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Posts Tagged ‘incubi’

JAR

E' un pò come stare di fronte al mare.
Un percorso che non ha percorso, in realtà, di fronte ad una immensità non abbracciabile, che lascia interdetti sui percorsi e confonde tutte le rotte.
In fondo è come avere i piedi sulla sabbia umida, giocherellare piacevolmente con le dita e sentirla scorrere sulle pelli sensibili.
E' lo sciabordìo cullante, il cielo notturno silente. Sono due mari, uno di fronte all'altro, verticalmente. Uno di acqua, uno di vuoto. Ma entrambi non misurabili dai sensi umani.
In fondo è anche logico che io mi trovi qui.
Dal Fantasy venivo e al Fantasy ritorno. Non so se si sia trattato di un cerchio, di una elissi o di una contorta spirale, ma il percorso mi ha riportato nel punto in cui mi trovai a partire.
Mi sembrano passati secoli. Mi sembrano passati molti mondi e molti diversi "IO"; ma forse nemmeno mi sono mai mosso.
So che ora il mio respiro si è fatto di nuovo tranquillo, tutti i demoni e gli angeli sono rientrati.
Sento rabbia, una rabbia letale. Una furiosa violenza di ribellione, che serpeggia in me, lenta, lungo ogni giornata amara.
Sento ora, più che in ogni altro momento degli ultimi tempi, la catena dello schiavo.
Mi sento prigioniero di un mondo crudele e schiavista, di un meccanismo spietato e privo di qualsivoglia buon senso.
Mi sento corcifisso sul legno di un paese infernale, in cui la merda ormai sia l'unica religione e il becero tornaconto l'unico fine.
Di fronte a questo mare immaginario, sento il respiro della mia fantasia, della mi armonia interna, dei molti cosmi del mio pensiero.
Le stelle illuminano fredde le onde di una marea scura, l'onda d'inchiostro di ogni disegno non fatto, di ogni parola non battuta.
Da quando il mio spirito si è acquietato smettendo di cercare all'esterno, mi sono accorto degli infiniti spazii che albergavano nel mio interno.
Schiavo.
Non ho scelta. Anche domani non ho scelta.
Non posso disegnare, non posso scrivere, non posso cantare.
Non posso fare nessuna delle cose che vorrei fare. Perchè la mia sopravvivenza dipende unicamente da ciò che io DEBBA fare.
Non piantar patate per mangiarle, che cerebralmente avrebbe anche un suo filo logico, ma rincoglionirmi di fronte ad un computer.
Battute di colleghi, luoghi comuni, tanto comunida essere fotocopie ricalcate di clichè doppi. Orarii come coltelli da macellaio, pause come respiri sospesi durante un annegamento.
Ed un ritorno alle mie torri, relitto e derelitto, pronto per un sonno angosciante, che promette come unica cosa un nuovo inizio dell'agonia.
Non è il mio lavoro, non è qualsiasi lavoro. Non è il tipo di lavoro.
E' il concetto stesso di produzione fine a se stessa. Il perpetrare e celebrare il superfluo come occasione di sopravvivenza.
E' fatica fine a se stessa, che si autoconsuma. La spesa sempre pari al guadagno, ed il tempo sempre perso. Sempre.
Io non mi annoio. Non è possibile per me annoiarmi.
Anche alle pastoie la mia mente fugge. Pensa agli antichi imperi perduti, alle cadenze dei versi, agli incubi e alle visioni dei sognatori, ai tratti dei pittori, alle note delle armonie.
No.
Una mente come la mia non è contenta della pastoia. Io non ho bisogno di uno schema per riempirmi la vita, per non andare in giro ubriaco a far danni.
Io non ho alcun bisogno di una droga giornaliera per stancarmi e rendermi docile.
Io sono una mente libera in un mondo servo.
Veleggio verso mondi impossibili, mi dondolo tra liane semantiche, faccio gargarismi con le semicrome e le scale cromatiche, sfumo e cromeggio. Tratteggio.
Io assorbo e rielaboro.
Io non credo di essere un genio, ma non sono nemmeno coglione quanto mi vorrebbe il sistema.
Il lavoro non rende liberi.
Qualsiasi cosa rubi tempo alla conoscenza ed all'evoluzione personale non può essere che limitante.
Il chiacchiericcio rivoltante del pettegolezzo umano mi spinge ad un conato di rancido vomito.
Non mi interessa, signori. Dei vostri cazzi e mazzi, delle vostre paturnie cerebrali sempre identiche anche quando riapplicate a nuove realtà, delle vostre inadeguatezze autoinflitte,
del vostro pessimo rapporto con la disinformate informazione o con lo stile e il vello momentaneo degli ovini.
Vestitevi come vi pare, pecore da latte e da carne. Me ne fotto di voi, della vostra silente accettazione di una rancio fatto di stronzi fumanti nel nome della prassi e della tradizione, del vostro belare roco e ridondante.
Dentro di me c'è ancora qualcosa che ormai credevo morto da tempo.
C'è un mare d'inchiostro, che può produrre qualunque immagine e qualunque racconto.
Mi ritiro nel mio Io, scorreggiando allegro in faccia al super-io che mi ulula tutti i suoi "DEVI".
Nel mio interno c'è un accordo vibrante che non viene raccolto, c'è una fucina di mondi e di persone. Ci sono draghi.
Il percorso mi ha riportato al Fantasy. Ed ora le lunghe ore di solitudine estiva passate a sognare draghi e guerrieri mi sembrano l'unico momento ben speso della mia esistenza.
Sogni miei, fatti per me, autoprodotti, senza peso, senza valore.
Come l'aria.
Non pesa, non costa, non si vede.
In un mondo come questo non vale niente.
E provate a vivere senza, se riuscite…..
.. e lasciatemi sognare.
Non parlate…
Lasciatemi sognare in pace….

