata amara.
Sento ora, più che in ogni altro momento degli ultimi tempi, la catena dello schiavo.
Mi sento prigioniero di un mondo crudele e schiavista, di un meccanismo spietato e privo di qualsivoglia buon senso.
Mi sento corcifisso sul legno di un paese infernale, in cui la merda ormai sia l'unica religione e il becero tornaconto l'unico fine.
Di fronte a questo mare immaginario, sento il respiro della mia fantasia, della mi armonia interna, dei molti cosmi del mio pensiero.
Le stelle illuminano fredde le onde di una marea scura, l'onda d'inchiostro di ogni disegno non fatto, di ogni parola non battuta.
Da quando il mio spirito si è acquietato smettendo di cercare all'esterno, mi sono accorto degli infiniti spazii che albergavano nel mio interno.
Schiavo.
Non ho scelta. Anche domani non ho scelta.
Non posso disegnare, non posso scrivere, non posso cantare.
Non posso fare nessuna delle cose che vorrei fare. Perchè la mia sopravvivenza dipende unicamente da ciò che io DEBBA fare.
Non piantar patate per mangiarle, che cerebralmente avrebbe anche un suo filo logico, ma rincoglionirmi di fronte ad un computer.
Battute di colleghi, luoghi comuni, tanto comunida essere fotocopie ricalcate di clichè doppi. Orarii come coltelli da macellaio, pause come respiri sospesi durante un annegamento.
Ed un ritorno alle mie torri, relitto e derelitto, pronto per un sonno angosciante, che promette come unica cosa un nuovo inizio dell'agonia.
Non è il mio lavoro, non è qualsiasi lavoro. Non è il tipo di lavoro.
E' il concetto stesso di produzione fine a se stessa. Il perpetrare e celebrare il superfluo come occasione di sopravvivenza.
E' fatica fine a se stessa, che si autoconsuma. La spesa sempre pari al guadagno, ed il tempo sempre perso. Sempre.
Io non mi annoio. Non è possibile per me annoiarmi.
Anche alle pastoie la mia mente fugge. Pensa agli antichi imperi perduti, alle cadenze dei versi, agli incubi e alle visioni dei sognatori, ai tratti dei pittori, alle note delle armonie.
No.
Una mente come la mia non è contenta della pastoia. Io non ho bisogno di uno schema per riempirmi la vita, per non andare in giro ubriaco a far danni.
Io non ho alcun bisogno di una droga giornaliera per stancarmi e rendermi docile.
Io sono una mente libera in un mondo servo.
Veleggio verso mondi impossibili, mi dondolo tra liane semantiche, faccio gargarismi con le semicrome e le scale cromatiche, sfumo e cromeggio. Tratteggio.
Io assorbo e rielaboro.
Io non credo di essere un genio, ma non sono nemmeno coglione quanto mi vorrebbe il sistema.
Il lavoro non rende liberi.
Qualsiasi cosa rubi tempo alla conoscenza ed all'evoluzione personale non può essere che limitante.
Il chiacchiericcio rivoltante del pettegolezzo umano mi spinge ad un conato di rancido vomito.
Non mi interessa, signori. Dei vostri cazzi e mazzi, delle vostre paturnie cerebrali sempre identiche anche quando riapplicate a nuove realtà, delle vostre inadeguatezze autoinflitte,
del vostro pessimo rapporto con la disinformate informazione o con lo stile e il vello momentaneo degli ovini.
Vestitevi come vi pare, pecore da latte e da carne. Me ne fotto di voi, della vostra silente accettazione di una rancio fatto di stronzi fumanti nel nome della prassi e della tradizione, del vostro belare roco e ridondante.
Dentro di me c'è ancora qualcosa che ormai credevo morto da tempo.
C'è un mare d'inchiostro, che può produrre qualunque immagine e qualunque racconto.
Mi ritiro nel mio Io, scorreggiando allegro in faccia al super-io che mi ulula tutti i suoi "DEVI".
Nel mio interno c'è un accordo vibrante che non viene raccolto, c'è una fucina di mondi e di persone. Ci sono draghi.
Il percorso mi ha riportato al Fantasy. Ed ora le lunghe ore di solitudine estiva passate a sognare draghi e guerrieri mi sembrano l'unico momento ben speso della mia esistenza.
Sogni miei, fatti per me, autoprodotti, senza peso, senza valore.
Come l'aria.
Non pesa, non costa, non si vede.
In un mondo come questo non vale niente.
E provate a vivere senza, se riuscite…..
.. e lasciatemi sognare.
Non parlate…
Lasciatemi sognare in pace….