 

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Io non sono affatto normale.
Non che questo possa creare una qualsiasi forma di sorpresa, in me o nel mondo.
Ma a volte mi trovo preoccupante.
La vita si è fermata. In parte perchè ho frenato con entrambi i piedi, in parte perchè semplicemente le cose girano da sole, e a volte incappiamo in qualcosa. Più spesso attraversiamo un vacuo nulla per periodi interminabili.
Anche stare così tanto in casa non mi fa bene.
Certo, proprio per questo mi ero costruito una vita simile ad un tabellino di marcia, con orarii scanditi e appuntamenti fissi ai quali presentarmi.
Li , sul tabellino facevo a pezzi il tempo.
E scappavo. Scappavo dalla macina, dal tritacarne del mio cervello incessante. Alcuni dicono di avere i tarli nel cervello. Io credo che l’intero mio cervello sia un tarlo, che rode la mia vita con voracità insaziabile.
Ed eccolo qui. L’uomo che fugge. Imprigionato nelle sue mura, a guardare il mondo dalla torre.
Ma non mi sono fermato per un eccesso di masochismo.
Non ho fermato le molte cose che avevo in mano per capriccio. L’ho fatto scientemente, con cosgnizione di causa.
Perchè andavo, è vero.
Ma non sapevo dove.
Forse scappavo perchè il passato mi inseguiva per i corridoi di un albergo disabitato brandendo un’ ascia…..
Non sono più un codardo, nè un pauroso.
Ho imparato ad affrontare il dolore sfidandolo. Anche se questo è grande, e molto più forte di me.
Essendo pazzo, parlo ancora con la Druida.
A volte sono solo, davanti al computer, e mi sfreccia nel pensiero una domanda, un’affermazione, uno stimolo.
E rispondo. A voce alta.
A volte mi lancio in monologhi lunghissimi, anche discretamente interpretati, come se di fronte a me vi fosse una platea adorante.
Non c’è nessuno. Non so nemmeno se molte di queste reazioni io le abbia perchè uno spirito mi stia realmente stimolando o solamente perchè, a volte, dal tombino del subcosciente sfugge qualcosa.
Il baratro della rimozione non è assolutamente chiuso in maniera ermetica…..
Questa notte, dopo il solito monologo con la Druida, mi corico beato. E mentre sto per addormentarmi sento un casino pazzesco nello studio.
Ora, dopo aver parlato per un’ora con qualcuno che non c’è più, non è tanto rilassante una cosa del genere.
Mi alzo, con il pelo del collo bello ritto, e vado controllare.
La pila di album fotografici contenenti le foto di molti anni fa (e molte con la Druida) che stava beatamente appoggiato su una mensola da giorni, era sparso per tutto lo studio. In una casa completamente chiusa, immobile, abitata solo da me e da un coniglio in una gabbia.
Che deve fare un pazzo a questo punto?
Riprende il monologo.
Si, sarei da rinchiudere. Ma il mondo occulto di cui mi occupo da una vita è fatto così. E’ fatto di: "è vero se ci credi", un pò come la religione. Non mi è mai apparso un fantasma, e li sono andati a cercare ovunque, con determinazione e sprezzo del terrore.
Le ha ribaltate uno spirito le foto?
Chi se ne frega….
La cosa preoccupante è il tizio che fa i monologhi, da solo, in casa.
Certo è strano. Qualcuno potrebbe anche pensare che mi metta la vestaglia della nonna e mi masturbi nella Nutella.
Non ho ancora provato.
Il problema è che ho ancora tante, tante, tante, tante, domande. E non c’è più la persona che potrebbe rispondermi.
Continuo ad andare avanti, non mi fermo. Ma loro lavorano silenziose, sotto.
Ciò che rimane è una croce solo mia, che non mostro mai apertamente.
E’ una specie di sicurezza; che tutto ciò che potevo avere l’ho avuto, ed ora niente mi soddisferà più.
Quindi non ho direzione. Il futuro rimane un pannello grigio e bidimensionale.
Io lotto per non impazzire, ma il passato ha lunghissime dita dalla morsa ferrea.
Lo slancio interpretativo è forse l’unica cura. Il monologo libera cose sopite. Spesso non penso quello che dico, mi ascolto da solo e mi sorprendo. E’ come una scrittura automatica, una seduta ipnotica autogestita.
Mesmerismo autoindotto.
Io non sono abbastanza pazzo per guadagnarmi un letto al manicomio e pasti caldi gratis. Ma nemmeno tanto normale da sentirmi come il resto delle persone.
Forse è una condizione ibrida in cui quasi tutti riversiamo.
Ma non mi vergogno più di tanto.
Non mi drogo, non sono un fannullone, non picchio la gente, non rubo, non vado nemmeno con le prostitute (e questo forse sarebbe meglio farlo). Sono solo scemo.
Non è un delitto. Ma nemmeno un gran sguazzo….

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Siedo sul divano.
La mia mente è un incessante meccanismo sferragliante che non si concede mai riposo.
Eppure sento solo bisogno di quello.
Riposo.
Gli Watchman dal televisore mi rigurgitano addosso una saga di eroi caduti, di angeli cinici, di feccia intenta nel proteggere la merda. Eppure hanno potere. Alcuni di loro almeno.
Altri lo possedevano, come me.
No,sul divano nessun potere, non più.  La corsa è finita, il ciclo è concluso.
Dopo tanto sudore e fiato corto, qualcosa si è fermato, se n’è andato con l’estate, e anche il suo ricordo comincia lentamente a svaporare.
Niente più corse, niente più fame, niente più da dimostrare a me stesso.
Squassato dai brividi mi accorgo che i termometri elettronici hanno un difetto di fondo, che i buoni vecchi vetri al mercurio non possedevano. La pila.
La pila si scarica, prima o poi.
Non saprò se io abbia la febbre o meno, il bastardo resta spento.
Il bastardo che misura la temperatura è finito, come il bastardo che desidera provarsela.
Due bastardi su di un divano da tre… c’è ancora posto.
Avrei avuto cose da fare, le avrei avute.
Ma le sto ignorando. Inespressivo ed immobile come un dipinto fremo sul divano. Non so se sia il tempo.
Non so se sia ciò che ho fatto, se siano le regioni per cui l’ho fatto, ma in qualche maniera la mia anima ne è rimasta lacera. Più che se avessi ucciso un uomo.
Sono diventato un mostro stupido e ignorante, preda dei proprii appetiti. Uno di quei  mostri che ho sempre deriso.
Sarei diventato demone, se avessi potuto. Ma vestire la pelle gommosa e maleodorante di un ottuso troll è il colmo.
Che genere d’uomo posso mai essere?
Ascolto le voci pressanti di chi mi chiede preoccupato se io stia bene, se non stia impazzendo.
Un pazzo, che scrive sulla rete le bestialità teatrali con cui si droga, per non pensare alla vita.
Perché ogni singola droga serve per dimenticarsi della vita.
E visto il successo che hanno, il giudizio sulla vita non lo sto dando io.
Lo da il mondo intero.
L’unica differenza è che io non mento, anzi, dipingo.
Dipingo le frasi perché, a volte, il dipinto di un orrore è molto più incisivo di una foto dello stesso.
Quando si debba pensare a ciò che si veda, ricostruirlo all’interno, il messaggio penetra ogni barriera. C’è chi ha talento nel dipingere soli e campi di grano. C’è chi imbratta le tele solo di interiora ed ossa.
Sono un uomo preoccupante. Ma non da poco.
Da tanto, forse da sempre.
Avrei cose da fare, ma non voglio farle.
Perché fatalmente non mi importa più di nulla.
Da ormai quasi mille giorni terrestri non mi sono dato pace. Ogni attimo di solitudine, ogni momento di pausa, ogni panorama senza occasione mi sono sembrati sconfitte. Tempo perso.
Uccidi il tempo, pazzo?
Ma se è l’unica cosa che hai….
Non mi importa nemmeno di lui. E’ una stanchezza infinita, un dolore per ogni attimo di veglia.
Una richiesta d’oblio, per una volta unanime, di anima e corpo.
Hai sbagliato tutto, sapendo che niente può essere sbagliato. E questo è un pensiero ancora peggiore, perché almeno stare dalla parte del torto definirebbe una posizione.
Questo…. questo è altro.
E’ un turbine di sensi di colpa, di cose inadempiute e brandelli di cose fatte, di cose morte. E’stare sul divano, avere freddo, tanto freddo, sapendo che non è così bassa la temperatura. Mi chiedo se il meglio non sia già venuto, se abbia bevuto il calice dolce fino in fondo. Tanto dolce non è mai stato, ma quello amaro è veramente indicibile.
No, ho avuto altre pause, anche durante le corse. Le conosco.
Questa è altro. Questa non è una pausa.
E’ il segnale che il combustibile è finito, lo spirito chiama dalla sala macchine e manda cordialmente tutti a fare in culo. Il corpo si ferma, che lo voglia o meno.
Hammer, o come diavolo si chiama, è d’accordo con la mia teoria (o io con la sua, ma.. chissene..).
Il grande morbo che miete vittime e non si ferma parte all’interno di noi, da qualcosa che scava, come un tarlo rodente. Secondo i miei calcoli dovrei averne già tanti.
Poveri Watchman. I supereroi banditi dal mondo, nascosti, perseguiti da loro stessi, dall’ombra di un passato glorioso.
Io, credo che molti pensino cose del genere. Molti le scrivano meglio di me. Ma almeno a me devo scriverle io.
Per ricordarmi che una corsa non sempre porta più lontano, o in posto migliore. L’unica certezza di una corsa è il fiatone.
Striscerò nel letto, a chiedermi di nuovo quanti demoni travestiti da umani io abbia incontrato, e quanti ne abbia impersonati.
A volte le lame calano contemporaneamente, mentre affetti qualcuno altri ti affettano.
Non ho tempo per avere la febbre.
Non ho tempo per la depressione.
Non ho tempo per gettare la spugna e rimuginare.
Fanculo.
Me lo prendo.
Uccidetemi, abbandonatemi, torturatemi. Non mi alzo più da questo divano!
Anche mentre passeggio al vostro fianco, in realtà, io sono la…..

Mentre metto l’ultimo punto entra mia sorella.
Dice che alcune belle ragazze con cui è uscita mi aspettano di sotto, per salutarmi.
Le dico di salutarmele. Rimango con piagiama e Word.
E’ una scelta di campo. Anche non combattere è una scelta di campo.

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Sempre rimane con l’ali a se strette
sul viso di donna dal ghigno ferale
le forme d’abisso, scolpite e perfette
 
del gran desiderio ritorto nel male.
Succube” è il nome, l’aspetto suo eterno
araldo di doglia per l’uomo mortale.
 
Il capo carezza con fare materno,
sul sonno le grinfie distende rapaci
sussurra la fiaba narrata all’inferno
 
 oscuri gli incanti di mani capaci.
"Chi sei?" le sussurro, ridesto dal tocco
"Angoscia" risponde, con bocca di baci
 
"di brace i miei occhi, la lingua di stocco,
uncini ho per dita e son serpi i miei crini.
Nel cuore del pazzo io trovo balocco
 
svelate ho le carni, ed oscuri i miei fini."
"A notte tu vieni" ognor le risposi
"a mescer le coppe d’ oscuri destini,
 
tra nebbie di sonno, negli occhi brumosi
i visi mi mostri di ciò ch’ebbi amato;
più a lungo li mostri, se son dolorosi,
 
le coltri tu muti in sudario strappato".
Allor mi carezza, ma scusa non brama
le fauci denuda sul viso sfrontato:
 
"Il sangue si versa su ciò che si ama.
Sarà la mia cura, che tu abbia memoria
del tristo cammino dell’anima umana.
 
Capire è il tuo scopo, la fulgida gloria
che tutto corrompe ed il mondo rovina
così è sempre stato, così è nella storia!”

E questo dicendo mi vien più vicina.
Sinuosa movenza di serpe suadente
artiglia la carne con gioia bambina,

la mano nel petto ella affonda repente
il cuore mi stringe, con l’unghia affilata
con l’altra carezza la pelle fremente.

“Tu domini sempre, tu mai sei lasciata!”
balbetto tra labbra serrate in dolore.
“Rovina! Sfiducia! mia succube alata!

Nell’avida mano tu stringi il mio cuore!”.
“Io son solo songo, visione d’oscuro
e l’unica sono per cui provi amore

io sono un sussurro, son ombra sul muro
io sono la rabbia e la grande impotenza
io mai fui fedele, non feci mai giuro

a te, solo a te, devo la mia esistenza".
“Se io no portassi più il giogo tedioso?
Se più non volessi l’odiata presenza?”

Mi faccio ribelle, ma ancora non oso
sfidare la cieca sua furia crudele
lei sempre si accorge e più non riposo

le notti colanti di gocce di fiele.
“Domani Rovina sarà tuoi passi
ancora per te un’ altra alba crudele.

Nel fuoco, nel vento, nell’acqua, sui sassi
non v’è per noi cruccio sull’ora ed il  luogo
gli oscuri recessi, gli abissi più bassi

avranno speranza per il nuovo rogo…”.
allora abbandono la forza e costanza
e chino la testa al medesimo giogo:

che Vita è dolore, Fatica è la danza
un cieco ci guida tra vicoli oscuri
per lume v’è solo una fioca Speranza
io so che v’è sempre, ma non quanto duri…….

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« Non è morto ciò che in eterno può attendere,
e col passare di strani
eoni, anche la morte può morire. »
Lovecraft sognava cose strane.
In questo mondo, in questa società, se si va in giro dicendo di avere visto la Vergine Maria o Padre Pio la massima reazione negativa che si possa ottenere è qualche sguardo sardonico o una risatina.
Se si va in giro dicendo di avere visitato, in sogno, antiche città aliene costruite da essere antichissimi si finisce al contrario in manicomio.
H.P. (inquietanti anche le iniziali del nome di quest’uomo, a metà tra un maghetto pop ed una stampante di larga diffusione…) forse non era fesso del tutto, anche se sicuramente, leggendone la biografia, tendeva al sociopatico ed al maniaco-depressivo(quindi, in qualche modo mi sento vicino a lui).
Io, autocraticamente, non trovo meno credibile la visione cosmogonica di Lovecraft rispetto a qualunque altra, tant’è che si parla dell’ inverificabile, quindi anche confutare l’inverificabile diventa idiota almeno quanto prestarvi fede….
E’ forse una questione di affinità percettive e sensoriali, ad un certo livello.
Non mi trovo in accordo con la visione edulcorata e consolatoria della filosofia cristiana, dove alla fin fine l’anima possa appellarsi ad un "tana libera tutti" pentendosi e una grande intelligenza buona lo accoglierà in seno al suo eterno amore….
Lovecraft è, spudoratamente, all’estremo opposto.
Secondo la sua filosofia cosmogonica è il puro caos ad aver creato ogni cosa, un caos crudele e inconsapevole, i cui Dei sono entità inconcepibili per la mente razionale (e questo già mi sembra più plausibile) al punto che la sola loro visione distruggerebbe l’ignaro umano.
Non per nulla al centro dell’uiniverso H.P. pone il suo essere supremo, Azathot.
Che altri non è se non un Dio Idiota, inconsapevole e noncurante, che convulsamente bestemmia e si agita in una confusione cacofonica di inconcepibile orrore e vastità.
Facile supporre che con un presupposto di questo tipo nessuna intelligenza abbia creato l’uomo per avere una creaturina da accudire ed amare.
Anzi….
In noi gli esseri superiori non vedrebbero assolutamente nulla, saremmo come microscopici insetti, e addirittura Lovecraft ci spinge a pregare che essi possano continuare a ignorarci, perchè non avrebbero pietà o rimorso nel cibarsi delle nostre vibrazioni psichiche di terrore e disperazione.
Ed alcuni già lo fanno.
Il mito basilare di Cthulhu poggia su questo inquietante fondamento psicorrorifico.
Il dio dalla testa di polipo, malvagio e marcescente, giace sotto le onde dei nostri oceani nella sua megalitica città sommersa di R’lyeh  nella sua condizione di non-morte (dato che tecnicamente non può morire, ma nemmeno dorme..) e sogna.
Sogna incubi e delirii che alcuni di noi captano.
Incubi violenti e inquietanti, di memorie fuori dal tempo, gremiti di chissà quali danze demoniache ancestrali, ossessivi e oscenamente blasfemi.
Cthulhu allunga le sue invisibili dita nel reame onirico, dove l’uomo non ha difesa, ed ispira follìe fomentando il caos dal quale proviene.
Addirittura Lovecraft da le coordinate di R’lyeh:
 47°9′S, 126°43′W nell’Oceano Pacifico del sud.
Più o meno ad inculandia, vicino al Punto Nemo dell’inaccessibilità (il punto marittimo più lontano da OGNI costa..).
Ha sparato a caso, diremo ovviamente.
Ciò non toglie fascino all’invenzione d’altra parte..se non che…
Nell’estate del 1997 dal National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA) viene registrato un suono ultragrave proveniente dagli abissi marini, percepito nel modico raggio di 5.000 km e identificato come suono emesso da un’entità biologica vivente, tuttavia sconosciuta sulla terra. Lo chiamano il bloop.
L’epicentro è a pochi gradi dalle coordinate indicate dal pazzo visionario di Providence.
Forse Cthulhu non esiste, non dorme sul serio, ma a volte russa…
Certo i molteplici aspetti di fascino dell’opera Lovecraftiana colpiscono in maniera differente.
Anche io inizialmente ero attratto maggiormente dall’aspetto orrorifico e criptoarcheologico della sua visione. Il richiamo di Cthulhu è un racconto che mi ha folgorato fin dalla prima lettura.
Ma con il tempo e la conoscenza della sua opera omnia è stato l’aspetto di desolante non-speranza che ne trasuda ad avvincermi.
Io non sono mai stato antropocentrico e nutro scarso amore e quasi nulla fiducia nella razza alla quale appartengo. Su questo io e H.P. siamo concordi.
Ma lui si è spinto oltre al mito gotico di dannazione/redenzione dell’uomo.
Lui è arrivato all’inconcepibile, e a mio avviso agghiacciantemente realistica, ipotesi che tutta la nostra realtà sia un’insignificante casualità assolutamente non determinante vista la graniosità delle forze in gioco.
La realtà stessa ne è lo specchio.
L’operosa comunità delle formiche potrebbe impiegare interi cicli vitali dei suoi membri per costruire un formicaio, ed io, entità non concepibile dalla coscienza dell’insetto vista la mia smisurata vastità, con un badile potrei distruggere l’opera (e le loro vite) in pochi secondi, senza nemmeno accorgermene, perso nei miei pensieri (da loro ) impescrutabili.
Se noi fossimo le formiche, e le entità dei profondi recessi dello spazio fossero armate di badile?
Abbiamo concezione di spazo/tempo/realtà limitate dalle nostre umane coscenze, quante e quali cose ci sono ignote?
In periodi ciclici inoltre, spesso quando le cose paiono andare per il verso giusto, mi colpisce una stanchezza ancestrale, ed un senso di desolazione cosmico.
Mi sveglio più stanco di quando mi sia coricato.
Dove ho vagato senza averne memoria nell’incoscenza del sonno? Negli abissi di una realtà senza spazio e tempo? Cosa ho visto, che mi possa aver tolto energia vitale e speranza?
Forse anche su questo punto Lovecraft aveva ragione.
Solo l’ignoranza è salvifica e preserva la mente dagli abissi tra i quali si muove in equilibrio precario. La mente ottusa e chiusa è avvantaggiata, mentre la mente percettiva ed aperta è sottoposta a continui attacchi….
Lo stesso Lovecraft affermava di non riuscire a scrivere inventandosi le cose, ma prendendo spunto dai suoi tormentati sogni, tanto che arrivò perfino a chiedersi se potersene attribuire l’effettiva creazione….
Chi parlava nella mente del pazzo? Era sempre il pazzo o un fattore esterno?
Howard era comunque, per agente esterno o interno, arrivato alla radice totale dell’orrore, l’orrore assoluto.
Non la paura di essere smembrati da un mostro, o spaventati da una presenza.
L’orrore molto più sconvolgente del non avere senso, non avere peso, di essere inermi entità di pulviscolo in uno spazio inconcepibile, freddo ed assolutamente indifferente.
L’orrore del caos come inizio e fine di tutto.
Sotto questa luce agghiacciante l’idea stessa di esistenza diviene insopportabile, ed anche questo aspetto lo eleva ai miei occhi al rango di illuminato.
Idea che verrà ripresa molti anni dopo in Alien, dove l’esterno rappresenta l’ostilità più irragionevole e noncurante e bracca gli esserini umani (inferiori e spaventati) in un gelido cosmo nel quale "nessuno può sentirti urlare".
O meglio, e ancora più Lovecraftiano, a nessuno frega nulla che tu stia urlando, o al massimo, ne gode….
Era un pazzo, o un profeta del male.
E credo abbastanza furbo da far passare per racconti fantascientifici le sue reali visioni orrorifiche. Così finiva pubblicato anzichè in manicomio.
Ma comunque da da pensare……
Negli anni ’20 aveva visioni più modernamente inquietanti di quante ne abbiamo noi oggi con infinito materiale in più dal quale attingere.
Ci ha lasciato il mito di un libro che non esiste, che mezzo mondo crede vero e l’altro mezzo spaccia per vero.
Eppure, io credo che l’arabo pazzo fosse lui.
Che il Necronomicon esista, sparso e frammentato in tutti i suoi racconti.
Alla fine è diventato ciò che ha creato, o forse si è raccontato nascondendosi dietro ad un mito.
Ma il suo monito è ben chiaro.
Non c’è speranza alcuna.
E devo ammettere, osservando il mondo ogni giorno, di trovarmi sempre più in armonia con la sua desolante filosofia…..

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La falce cala di nuovo.
Comincio a chiedermi se resterà qualcuno in piedi all fine di questo anno.
Anche Bob se n’è andato.
Bob (come lo chiamavo io) suonava il flauto. Per la precisione l’ottavino, lo strumento più minuscolo dell’orchestra.
Era una gioia vederlo prendere per il culo i vari contrabbassisti, fagottisti e violoncellisti, mentre lui, con il suo faccione pieno e solare se ne andava in giro con lo strumento nel taschino della giacca.
Era un fuoco artificiale. Una serata con lui era sempre un continuo di risate e lazzi, un rotolare di storie incredibili raccontate con una gioia quasi fanciulla.
Un uomo mitologico, di quelli che mettono sempre allegria, mettono sempre voglia di ridere e stare in compagnia. Voglia di vivere.
Benchè non lo vedessi da anni ormai, mi rattrista infinitamente pensare che il mondo abbia perso un’altra delle sue stelle luminose, che sarà un pò peggiore….in generale.
E le cose continuano a cambiare rapide.
Nuovi sviluppi gettano un’ombra minacciosa su alcuni aspetti del mio futuro che già nel presente considero un dito nel culo. Penso che stiano spalmando un palo di vaselina, e guardino con occhi voluttuosi il mio piccolo e stretto buchetto.
Penso che ci saranno vendette che attendevano da tempo e che la fatica non supererà più il gusto (quello lo fa già) ma piuttosto si sposterà in una nuova intoccabile posizione, una nuova dimensione.
Oggi sono veramente una pila scarica, un palloncino sgonfio.
Ritrovo la mia vecchia visione simile a quella di un ben noto mago con le pupille a clessidra.
Vedo tutto avvizzire e disfarsi in polvere, vedo le carni invecchiare ed accartocciarsi, vedo crollare mura in polvere.
Vedo me stesso in un regno di grigie ceneri e cadaveri gonfi.
Mi chiedo come si possa essere vivi in mezzo a tanta morte.
Io comincio a perdere il filo, comincio adessere confuso. Le cose cominciano a sfuggirmi dalle dita, sento la presa allentarsi.
La forza pare abbandonarmi, il ruggito del drago si fa sempre più fioco.
Non so più nemmeno rincorrere il filo dei pensieri perchè sono soo schegge, immagini fugaci, che durano battiti di ciglia.
Tanto per cambiare per inseguire tutto finisco con il perdermi io.
E a ben pensarci, forse, se riuscissi a seminarmi… ne sarei anche felice……
Però c’è una sacerdotessa che cura le mie ferite ora, e lo fa invocando il drago.
Mi racconta i miei sogni più intimi, senza che glie li abbia mai confessati.
E questa piccola goccia di commozione è l’unica cosa a cui riesco ad aggrapparmi.
Ringrazio il drago che ci sia.
Per il resto delle cose nutro molta poca fiducia….

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Esattamente un anno fa, oggi, il giorno di San Patrizio, moriva definitivamente la mia storia d’amore.
Dopo dodidci anni.
Proprio oggi. Ricordo quella serata come se fosse ora.
Al pub irlandese con il Bardo, che ancora non era tornato definitivamente a Bologna.
Una serata di birra a fiumi, di studentesse con i cappelli verdi, di polacche portate in giro per i pub.
Una serata pazzesca.
Una serata per anestetizzare i sensi e per dirsi la più grande delle bugie necessarie: "guarda cosa mi sono perso per tutti questi anni!".
Non sarei qui a scrivere se la morte non fosse arrivata improvvisa e implacabile durante questi trecentosessantacinque giorni. Manterrei il riserbo anche per rispetto dell’avversaria.
Ma ormai la livella di Totò ha dato torto e ragione a chi di dovere….
Ormai di lei non rimane che il ricordo. Ormai di quella sera non rimane che il ricordo. Ormai di tutto quell’amore non rimane che il ricordo.
Ormai di tutta quella vita non rimane che un ricordo…
Un solo giorno per cancellarne quattromilatrecentottanta…..
San Patrizio.
Un santo che io vedo con un’ascia a due mani grondante sangue, non certo con una Guinnes ed un sorriso.
Ieri notte, rincasando dopo una non bella prova di gruppo, ho alzato gli occhi verso il mio terrazzo, ed ho avuto una visione.
Mi sono ricordato di un pomeriggio di primavera.
Entrai con il motorino nel giardino e guardai su.
Lei stava innaffiando i suoi fiori e mi sorrise, i gatti si sporgevano dalla ringhiera di ferro battuto per miagolarmi un bentornato.
Erano tutti li, colpiti dal sole, colorati dai fiori.
Erano la cosa più bella che si potesse immaginare. Lo pensai anche allora, lo ricordo perfettamente.
Poi la visione è svanita.
Ed ero di nuovo un uomo solo, con una borsa piena di cavi, microfoni e casse, con molti più capelli e molta meno pancia.
Un uomo solo alla luce dei lampioni, che gardava una terrazza piena di sacchi dell’immondizia e vasi di residui secchi e contorti.
Le stelle erano fredde e crudeli, come sempre, come me le ricordavo.
"Guarda cosa mi perdo ora" ho sussurrato….
E mi stava bene. Meglio di un vestito nuovo.
Sapere che non sarei mai stato felice, che non lo ero stato del tutto quando potevo, che non lo sarò mai, perchè mancherà sempre qualcosa, ci sarà sempre un dubbio.
Sapere di essere un coglione umano, con una condanna da scontare sotto una lama di ricordo.
No, oggi non ho voglia di bere birra e intortare studentesse.
No, è cambiato tutto. Anche io sono cambiato.
Oggi non c’è nulla di allegro. Festeggio un finale tragico che ne preannunciava uno abissale.
E’ vero, a volte al peggio non c’è fondo.
Ecco il tuo pozzo… caro San Patrizio….

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Un dimensione strana il tempo.
Essendo puramente appannaggio della percezione l’ho sempre trovato scostantemente liquido o nel migliore dei casi elastico.
Non è un dimensione ferma, o almeno non lo è mai stata. Forse perchè mai avevo raggiunto un punto di rottura percettivo.
Il momento è arrivato infine.
Ho perso qualcosa che faceva parte della mia vita da tempo immemmorabile e questa volta l’ho perso definitivamente. Se non sono impazzito è solo grazie ad un caso.
Se non avessi fatto questi lunghi mesi di palestra mentale cercando di non pensare a lei adesso di me non rimarebbe che un mucchio di frantumi irrecuperabile. Il caso ha voluto che vi fosse un cuscinetto, ma un cuscinetto che attutisce.
La vera botta non potrebbe comunque assorbirta. La mia vita incasinata stava già diventando ridicolamente incasinata nell’ultimo periodo, questa non è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso, è stato un altro vaso piovuto dal cielo che ha distrutto quello originario…
Come sempre sono inquietantemente profetico.
I sentimenti hanno evacuato.
Mi sento come una caverna. Freddo, vuoto, assolutamente insensibile.
Il mio spirito cala la carta della difesa primaria, ma io so benissimo che non reggerà.
Questo tempo non ha alcun tempo. Non è più dilatato, non è più scorrente…. semplicemente sembra un fermo immagine.
Il passato è esploso, come una pentola a pressione dimenticata sul fuoco, e mi piove tutto attorno.
Continuo a vedere immagini su immagini di una vita intera mentre faccio qualunque cosa.
Rimesto, rianalizzo, ricerco, riscopro, ricordo… ma la maggior parte delle mie domande è destinata a rimanere insoluta.
Mi sento responsabile di tutto quel passato, perchè alla fine dei conti sono stato la persona chiave, nel bene e nel male. E questo fardello è sempre più pesante.
Mi sento abbandonato e vulnerabile.
Quando cominciano a sparire alcune figure della cui presenza si è certi sembra che tutti divenga precario, che anche l’orribile in fondo sia preoccupantemente possibile.
Mi sento il dolore degli altri addosso, perchè lo sento come un odore e si somma al mio.
Stanco. Mi sembra di avere combatutto più battaglie nell’ultima settimana che non nel resto della vita.
L’ultima settimana che sembra essere durata anni.
Nel tempo senza tempo si perde la misura del reale, si perde il ritmo dell’esistenza.
Sento il corvo di Poe che ripete il suo "Nevermore!" ogni volta che penso ad un ipotetico nuovo rapporto.
Sento la presenza di chi non c’è più in ogni cosa che io faccia, perchè quasi tutte le feci con lei.
Era così comodo odiarla per tenerla lontana…..
Ora non ho più alcuno scudo o difesa. Sono in mutande di fronte ad un carnefice.
I lupi d’inverno sono arrivati finalmente. Ne hanno colpita una e siamo caduti tutti come birilli.
E non c’è nulla che possa fare, nulla, per quanto mi impegni, per pensare che il futuro abbia ancora un qualsiasi dono.
Non c’è nulla che io possa dire per potere sostenere chi mi circonda perchè io stesso suono vuoto e metallico come una campana funebre….
Ho fatto il chierico per qualche giorno. Ho cercato di rimanere saldo per potere sostenere anche chi non aveva appoggio.
Ma ora lentamente mi sento cedere. Mi sento scivolare.
In un tempo senza tempo. 
Una stanza tappezzata di immagini del passato, senza porte sul futuro, come una trappola presente.
Solo il tempo può guarirci tutti.
Quel tempo che adesso non vuole saperne assolutamente di scorrere…..

 

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Namárië

Viola d’inverno

(Vecchioni)

Arriverà che fumo
o che do l’acqua ai fiori,
o che ti ho appena detto
"Scendo, porto il cane fuori",
che avrò una mezza fetta
di torta in bocca,
o la saliva di un bacio
appena dato,
arriverà, lo farà così in fretta
che non sarò neanche emozionato…

Arriverà che dormo o sogno, o piscio
o mentre sto guidando,
la sentirò benissimo
suonare mentre sbando,
e non potrò confonderla con niente,
perché ha un suono maledettamente eterno:
e poi si sente quella volta sola
la viola d’inverno.

Bello è che non sei mai preparato,
che tanto capita sempre agli altri,
vivere in fondo è così scontato
che non t’immagini mai che basti
e resta indietro sempre un discorso
e resta indietro sempre un rimorso…

E non potrò parlarti, strizzarti l’occhio,
non potrò farti segni,
tutto questo è vietato
da inscrutabili disegni,
e tu ti chiederai
che cosa vuole dire
tutto quell’improvviso starti intorno
perchè tu non potrai, non la potrai sentire
la mia viola d’inverno.

E allora penserò
che niente ha avuto senso
a parte questo averti amata,
amata in così poco tempo;

e che il mondo non vale
un tuo sorriso,
e nessuna canzone
è più grande di un tuo giorno
e che si tenga il resto,
me compreso, la viola d’inverno.

E dopo aver diviso tutto:
la rabbia, i figli, lo schifo e il volo,
questa è davvero l’unica cosa
che devo proprio fare da solo
e dopo aver diviso tutto
neanche ti avverto che vado via,
ma non mi dire pure stavolta
che faccio di testa mia:
tienila stretta la testa mia.

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Doveva essere una settimana ideale.
Cassa integrazione, certo. Ma avevo già i miei progetti, e un tabellino serrato per realizzarli.
Avevo incastrato tutto, con la sapiente imbecillità di chiunque non ricordi quanto le cose vadano sempre diversamente da quanto ci si aspetti.
E sono andate veramente diversamente. Per molte persone.
Non ho potuto tirarmi indietro, ed era giusto così, ma tutto ha un prezzo.
Forse ho fatto anche la figura dell’idiota di fronte a molte persone, ma non importa ora.
Che ognuno si faccia la propria idea, che ognuno giudichi in base alla propria percezione.
La mia, di percezione, sta raggiungendo la massa critica.
Non può decodificare tanti e tali segnali così impensabilmente intensi e raggruppati.
Il dolore e la passione, la morte e la vita. Tutti a braccetto per accompagnarmi nella settimana dell’allucinazione gratuita.
Incubi che divengono reali, sogni che divengono reali. Sogni travestiti da incubi, incubi cammuffati da realtà.
Se mi atterrasse un drago in giardino in questo momento non alzerei un sopracciglio.
Non decodifico.
E non decodificando non registro, non digerisco, non controllo le emozioni e le reazioni.
In parte mi trovo ad esplodere emotiviamente in un momento per trovarmi completamente vuoto e prosciugato nel momento seguente.
Stasera avrei un urlo lacerante, non di disperazione, un grido di aiuto.
Un grido al macchinista della giostra, perchè sto per vomitare e vorrei che si fermasse.
Io… io.. vedo ogni cosa andare in pezzi e ricostruirsi ogni secondo.
Il passato mi aggredisce come un mastino idrofobo, strappandomi famelico tranci di anima cruda.
Quel passato che tanto avevo faticato a far passare.
Il presente è un caleidoscopio indecifrabile, dove vaneggio e balbetto le migliori battute che ricordi di aver pensato, ma che non riesce ad attrarre completamente la mia attenzione.
Forse sto veramente perdendo il controllo, ora.
Non credo ucciderò nessuno, non credo ucciderò me stesso.
Credo solo che mi toccherà guardare crollare in una spettacolare demolizione tutto ciò che avevo creato in quasi un anno di lotte e sofferenze.
Ancora febbricitante, artigliato da questi fottuti crampi intestinali mi muovo nel mio appartamento-santuario, che celebra una vita che svapora, e non solo la mia passata vita.
Ogni cosa, ogni signolo oggetto qui dentro è ancora come fu lasciato.
Io..io non potrò mai dimenticare quel viso in quella stanza.
Io… non potrò mai dimenticare ciò che in realtà non poteva essere dimenticato.
Con un grido unanime e terribile tutti i demoni che avevo confinato rialzano gli stendardi e caricano su ogni punto debole.
Il mio stomaco aveva preso freddo. Solo questo. Poi è stato come annodato, strizzato, squarciato dalla botta emotiva.
E intanto succedono anche cose che avevo sperato, cose piacevolissime. Cose che ovviamente  non posso godermi serenamente, perchè in fondo il destino è un maestro di bastone e carota.
Tutto insieme, subito.
Cotto, lesso, ormai inerte galleggio in questo calderone in ebollizione.
Non ho mai vissuto un momento così, come un film sentimentale e stupido, come un libro scritto male, come una sceneggiatura senza capo ne coda.
In questi momenti si vorrebbe essere spettatori, almeno quanto si vorrebbe essere protagonisti per tutto il resto del tempo.
E poi mi danno torto. Ma è solo la riprova di quanto purtroppo io abbia ragione.
Appena si rialza la testa, la vita è pronta con una nuova bastonata su misura. E più l’avremo alzata, più forte sarà il colpo.
Curo alcune impotenze, o almeno ci provo. Altre mi smembrano.
Guardo Dexter. Come se non bastasse.
E vedo sangue ovunque. Vedo morti ovunque.
Nel regno delle ombre.
Mi aggiro come uno spettro, con le mie budella in mano, in un decandente santuario a celebrare ciò che sta per svanire.
A chiedermi se avanzare o cadere all’indietro.
Mentre tutto si sgretola.
Non riesco a decidere. Non posso decidere.
Non trovo più un punto fisso a cui fare riferimento.
Eppure il sorriso non mi abbandona finchè non rimango solo.
Allora si, da solo, affronto il mio rutilante girone.
Perchè non è nelle mie capacità quella di dimenticare.
E questa è una deficenza che causa una patologia autoimmune, che non uccide, ma logora lentamente in ogni momento della vita.
Se solo potessi dimenticare di essere stato vivo, forse, cesserei di essere uno spettro….

P.s.
Hai bisogno di sfogarti Niki. E ti serve veramente un urlo nella rete, che è un urlo a tutti ed a nessuno.
Ma sei troppo saggio per non dover ricordare a te stesso quanto la tua sofferenza non valga nemmeno un quadretto di carta igienica usato, rispetto alla sofferenza di altri in questo momento.

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